Noor Abi Saad è nata nel 1990 a Jounieh, Libano. Parla inglese, francese, italiano, libanese e arabo. Laureata alla Notre Dame University con un Bachelor of Arts in Interior Design, ha vinto il premio di Valedictorian of the Faculty of Architecture Arts and Design. Ha progettato nel suo Paese di origine case, uffici e negozi. Ha lavorato anche come scenografo per produzioni cinematografiche e televisive. Premiata con il Devine Details Design Award per il suo appendiabiti Graffiti, si è trasferita a Milano per studiare al Politecnico. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Interior Design con 110 e lode. È la vincitrice del concorso per l’allestimento della mostra L’incanto dei Macchiaioli.

Noor Abi Saad, il suo allestimento per la mostra dei Macchiaioli è nato da un concorso. Quando e come ha deciso di partecipare?

Il concorso è stato proposto al Politecnico dal Museo Poldi Pezzoli con il supporto del professore Beppe Finessi, critico d’arte, direttore della rivista/libro Inventario e curatore di mostre eccellenti a Milano ed in Italia, capace di ispirare molto i suoi studenti, me compresa. Per questo, quando ha presentato il concorso a luglio, per me è stata automatica l’idea di dover assolutamente partecipare ed è stata un’opportunità unica. L’ho fatto soprattutto per l’onore di partecipare ad un concorso per la più importante casa museo a Milano e non solo per vincere. Anche perché, in parallelo, stavo lavorando molto sulla mia tesi di laurea magistrale.

Qual è stata la sua reazione quando ha saputo di aver vinto?

Qualche mese prima avevo visitato il museo e sono rimasta affascinata della bellezza delle opere e dell’interno ma non avrei mai immaginato che un giorno avrei potuto progettare un allestimento per questi spazi. Quando la direttrice del museo, Annalisa Zanni, che ha aperto le porte del museo ai giovani architetti, mi ha annunciato la bella notizia, sono stata molto felice, entusiasta e, soprattutto, fiera.

La cosa più affascinante del suo allestimento è che si ha l’impressione di entrare nella casa dei collezionisti Jucker, ricreata dentro il Poldi Pezzoli. Come ha avuto quest’idea?

Il bando di concorso spiega che la mostra presenta la collezione di Giacomo ed Ida Jucker che avevano aperto la loro casa al pubblico, diventata casa-museo in seguito, per fare conoscere l’arte dei Macchiaioli. L’aspetto di casa museo e della grande tradizione del collezionismo lombardo unisce la galleria di via Mauro Macchi e la casa dell’illuminato fondatore della casa museo Gian Giacomo Poldi Pezzoli. A me è sembrato l’elemento più importante su cui costruire il concept. Dunque il progetto nasce dell’idea di far incontrare le due case e di leggere in parallelo le opere dei due collezionisti.

Lei ha parlato di una scatola nera che permette un viaggio nel tempo.

L’idea è quella di arrivare ad un indirizzo, via Mauro Macchi, dove si trova la facciata neutra della casa, senza vedere nessun quadro. Il visitatore è invitato a spostare la tenda ed entrare nel mondo dei famosi collezionisti Giacomo ed Ida Jucker e tornare indietro nel tempo, cercando all’interno della scatola nera la bellezza del passato. La struttura è composta da pannelli semplici e modulari che erano a disposizione, distribuiti in modo da formare una scatola, un contenitore rivestito di tessuto nero che è la rappresentazione astratta del salone della casa di via Mauro Macchi, installata all’interno del salone del Museo Poldi Pezzoli, dove si trovano i nuclei più importanti della collezione.

Le piacciono i quadri dei Macchiaioli? Li conosceva? Ne ha uno preferito tra quelli esposti?

Certo, conoscevo il movimento dei Macchiaioli e trovo le macchie di colore affascinanti e mi sono divertita ad approfondire le mie conoscenze, cercando le storie dei quadri e dei personaggi. Il mio preferito rimane La curiosità di Silvestro Lega, non perché è la copertina del catalogo della mostra, ma perché sono legata al messaggio che porta, una donna curiosa, che non può stare tranquilla dentro casa, ma guarda attraverso le persiane e cerca l’immenso mondo fuori.

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Silvestro Lega, La curiosità

Come mai ha deciso di venire a studiare a Milano? Come si è trovata? Qual è stato l’impatto?

Dopo essermi laureata in Libano con un Bachelor of arts in Interior Design alla Notre Dame University, e dopo che ho cominciato a lavorare, ho sentito il bisogno di sapere di più e di puntare ad un livello più alto. Milano per me non è un “come mai” ma un “assolutamente”, dovevo venire a studiare a Milano, la città del Salone del Mobile, che è l’evento internazionale più grande nel mondo del design, visitato da tantissimi architetti ed imprenditori libanesi. Inoltre, ho scelto il Politecnico di Milano perche è “the italian school of thought” che trasmette la vera ideologia del Design Italiano e dove si sono laureati i più grandi maestri.

Potrebbe raccontarci del suo impegno a Expo e al Salone del Mobile?

Sono parte di Connexpo un’associazione composta da un gruppo di giovani architetti, ingegneri e designers fondata da quattro tutor: Franco Raggi, Giovanna Giannattasio, Enrico Morteo e Enrico Castaldi. Abbiamo progettato allestimenti per Paesi nei cluster dentro Expo. Abbiamo anche seguito i concorsi e gli allestimenti di Confartigianato dentro lo spazio Convivio di Padiglione Italia. Era una bellissima esperienza lavorare con un gruppo internazionale, di giovani molto ambiziosi, amichevoli e attivi. Al Salone del Mobile 2014 ho lavorato con Toncelli cucine per i rapporti internazionali essendo un interior designer che conosce cinque lingue. Al Salone del Mobile 2015 ho lavorato come assistente della coordinatrice di Tortona Design Week, un impegno stimolante che ha richiesto agilità e pratica. Per quest’anno, ho appena iniziato a lavorare nello studio del grande maestro Mario Bellini, un altro sogno che si realizza.

Lei ha lavorato anche molto nel suo Paese d’origine, il Libano. Quali sono le differenze più grandi tra questi due scenari? E i punti di contatto?

Il Libano è un Paese molto occidentale e culturalmente ricco. Beirut è sempre stata chiamata “Parigi del Medio Oriente”, ed è vero. L’architettura e il design, specialmente da un punto di vista educativo sono ad un buon livello, però sono visti in un modo molto più tecnico che concettuale. L’arte e l’architettura in Libano hanno limiti rigidi fra di loro. Se fai l’una, non puoi fare l’altra. In Italia, queste attività si uniscono e creano risultati meravigliosi ed è questo che mi lega al vivere qui a Milano.

Lei è anche una coreografa di hip-hop. Come mai? 

Ho praticato hip-hop dance per più di dieci anni e avevo cominciato in Libano una carriera di coreografa per music videos e pubblicità che purtroppo non ho più praticato negli ultimi due anni. Credo che la danza dia un alto modo di espressione, pieno di sensibilità, libertà e creatività. Mi ha aiutato tanto per rafforzare il mio carattere e per avere self-confidence senza paura di confrontarsi con situazioni nuove.