Ha vestito, tra le altre, Carla Fracci, Valentina Cortese, Raina Kabajvanska. Lo storico vivaio Barni di Pistoia gli ha dedicato una rosa. Non è uno stilista, ma un artista vero. Dalla “Linea a Scatola” alle creazioni ispirate ai Preraffaelliti, al plissé che costruisce autentiche sculture di stoffa, ha rivoluzionato l’idea stessa di abito. Mostre delle sue opere d’arte si sono tenute in tutto il mondo. E da Vienna a Monaco, da Stoccolma a Il Cairo, da Londra a New York, lo stile Capucci, sempre nuovo eppure inconfondibile, è sinonimo di grazia.

Maestro Capucci, per cominciare la riporto a quella sera a Firenze nella Villa del Marchese Giorgini. Era il 1951 e lei presentava i suoi modelli. Ci racconta?

Conobbi il Marchese Giorgini grazie ad una giornalista che apprezzava molto il mio lavoro, ero agli esordi e non avevo mai presentato una vera e propria collezione. Giorgini mi chiese di realizzare 5 abiti per presentarli nella sua villa in occasione della prima sfilata in assoluto dell’Alta Moda italiana. Era quindi un doppio esordio, perché le sartorie italiane di allora non erano creative ma riproducevano la moda francese. La mia presenza fu però ostacolata da tutti gli altri partecipanti e il Marchese Giorgini decise di farmi presentare il giorno dopo. Tutto il clamore generato da questa opposizione non fece altro che aumentare la curiosità della stampa e dei compratori che parteciparono con entusiasmo alla mia presentazione e fecero grandi apprezzamenti.“Le mie creazioni si rivolgono a un tipo di donna per la quale la sensualità è più una questione mentale”

Una cifra del suo stile è l’inesausta ricerca. Si innova per se stessi prima che per gli altri?

Io amo mettermi in gioco e sperimentare sia nella vita che nelle mie creazioni. Indubbiamente dietro la creazione di un abito ci deve essere un lavoro di ricerca e sperimentazione, cosa che ho sempre cercato di fare nelle mie collezioni. Ogni creatore ha il suo stile, il suo gusto e proprio modo di lavorare. Secondo la mia visione della moda le collezioni e gli abiti non devono copiare la strada, né lo stile e le idee degli altri creativi, ma devono emergere e distinguersi. Per me non si deve ricopiare il passato ma studiarlo e comprenderlo per conoscere ciò che è stato fatto.

1956 Nove Gonne, Roberto Capucci, 1956, ph.Claudia Primangeli

“Nove Gonne”, Roberto Capucci, 1956, ph. Claudia Primangeli

Nel 1968 lei ha realizzato gli abiti per Teorema di Pier Paolo Pasolini. È rimasta la sua unica esperienza di collaborazione con il mondo del cinema. Perché?

Nel 1968 ho collaborato con il regista Pier Paolo Pasolini per il film Teorema, realizzando gli abiti di Silvana Mangano e di Terence Stamp. È stata per me un’esperienza talmente significativa che ho scelto di non lavorare per altri registi. Nella metà degli anni ’50 ho anche realizzato un abito commissionato da Marilyn Monroe, ma non ho mai avuto l’occasione di conoscerla di persona. Una mia cara amica, oltre che cliente, è la grandiosa attrice Valentina Cortese, per cui ho realizzato numerosi abiti e l’ “inseparabile corredo” del foulard in tinta. È stata anche realizzata una mostra a Venezia, “Trame di Moda”, in cui abbiamo reso omaggio a questa grande attrice di teatro e di cinema, una delle migliori interpreti dei miei abiti, con l’esposizione dell’abito a farfalla in faille di seta nelle calde sfumature rosa delle ortensie che Valentina Cortese ha donato alla Fondazione Roberto Capucci.

Il 1971 è l’anno del suo viaggio in India. Lei ha anche promosso una produzione di abiti nel Paese e ha donato i suoi disegni ad alcune donne di un piccolo centro del Rajastan. Com’è andata?

Amo questa terra, la sua cultura, i suoi paesaggi e colori. È una continua fonte di ispirazione, uno stimolo al mio estro creativo e torno sempre con grande piacere per ricaricare la mente e il corpo.

Angelo d'Oro, Roberto Capucci N.22 1987ph. Claudia Primangeli

“Angelo d’Oro”, Roberto Capucci N.22 1987, ph. Claudia Primangeli

Abbiamo negli occhi l’immagine della professoressa Rita Levi Montalcini mentre ritira il premio Nobel con un suo modello indosso. Com’è nato quell’abito?

Decise di indossare un abito in velluto blu zaffiro, verde smeraldo e rosso rubino con una breve coda che feci per lei in occasione del conferimento del Nobel per la Medicina che le fu riconosciuto nel 1986. Benché inizialmente restia a portare una coda, concordò con me che in un contesto come quello del Nobel, fatto quasi esclusivamente di uomini, dovesse essere presentata come una regina dall’aspetto maestoso. Da allora mi rimase sempre fedele e non volle più entrare nel merito della mia creatività, affermando che ero stato responsabile di aver suscitato in lei un grande senso di vanità. “I colori vanno messi tutti insieme perché tanto poi ci pensano loro ad armonizzarsi”

Lei ha sempre salvaguardato la sua indipendenza. A partire dalle dimissioni dalla Camera Nazionale dell’Alta Moda. Quanto conta per un artista non soggiacere a schemi precostituiti?

La moda è spesso considerata solo un ornamento, ma dal mio punto di vista questa accezione è riduttiva, la moda per me è architettura e i tagli, le forme e le proporzioni sono le fondamenta del mio lavoro. Un abito deve essere senz’altro bello, ma deve essere anche unico e riflettere l’estro e l’idea di chi lo crea. Ho preferito abbandonare le passerelle proprio per non dover seguire delle cadenze e schemi prestabiliti, ma lasciare libero sfogo alla mia creatività. Non si entra negli spazi dell’arte – come nei musei – se un’opera, oltre alla bellezza in sé, non possiede quel qualcosa in più che la rende unica e senza tempo.

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“Oceano”, per l’Expo di Lisbona. Roberto Capucci, 1998 ph. Fiorenzo Niccoli.

Mi piacerebbe una sua riflessione sui colori. La sua palette non è dissimile da quella di un pittore.

Il mio senso del colore viene sicuramente dagli anni della formazione all’Accademia di Belle Arti. Quando ho iniziato, negli anni ’50-’60, il mondo della moda era quasi monocromatico. Ma io avevo già una certa idea del mio stile. Quello che lo ha influenzato in modo definitivo è stato il primo viaggio in India, nel 1971, che ha aperto una finestra sull’universo del colore. La natura, con le sue suggestioni, è sempre stata una delle mie principali fonti di ispirazione. Ho capito che i colori vanno messi tutti insieme perché tanto poi ci pensano loro ad armonizzarsi e che si possono comunque accostare seguendo varie strade: per contrasto, per accostamento, per famiglie, dando una forma all’abito. Il nero, il bianco, il grigio li uso solo come basi, perché sono neutri. Ma ci metto sempre sopra un colore preciso.

Lei ha lavorato con materiali anche non convenzionali. Quanto è importante l’elemento ludico nella creazione? Il Maestro Capucci è rimasto un po’ bambino?

Io amo sperimentare, fa parte della mia indole sin da bambino! E credo che nella moda, come nell’arte, sia fondamentale rinnovarsi sempre e mettersi in gioco. Io ho continuato in tutte le collezioni a sperimentare utilizzando materiali non convenzionali come: ottone, sassi, acqua nella plastica, nastri intrecciati, juta, corde. Ho realizzato anche una serie di abiti con le pietre fluorescenti dei rosari che ho fatto sfilare al buio creando un effetto sorpresa che destò molto scalpore e apprezzamenti.

Nel 2010 la riapertura del Daming Palace di Xian, in Cina, dopo 60 anni di lavori di restauro, è stata celebrata con una sfilata di 10 sue creazioni. Il suo lavoro è stato preferito a quello di chiunque altro in tutto il mondo. Ha un ricordo particolare di quell’occasione?

La Cina per me è un Paese di inesauribili scoperte e sono sempre stato accolto con molta considerazione e stima sin dal 1995 quando tenni delle lezioni all’Università di Pechino e presentai una collezione di modelli ai rappresentanti del Governo Cinese di allora.

©   ©rosebarni.it La rosa dedicata a Roberto Capucci

© Rose Barni  La rosa dedicata a Roberto Capucci

I suoi abiti non solo hanno sempre rispettato la dignità della donna, ma l’hanno celebrata. Che impressione le fa assistere alla mercificazione dell’immagine femminile? Nella moda e non solo.

Io ho sempre creato per le donne, ho un’ammirazione infinita per loro, le amo e sono sempre state le muse dei miei abiti, anzi le considero spesso più intelligenti, più argute e curiose degli uomini. Le mie creazioni si rivolgono a un tipo di donna per la quale la sensualità è più una questione mentale, di atteggiamento e di portamento, non legata ad un abito che mette più in evidenza il corpo. Per me le tendenze della moda attuale che mercificano la donna ed il suo corpo sono disastrose e finiscono solo per renderla volgare ed eccessiva, oppure per omologarla alla massa invece che valorizzarne silhouette e personalità. Si dimentica troppo spesso che indossare un vestito è un rito importantissimo sia per se stessi che per coloro che osservano dall’esterno, e questo è dovuto spesso anche alla pubblicità martellante che mercifica tutto e alla società moderna.