La stazione sotterranea di Porta Vittoria è un crocevia di culture. I passi della gente si mescolano alla voce che annuncia un treno in arrivo sul binario, o di uno che ci metterà molto più tempo del previsto. Qui dentro, se si oltrepassa un tornello non si giunge solo ad una banchina: si accede allo spazio teatrale “Il Cielo sotto Milano”, dal 2015 sede della compagnia teatrale “La Dual Band”.
Per celebrare la Domenica delle Palme, “La Dual Band” ha deciso di uscire dal proprio spazio-teatro. Ha lasciato l’ultima fila di sedie di legno con affissi i volti dei compositori e ha messo in scena uno spettacolo itinerante, La Passione di Porta Vittoria. La versione urbana della composizione sacra Passione secondo Matteo del compositore e musicista tedesco Johann Sebastian Bach.
«Accanto alla meravigliosa sonorità del tedesco e alle arie, abbiamo pensato di inserire dei passaggi del Vangelo secondo Matteo di cui stiamo parlando, in modo che gli spettatori possano seguire la vicenda in tempo reale anche se non conoscono la lingua», spiega Anna Zapparoli, direttrice artistica della compagnia.
«Accanto alla meravigliosa sonorità del tedesco e alle arie, abbiamo pensato di inserire dei passaggi del Vangelo secondo Matteo di cui stiamo parlando, in modo che gli spettatori possano seguire la vicenda in tempo reale anche se non conoscono la lingua», spiega Anna Zapparoli, direttrice artistica della compagnia teatrale “La Dual Band”.
Il sipario si apre. In scena, solo un pianoforte pesato con lo spartito bachiano nella sua riduzione per organo. Il pc con il nastro isolante nero, utile per amplificazione e scenografia, inizia ad essere spostato dai membri del cast. [/mark]Faranno il giro della stazione, percorrendo qualche centinaio di metri per raccontare gli ultimi momenti della vita di Gesù Cristo [/mark]. Oggetti di scena, solo una tavola imbandita con una forma di pane e una bottiglia di vino mezza piena, che ad un certo momento raggiungeranno per riprodurre l’Ultima Cena.
Quattro cantanti, tre attori ed un coro, tutti in tuta e felpa nera. Un Giuda uomo che canta in tedesco, una Giuda donna che recita in italiano. Lo stesso vale per il personaggio di Cristo, che indossa una sciarpa rossa durante tutta la rappresentazione. Alla fine, l’attrice che interpreta Gesù sale una delle scale della stazione, fuoriuscendo alla luce terrena.
«Nella scena finale, quando Gesù, dopo la morte, assurge in cielo, ha una felpa ed uno zaino. È vestito come una persona che vive e che passa nel passante, nello specifico una persona migrante – racconta Beniamino Borciani, interprete di Giuda –. Abbiamo voluto immaginare questo Gesù migrante perché Gesù, anche da un punto di vista laico è un esempio di esclusione. È colui contro cui la folla inveisce, e volevamo accentuare questo aspetto: noi cantanti e attori volevamo mescolarci alle persone che effettivamente popolano questo passante ferroviario».
Beniamino Borciani, interprete di Giuda, svela la scelta di tuta e felpa nera, i vestiti di scena: «Abbiamo voluto immaginare questo Gesù migrante perché Gesù, anche da un punto di vista laico è un esempio di esclusione. È colui contro cui la folla inveisce, e volevamo accentuare questo aspetto: noi cantanti e gli attori volevamo mescolarci alle persone che effettivamente popolano questo passante ferroviario»
Porta Vittoria può apparire un luogo inusuale per uno spettacolo. «Il luogo ci offre delle asperità evidenti: gli annunci dei treni, dei ritardi, degli scioperi. La maggior parte delle persone contribuisce a ricordarci che siamo in un luogo non nato per la musica e per il teatro».
Per Anna Zapparoli, si tratta di un luogo dal sapore magico. «Questo spazio ci serviva come spazio prove. Standoci dentro ci siamo resi conto che ha una tale personalità, una tale magia, che spiaceva non aprirlo al pubblico. Quando abbiamo percepito questa magia, abbiamo sentito anche il bisogno di aprirci al pubblico, non facendo finta che questo sia un vero teatro. Questa sua vocazione ad essere un crocevia di vite lo sfruttiamo: ci piace che la gente lo viva con un senso di vicinanza».
Per descrivere l’opera nel suo complesso, Zapparoli richiama un «senso di altezza vertiginosa, di una capacità impensata di arrivare a farci vedere Dio attraverso un Dio umano, perché questo è un uomo che muore. La Passione di Bach finisce con la morte di Gesù: non c’è la resurrezione. E’ la Passione, è solo la parte sofferente del corpo, però io lo vedo. Io non sono credente, però ci sono degli autori e degli artisti che mi danno questa possibilità. Lo vedo per un momento e dico: allora forse è possibile».