Alessandro Renna inizia la sua carriera nel mondo della televisione nel 1988, come montatore in Rai, prima al Tg1 e al Tg3, poi in tantissimi programmi di approfondimento.

Da ormai 26 anni è al fianco di Michele Santoro, fondamentale per la sua crescita professionale, «perché mi ha permesso di diventare, da montatore, regista». È come montatore, infatti, che Renna vince il premio Ilaria Alpi nel 2000. Per molto tempo ha curato la regia dei programmi di Lucia Annunziata e poi ha seguito Santoro nell’avventura di Servizio Pubblico, contribuendo alla sua nascita e sentendosi pioniere, «perché, finché non andammo in onda la prima volta, non eravamo sicuri di farcela». Negli anni in Rai ha conosciuto Ilaria Alpi.

Nella storia del Premio Ilaria Alpi, lei è il primo (e unico) ad aver conquistato la menzione speciale della giuria per il montaggio.
Era il 2000: vinsi grazie al montaggio di Neve Nera, un reportage realizzato per Sciuscià da Riccardo Iacona e Giovanna Botteri. All’epoca fece molto scalpore perché nessun approfondimento giornalistico aveva analizzato così bene il fenomeno del leader austriaco Haider, che, senza fare grandi paragoni, assomiglia un po’ all’attuale ascesa della Le Pen in Francia.

Il premio ha cambiato la sua vita professionale?
Sono stato contento di vincere innanzitutto in quanto amico e collega di Ilaria, ma sicuramente è stato anche uno dei primi riconoscimenti importanti della mia carriera. Più che cambiare la mia vita professionale, almeno per quella stagione il premio ha posto in evidenza il lavoro del montatore: sarebbe bello che si continuasse a premiare questo ruolo con più continuità, perché anch’esso è parte integrante del lavoro giornalistico d’inchiesta ed è fondamentale, quando la ripresa e la fotografia. Eppure è una figura che man mano rischia di scomparire: i nuovi giornalisti vengono formati affinché siano sempre più autonomi nel montaggio e nella confezione del servizio dall’inizio alla fine. È importante che il giornalista conosca il montaggio e sappia come costruire un servizio. Ma quest’idea che ormai il giornalista fa l’operatore, il montatore, il regista, penalizza le singole professionalità. Oggi i ragazzi che iniziano a lavorare in campo giornalistico sanno che con un computer e una telecamera possono fare tutto, ma non hanno ben chiara qual è la loro vocazione. Io consiglierei di evitare quest’assimilazione delle figure professionali.L’idea che ormai il giornalista faccia anche l’operatore, il montatore, il regista, penalizza le singole professionalità.

Da montatore, è diventato regista di programmi come : l’esperienza precedente le è servita?
La regia di un programma di approfondimento giornalistico non è altro che un montaggio in diretta: con le tue inquadrature bisogna essere in grado trasmettere al pubblico a casa ciò che accade in studio, possibilmente con la stessa velocità ed emozione. La vera difficoltà è che in un programma come Servizio Pubblico non si può mai sapere in anticipo quello che succederà: non ci si aspetta che Berlusconi si alzi e spolveri la sedia; in quel momento bisogna agire con istinto, lucidità e follia.

L’affiatamento con la squadra è importante?
È fondamentale. Attualmente gestisco 12 operatori in studio, per 13 telecamere, più chi sta dietro le quinte. Nelle grandi aziende si pensa che un operatore valga l’altro: per me è importante avere sempre lo stesso gruppo di persone, con cui basta una parola per capirsi e io e Michele Santoro facciamo di tutto perché sia così. Nel gruppo degli operatori di Servizio Pubblico c’è anche l’operatore di Neve Nera, con cui vincemmo il premio.

Due anni fa, per la prima volta, hai fatto parte della giuria del premio Ilaria Alpi: che valore ha questo premio nella realtà giornalistica italiana?
Negli anni, quasi tutti i vincitori di questo premio, come Marco Fubini e Pablo Trincia di Le Iene, vincitori della scorsa edizione, hanno partecipato con prodotti di alta qualità. Nel settore, è uno dei premi cui si fa riferimento per vedere le cose più belle realizzate durante l’anno: prima d’essere giurato me ne ero reso conto, come giurato ne ho avuta la prova definitiva. In giuria ho cercato di dare spazio ai più giovani, per permettere loro di crescere: se un ragazzo vale, credo sia giusto dargli il mio voto. Ilaria al Tg3, nonostante fosse giovanissima, ha realizzato cose che persone professionalmente più anziane e affermate non sono state in grado di fare.“Ilaria aveva un entusiasmo così spiccato che lo si percepiva ancor prima di parlarle, solo guardandola”

Che ricordo hai di Ilaria?
Ilaria è arrivata al Tg3 grazie ad una borsa di studio: aveva una passione grandissima per il suo lavoro, anche grazie all’età. Aveva un entusiasmo così spiccato che lo si percepiva ancor prima di parlarle, solo guardandola. Io con lei ho lavorato poco, non sempre montavo con lei, ma eravamo vicini di casa nel paesino appena fuori Saxa Rubra e quando ci incrociavamo in macchina, sulla strada che ci portava in Rai, ci salutavamo sempre. Quella maledetta domenica ero proprio al Tg3: stavo lavorando quando Flavio Fusi diede la notizia. Sembrò una follia: chiedemmo più volte se fosse davvero accaduto, pareva incredibile.

Quali sono i valori di Ilaria che hai apprezzato di più?
Era una persona estremamente semplice, questa è la cosa che di lei ho sempre apprezzato. Proprio per questo vicina alle persone semplici ed umili: credeva nel lavoro che faceva e grazie a questo lavoro cercava di portare alla luce la storia di chi subiva correttezze ed ingiustizie.