Il suo segno zodiacale è lo scorpione: tenace, combattente, passionale. Quella passionalità e quella follia che solo chi fa teatro sa vivere e raccontare. Da 37 anni per Giampiero Ingrassia il palcoscenico è lo spazio dove nasce la magia e la comicità, ma dal quale si è dovuto allontanare – «purtroppo» – ancora una volta da quasi un mese a seguito dell’ultimo dpcm che ha fermato nuovamente i luoghi della cultura. Il teatro per lui è stato tutto e lo è ancora: infatti, in questo momento di pausa dagli spettacoli dice di non aver pensato a un piano B. «So fare l’attore (spero) e basta», dice, ridendoci un po’ su.

Inizialmente da giovane Ingrassia aveva intrapreso una strada diversa: si era iscritto a giurisprudenza. Ben presto, però, aveva capito che non sarebbe stato il suo futuro. Da sua madre, Rosaria Calì, Giampiero ha ereditato la passione per la musica e da suo padre, Ciccio Ingrassia, del celebre duo Franco e Ciccio, la coinvolgente vena comica e quella naturale simpatia che trapela anche al telefono.

“Gigi è stato un grande Maestro, un amico, un secondo padre”

«Mi piaceva la musica, ero circondato da copioni e così ho iniziato a studiare». Nel 1983 fece il provino per entrare nel Laboratorio di Esercitazioni Sceniche diretto da Gigi Proietti a Roma e frequentandolo capì che il teatro sarebbe stato la sua vita. «Gigi è stato un Maestro, un amico, un secondo padre. Mi ha aiutato a trovare la mia strada e aveva creduto tanto nella scuola. Noi allievi stavamo lì a sbirciare ogni sua mossa, ogni suo sospiro, ogni sua battuta per imparare». Da maestro prima e da collega poi sul palcoscenico, sono tantissimi i ricordi che Giampiero custodisce «dell’ultimo grande artista italiano». Le cene, le prove, le barzellette e la sua straordinaria umanità dentro e fuori il teatro, «come quella volta in cui, durante le prove del Cyrano, aveva urlato dal palcoscenico per sapere come stessi dopo che un collega mi aveva colpito per errore all’altezza del sopracciglio con la spada», ricorda con tenerezza.

«La sera prima che morisse ho visto le notizie sul cellulare e c’era scritto che era stato ricoverato d’urgenza. Ho pensato “domani gli scrivo per sapere come sta”». Avrebbe voluto postare una storia su Instagram quella sera, ma non l’ha fatto. «Poi alle 7, quando mi sono svegliato ho letto la notizia e sono scoppiato a piangere. Mia figlia mi ha sentito e ha capito cosa fosse successo». Ingrassia ha seguito il funerale da casa ed è stato impossibile per lui trattenere le lacrime. «Gigi era la storia della cultura e della comicità, soprattutto per i romani, e morire il giorno del suo compleanno così come Shakespeare ne ha soltanto alimentato la leggenda». Sui suoi social ha postato la prima foto insieme al suo Maestro durante le prove al Laboratorio nel 1984 e l’ultima scattata il 22 dicembre 2019.

“Durante il primo lockdown noi attori avevamo sfruttato il tempo a disposizione per leggere e scrivere testi. Ma, mi chiedo adesso, da proporre a chi?”

«Durante il lockdown di marzo non gli ho scritto perché ognuno ha vissuto quel periodo in maniera diversa», dice l’attore ma aveva chiacchierato con Proietti l’ultima volta proprio il giorno in cui  Gigi aveva fatto visita al suo camerino nella Sala Umberto di Roma, durante l’ultima replica del musical La piccola bottega degli orrori che sarebbe dovuto tornare in scena per una lunga tournée a ottobre di quest’anno. «È stato bloccato tutto, così come lo spettacolo Maurizio IV con Gianluca Guidi». A fine febbraio la prima a Napoli, un’altra data al Teatro Cilea e poi il primo stop a inizio marzo. Solo il 9 ottobre, dopo otto mesi di fermo, il duo aveva di nuovo calcato il palcoscenico della Sala Umberto a Roma dove lo spettacolo sarebbe dovuto andare in scena fino al 25 ottobre per poi proseguire in tutta Italia. Tuttavia, dopo quattro date, Maurizio IV era costretto a fermarsi una seconda volta.

«Ci vuole tempo per preparare uno spettacolo, così come per organizzarlo. La tournée si decide mesi prima e ha dei costi. Durante il primo lockdown noi attori avevamo sfruttato il tempo a disposizione per leggere e scrivere testi, ma, mi chiedo oggi, da proporre a chi? Adesso nessun produttore penserebbe mai di lavorare e scommettere su un nuovo progetto. Non ne vale la pena perché non si sa quando si potrà ripartire», afferma l’attore con amarezza mista a rabbia. E proprio sul futuro dei teatri si dice pessimista. «Molti si sono fermati e non ripartiranno più. Alcuni hanno riaperto quando è stato possibile rispettando tutte le regole, riducendo gli attori in scena e accogliendo fino alla metà della platea, in alcuni casi anche meno. Il pubblico è tornato a teatro, distanziato e con le mascherine, ma molti, come anche amici miei di 60-65 anni, erano preoccupati e non si sentivano al sicuro».

Al contrario, il cinema e la televisione hanno continuato a lavorare sui set, «ma non potevamo riversarci tutti sul grande o piccolo schermo. Sono lavori diversi e oggi chi ha un posto o a chi viene offerta una parte per una fiction non credo che rifiuti», commenta Ingrassia. «Il teatro è contatto, sudore, alitarsi l’uno sull’altro. Tutto questo manca. Uno spettacolo teatrale online farebbe perdere l’essenza del teatro e soprattutto il rapporto con il pubblico e gli applausi. È un po’ come fare l’amore con una donna, ma solo per due minuti e poi andare via».

Grazie all’associazione Unita (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo), attiva per la tutela della dignità professionale dei lavoratori dello spettacolo, «noi attori e attrici ci stiamo battendo per i nostri diritti, rivolgendoci direttamente anche al ministro dei beni culturali, Dario Franceschini». La risposta all’appello è giunta dopo giorni di trattative tra i rappresentanti di categoria e il MiBACT che, secondo quanto riportato nel comunicato stampa, ha reso disponibili 20mila euro da destinare ad attori, cantanti, danzatori, musicisti e circensi. «Ma ci sono delle restrizioni: infatti possono richiedere il contributo solo coloro i quali hanno un reddito inferiore a 50mila euro nel 2019. Io lo supero, ma continuo a pagare le bollette, le tasse e l’Iva.»

In questo periodo di incertezze e difficoltà per l’intero settore, ciò che preoccupa maggiormente Giampiero Ingrassia è il pensiero di «chi nei salotti televisivi afferma che se si chiudono i teatri non succede niente» e quella paura che, «se resteranno a lungo chiusi, la gente non sarà più abituata ad andare a teatro», spingendo così a un inevitabile declino la cultura nel nostro Paese.

Ma se suo padre fosse ancora vivo come avrebbe commentato questo assurdo momento storico? «Papà avrebbe detto “soprassediamo”, come nel famoso sketch con Franco che, in chiusura, gli si lancia in braccio, e proprio Franco Franchi sicuramente avrebbe esclamato in dialetto siciliano “Ciccio, a schifìu finisci” (qui finisce male, ndr».