Nella piazza pricipale di San Pietroburgo il 22 dicembre ci sono tre uomini in camicia, bendati, con la faccia al muro. Dietro di loro ci sono altri tre uomini, coperti con pelliccia e cappello, e muniti di fucile. Sta avvenendo un’esecuzione. Mancano pochi minuti e i soldati attendono il via libera per giustiziare quei tre poveretti infreddoliti e bendati; tra quei poveretti c’è proprio Fëdor Dostoevskij. Passa un minuto, ne mancano quattro, le gambe tremano, dal freddo o dalla paura, non si sa. Un altro minuto, e si sentono i soldati che iniziano a caricare i fucili. I denti sbattono ferocemente, non sai cosa pensare: “Saremo con Cristo?”, chiede uno. “Nient’altro che un mucchietto di polvere”. Passa un altro minuto e si sente un cavallo che si avvicina in fretta e furia, un borbottio repentino e poi … niente. L’ordine è stato commutato: non avverrà alcuna fucilazione, lo Zar ha deciso che per loro saranno “sufficienti” i lavori forzati.

“[…] qui c’è la condanna, e appunto nella certezza che non vi sfuggirai sta tutto l’orrore del tuo tormento, e al mondo non c’è tormento maggiore di questo”

Un’esperienza che ha cambiato la vita di Dostoevskij. Senza tenere conto che l’autore era stato condannato a morte solamente perché cercava di difendere i diritti della povera gente, ma, in una Russia zarista, in cui la società era formata prevalentemente da servi della gleba, questi discorsi come l’uguaglianza di opportunità e la parità sociale erano inaccettabili. Viene arrestato e, dopo che gli verra’ commutata la pena, lo scrittore passerà cinque anni della sua vita ai lavori forzati in Siberia.

Ora, immaginate di essere chiuso in uno stanzino e con la possibilità di leggere un solo libro: la Bibbia. Per comprendere l’“Idiota” non si può non tenere presente questa vicenda biografica dell’autore.

L’idea centrale del romanzo è di descrivere un uomo assolutamente buono. Nulla ci può essere di più difficile al mondo, specialmente ai nostri giorni … Il bello è l’ideale, e l’ideale, sia da noi che nell’Europa civilizzata, è ancora lontano dall’essersi cristallizzato

Con questo progetto alle spalle, Dostoevskij prova a costruire un essere assolutamente buono e sarà proprio lui, il Principe Lev Nikolanevic Myskin, la figura centrale del romanzo. Gentile, cordiale, nobile d’animo, buono proprio perché riesce a vedere con amore ogni uomo. Lo stesso tellurico amore con cui Cristo guardava negli occhi ciascuna persona che avesse di fronte. Uno sguardo che riesce a penetrare e vedere l’essenza e la Bellezza di ognuno di noi. Non c’è da stupirsi se nel romanzo il Principe ripeterà in più di un’occasione che la bellezza salverà il mondo. Una semplice frase di cui si sono fatte le più grandi interpretazioni. Per la linearità del nostro ragionamento teniamo questa: nelle persone, nella natura e nel mondo è presente un bocciolo di Bellezza, ma è una nostra libera scelta vedere quel bocciolo per farlo sbocciare. Ed è quello che si propone di fare il Principe Myskin.

E se da un lato abbiamo esseri “buoni” come il protagonista, dall’altro abbiamo coloro che volontariamente decidono di ignorare la grandezza dell’altro, rivolgendo quello sguardo su di sé e fondando il proprio io su loro stessi. Non è un caso che la maggior parte dei protagonisti dei romanzi di Dostoevskij e’ egocentrica: questi personaggi, di conseguenza, si rivelano come esseri dominanti e frenetici che per arroganza e habitus mentis credono di posizionarsi al di sopra del duale conflitto tra bene e male. Spesso accade che queste persone, subendo una realtà che appare a loro avversa, si pongono a loro volta in una relazione conflittuale con il mondo, il cui unico risultato è credere di poter decidere da sé cosa è bene e cosa è male. Esattamente come Raskol’nikov, protagonista del romanzo Delitto e castigo: egli si illude di poter fondare il bene e il male a partire dai propri ragionamenti e ne esce distrutto proprio perché quel delitto che ha commesso – un omicidio – non trova perdono nella sua intelligenza e non trova pace nel suo Spirito, il luogo dove risiede quel bocciolo di Berlezza. Esattamente come Rogozin nel nostro romanzo: convinto di amare una donna, alla fine la uccide, dopo essere stato rifiutato. Curiosamente è la stessa donna di cui era realmente innamorato il Principe Miskin, il quale, di fronte a questo efferato omicidio, rimarrà tutta la notte a consolare Rogozin perché, per quanto male abbia commesso, egli rimane pur sempre un uomo e non merita di non essere amato. Si può dire che Myskin fa quello che Cristo ha fatto sulla croce: perdona. Quale uomo perdonerebbe il proprio carnefice? Un idiota.

Se amerete ogni cosa scorgerete il mistero di Dio

Tra gli appunti ritrovati, Dostoevskij scrive questa frase. Come se volesse ribadire che l’amore precede la conoscenza e solo attraverso di esso il bocciolo racchiuso in ogni cosa si schiude. Non a caso il nostro modo di voler conoscere il mondo non è altro che un ampliamento del nostro amore e se non vi è questa predisposizione, non si potrà mai vedere ogni particolare del mondo per come è realmente: segno di una Storia più grande.