Nelle ultime settimane, la sanità italiana (e mondiale) monitora la diffusione della dengue, una malattia endemica in alcuni Paesi del mondo e che sta colpendo soprattutto il Brasile, dove è in corso una vera e propria emergenza sanitaria, con un numero di casi che, in questi giorni, ha superato quota 2 milioni e mezzo.

Uniche responsabili della diffusione nell’uomo dell’omonimo virus sono le zanzare: per contrarre la dengue, un soggetto deve essere punto da una zanzara infetta, che funge da vettore. «Per la precisione, le due specie di zanzare-vettori sono Aedes Aegypti e, in misura minore, Aedes Albopictus, meglio nota come “zanzara tigre”», chiarisce il dottor Maurizio Ferri, medico veterinario all’ASL di Pescara e – tra gli altri ruoli – coordinatore scientifico SIMeVeP (Società Italiana di medicina veterinaria preventiva).

Ferri spiega inoltre che il virus – appartenente alla famiglia degli Arbovirus, come altri diffusi soprattutto da zecche e zanzare – si può manifestare in uno dei quattro sierotipi o varianti finora conosciute. Per quanto il tasso di mortalità sia abbastanza basso, i soggetti che si ammalano una seconda volta possono presentare complicazioni se il soggetto contrae di nuovo il virus ma con un sierotipo diverso rispetto alla prima infezione. «La gravità della malattia dipende molto anche dalla salute del soggetto», prosegue l’esperto, che precisa: «La forma più tipica  con cui si manifesta è nota come “sindrome spacca-ossa” e comporta febbre e sintomi simil-influenzali. Esistono anche una “sindrome emorragica” e una “sindrome da shock”, in cui la mortalità si alza fino al 20%. Meno diffusi i casi di trasmissione per trasfusione di sangue o trapianto di organi».

«Uno dei fattori chiave della diffusione della dengue è l’aumento delle temperature e l’accumulo di acqua stagnante, ideali per lo sviluppo delle larve. Le zanzare, inoltre, possono anche adattarsi a temperature meno elevate», dice il veterinario Maurizio Ferri

Il parere di un medico veterinario è utile per ricordare l’importanza delle attività di prevenzione alla diffusione: «La diagnosi da dengue viene normalmente formulata sulla base dei sintomi, ma confermata con esami del sangue sia sierologici (ricerca di anticorpi) che virologici (ricerca del virus)», spiega ancora Maurizio Ferri, che aggiunge: «Questa infezione virale viene definita “a trasmissione silenziosa” perché nell’80% dei casi è asintomatica, quindi c’è il rischio di una forte sottostima dei numeri. La diffusione è inoltre favorita dal fatto che una zanzara non infetta può diventare vettore pungendo una persona che abbia il virus in circolo, i cui tempi vanno dai 4 ai 12 giorni ed in questo periodo la zanzara può trasmetterlo ad altri individui».

Sulla diffusione della dengue vigila da alcuni mesi l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che aveva già segnalato alla fine del 2023 un preoccupante aumento del numero dei casi, specie nella regione delle Americhe ed in Brasile. Nel 2019 c’era stato già un picco dei casi a livello globale ma l’allarme era rientrato già dall’anno seguente, complice la pandemia da Covid-19 e l’inibizione degli spostamenti dovuta alle relative misure di contenimento. La ripresa della circolazione di uomini e merci, su scala globale, ha contribuito ad una recrudescenza dei casi, specie in quelle regioni dal clima caldo e umido, che favorisce la riproduzione delle zanzare.

Quanto all’Italia, la situazione è sotto controllo, anche grazie alle disposizioni del Ministero della Salute, che già dal febbraio scorso ha alzato la guardia su porti ed aeroporti, dove le autorità preposte stanno svolgendo attività di profilassi soprattutto attraverso la sanificazione di navi e aerei provenienti dai Paesi considerati a rischio. Nel nostro Paese, secondo gli ultimi dati disponibili fino a dicembre 2023,  sono stati segnalati 362 casi, di cui 82 autoctoni ed il resto per importazione, ovvero persone rientrate dall’estero con sospetta sintomatologia da dengue, poste subito sotto osservazione. «In Italia non c’è un allarme ma bisogna puntare sulla vigilanza. Oltre a prestare attenzione ai soggetti infetti, l’obiettivo è evitare che il vettore principale – la zanzara Aedes Aegypti – non attecchisca nel Paese», dice in proposito Ferri, che ricorda anche i rischi di diffusione dovuti all’altra specie responsabile della trasmissione, Aedes Albopictus: «Non dimentichiamo che in Italia, dagli anni Novanta, è presente la “zanzara tigre”, entrata attraverso i porti nazionali e che in passato ha già diffuso virus simili, come West Nile e Chikungunya, contenuti dai medici veterinari attraverso specifici programmi di sorveglianza sulla diffusione dei vettori del Ministero della Salute, attuati coinvolgendo Asl locali e dipartimenti di prevenzione».Quanto al contrasto in ambito veterinario, in alcuni Paesi si utilizzano zanzare Aedes Aegypti infettate in laboratorio con il batterio naturale Wolbachia che riduce la capacità di trasmettere malattie derivanti  dagli arbovirus.

Queste considerazioni spingono anche a riflettere sul ruolo dei medici veterinari, la cui attività di studio e di ricerca non ha spesso la dovuta attenzione da parte dei media, con minore visibilità per il pubblico: «Il veterinario ha un ruolo chiave – aggiunge il dottor Ferri –  perché oltre alla conoscenza del vettore, ne conosce l’ambiente dove vive e si riproduce, laddove la medicina umana è più focalizzata sul paziente». L’appello del veterinario è allora alla cooperazione piuttosto che alla divisione degli ambiti: «Dengue ci ricorda l’importanza delle attività di prevenzione sul vettore animale e sui casi clinici umani. Trattandosi di sanità pubblica, occorre quindi un approccio interdisciplinare “One Health”, coinvolgendo professionisti di medicina umana, veterinaria, ambientalisti. È importante altresì che gli interlocutori siano autorevoli anche per garantire una comunicazione corretta, chiara e scientifica, che non induca le persone ad allarmarsi».