L’amica degli uomini importanti è un testo teatrale inconsueto. Intelligenza distillata, provocatoria e divertente. Un falò delle vanità contro ogni ipocrisia, di ieri e di oggi. E’ la storia di una bella donna, Alfa, e degli uomini che ruotano intorno a lei, intrappolati in una rete di parole. Il progetto, proposto dal regista Antonio Syxty, è una produzione Manifatture teatrali Teatro Litta (Teatro Litta e Quelli di Grock Associati). Gaetano Callegaro, attore, interpreta alias Apuleius-Halm consorte di Alfa.

Cosa vuol dire portare in scena Musil oggi?

Ha senso perché l’autore de L’uomo senza qualità in questo testo porta avanti un modo grottesco di vedere la bellezza della parola. Musil era molto attento alla scelta della parola. Del resto ritroviamo il  suo modo grottesco di vedere la società borghese anche nel contemporaneo, dove permane la vacuità, la futilità, la vanità. Questi personaggi sono tutti vanitosi. Vinzenz dice che il talento esiste perché esiste il non-talento. Quindi è un discorso anche molto sociologico, filosofico. Ad esempio, c’è quel brano in cui Vinzenz dice che la cosa importante è riprendere la realtà. È un archetipo, un prototipo di quello che è poi il reality. È scritto nel ’23: del resto, dalla fine dell’Ottocento agli anni Trenta in Europa il fermento culturale era elevatissimo. In Francia, soprattutto, per quanto riguarda la pittura. Ma anche in Italia, dove nasce il futurismo. Questo spettacolo ha un gusto molto Dada.

È un testo sul potere mistificatorio della parola?

Esatto. Non a caso Vinzenz dice: “Beh, ma basta mettere insieme le parole…”

Basta che una cosa suoni bene perché all’improvviso esista?

Nell’ultimo romanzo di Eco, Numero Zero, c’è un passaggio sui modi di dire che servono per la comunicazione a livello politico. Quelle frasi come “chiediamo scusa agli italiani”, sono tantissime. In effetti, quando ci si mette in moto e si mettono insieme le parole, noi italiani siamo maestri perché l’eloquenza si insegnava, era una disciplina già ai tempi di Cicerone.

Il problema è quando l’eloquenza diventa solo uno strumento al servizio del potere?

Una volta l’eloquenza era face to face, adesso è face to world. Musil gioca sulla comunicazione, sul vero-non-vero. È un testo particolare che abbiamo voluto mettere in scena, un po’ perché il regista Antonio è un artista a tutto tondo, è un amante della parola. Un po’ perché riteniamo che sia giusto. Anche se capiamo che non è una cosa facilissima, bisogna prestare attenzione.Per chi non conosce Musil è un modo, secondo noi divertente, di affrontarne la parola. Non è una cosa direttissima, perché è molto raffinato. Perciò bisogna prestare attenzione. Abbiamo visto che il pubblico giovane può ritrovare anche il gusto di farlo, in un mondo in cui tutto è basato su una messaggistica in cui togli gli articoli.

Lo spettacolo è anche una sfida nei confronti dello spettatore. Voi dimostrate di porre l’asticella molto in alto. Avete una considerazione molto grande dell’intelligenza del vostro pubblico?

Sì, perché io credo che il teatro sia conoscenza. L’ hanno detto anche registi come Ronconi e Strehler. In effetti, non c’è nulla come il teatro come strumento per far sì che, ad esempio, La divina commedia diventi interessante.

Il teatro affina anche lo spirito critico utile nella realtà di ogni giorno?

Sono molto anglosassone in queste cose.Credo che sarebbe importante avere il teatro come materia curriculare dalla prima elementare. Perché darebbe anche la possibilità agli insegnanti di saper spiegare, di raccontare. Di far passare la propria materia in  modo molto più interessante. Lo spettacolo dal vivo ha la possibilità di creare nello spettatore la giusta attenzione. Molti pensano ancora che il teatro sia difficilissimo. L’educazione scolastica dovrebbe occuparsene. L’apparenza alle volte muove il mondo, non meno che l’amore.

La protagonista di questa commedia, questa donna, Alfa, dall’alto della sua vanità, tiene in pugno tutti quanti?

Secondo me questo modo di comportarsi esiste tuttora, forse ancora di più. Perché l’apparenza adesso è forse più ricercata. Purtroppo la ricerca anche il ragazzo che vede Uomini e donne alla televisione e dice: ah, però! L’avvenenza ti fa diventare famoso senza che tu sappia fare niente.

Ma così non torniamo al discorso del talento che fa Vinzenz?

Esatto, qual è il talento? Anche il non talento è un talento.

Invece il teatro esige disciplina.

Esige disciplina, rigore, sudore. La televisione è diversa. Devo dire che sono molto critico sui 20-25 anni di televisione berlusconiana. Oggi ho rivisto Umberto Eco perché ci sono state trasmissioni speciali, e l’ho sentito parlare di un romanzo di Asimov che avevo letto quando ero ragazzo in cui, in una società futura e in una situazione di totale distruzione, si cercava qualcuno che conoscesse ancora le tabelline.

Ma non le sembra che siamo già a questo?

Sì, non so se è giusto o meno. Il problema è che l’evoluzione tecnica può portare all’immortalità ma anche al fatto che uno non sappia più le tabelline perché ha un sistema Android che gliele calcola.

Una morte in vita. Si può delegare l’uso del cervello?

È come per la memoria. Se non hai memoria sei un vegetale.

Per fortuna il teatro è un antidoto potentissimo a questa deriva.

Il problema è che non siamo un Paese che guarda molto alla cultura. Ne parlano tanto ma la cultura ha bisogno di mangiare. Tanto per dirle, il buon ministro ha fatto un patto con l’Agis, per cui il 22 di ottobre l’accesso ai teatri italiani sarà gratuito. Ma qual è il motivo? Noi non siamo mica finanziati totalmente, come nei Paesi del socialismo reale e là attori e ballerini erano bravissimi.

Si riconosceva anche un valore sociale a queste professioni. Molte persone invece pensano che il teatro non sia un vero lavoro.

Ma siamo nel 2016! In Italia si innesca anche un meccanismo per cui il denaro è il male. È un retaggio del cattolicesimo. C’è anche questo meccanismo secondo me, tra ciò che è il cattolicesimo e ciò che è il protestantesimo.  Il calvinismo, il protestantesimo danno il giusto valore al denaro. Il cattolicesimo dice che il denaro è il male però lo utilizza. In Italia c’è molta ipocrisia, legata all’idea della confessione e del perdono. Un esempio per tutti: i mafiosi che vanno in chiesa. Oppure, quando si parla di famiglia. I preti ne parlano ma nessun prete cattolico sa cosa sia una famiglia. I loro omologhi protestanti lo sanno.

E il vostro spettacolo punta il dito contro le ipocrisie.

Il testo racconta una storia semplicissima con un linguaggio particolare. Bisogna tenere conto che è una traduzione, e che abbiamo modificato solo piccole cose. Sarebbe interessante conoscere bene il tedesco per apprezzarlo appieno. Perché il tedesco è una lingua molto precisa.

Pensate di portare lo spettacolo anche fuori Milano?

Noi abbiamo la produzione e, ovviamente, se qualcuno lo chiede lo esportiamo, ma non è facile far girare uno spettacolo così.

Alfa e Vinzenz li incontriamo tutti i giorni per strada?

Sì, soprattutto adesso. Ma Alfa non è una velina, è intelligente. Chi potrebbe essere oggi? Una di quelle signore della Confindustria? Oppure un’Alfa sicuramente è Maria De Filippi. Perché lei è l’amica di tutti. Rappresenta la falsa modestia, l’understatement voluto che diventa vanità.

E anche di uomini simili ai suoi adoratori ne vediamo tanti.

Basta guardarsi in giro. Come in quei film dove arrivi in una casa chiusa e trovi il console il pretore. È la stessa cosa. L’apparenza alle volte muove il mondo, non meno che l’amore. È il massimo dell’ipocrisia che Musil tira fuori. Vinzenz è un impiegato, un matematico, poi all’improvviso dichiara che vuole fare il domestico. C’è quella battuta bellissima: se tu non hai una tua vita, seguine un’altra.

Dovete essere orgogliosi di questo spettacolo.

Fare teatro non è facile. Far ridere le persone può essere molto facile. Ma non è più come negli anni Settanta. Oggi a Zelig in tre minuti devi far ridere ed esisti per una stagione. Non esistono più gli autori. È più facile scrivere per Zelig che scrivere una commedia. E ti pagano di più.

Se parli all’istinto basso, la risata arriva. Ma poi, cosa resta?

Vero. E poi siamo culturalmente diversi. Una commedia che funziona a Milano non funziona a Roma e viceversa. Perché la comicità romana è molto tamarra e quella milanese è più surreale. Pensi a Cochi e Renato.

Lo stesso Jannacci.

Certo. E Gaber.

Sarà colpa della nebbia?

No, secondo me è questione di influenze diverse. L’ultima parte della nostra storia prima dell’unità d’Italia eravamo austroungarici. E quella nordicità resta. Come i piemontesi sono molto francesi. E i romani papalini.

Magari il loro modo di ridere è un po’ una rivalsa per questo.

Sono modalità diverse. E questo fa sì che l’Italia sia…

“Armoniosamente screziata”, come dice Vinzenz?

Esatto, sì. Siamo screziati. E poi noi non siamo romanzieri. Il Manzoni non mi è mai piaciuto. Ne I promessi sposi i personaggi sono tagliati via con l’accetta. Poi questa sua conversione, questo cattolicesimo spinto, si sente in tutto il romanzo. Lucia è tutta buona, l’altro è tutto stupidino.

Salviamo qualche scena di peste e l’assalto ai forni, magari?

Sì. Ma basta. Pensi a Hugo, a I miserabili. Quel libro straordinario. Anche scrivere per il teatro è una professione. E come diceva Cerami, la scrittura genera scrittura. Il cinema italiano comincia a riprendersi solo ora. Trovo geniale, dal punto di vista comico, Checco Zalone perché riesce a essere imprevedibile. Parlo anche da addetto ai lavori: lui riesce a leggere la nostra società. Ha creato un personaggio che può essere il contrario del Fantozzi di una volta, che era l’uomo medio, piccino, angariato. Mentre Checco Zalone va dal presidente e gli dice: ciao, io e te siamo uguali. Cosa che è vera. Ma, detta così, fa ridere.

 

L’amica degli uomini importanti (Vinzenz) di Robert Musil.

Adattamento e regia Antonio Syxty.

Con Caterina Bajetta, Gaetano Callegaro, Pietro De Pascalis, Guglielmo Menconi, Debora Virello.

Scene Guido Buganza Costumi Giulia Giovanelli.

Manifatture Teatrali milanesi. Già al Teatro Litta Milano