L’Italia è un Paese fragile. Una fragilità che parte dallo stesso territorio che ogni giorno calpestiamo, anche metaforicamente. Secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, quasi il 94% dei Comuni italiani è a rischio dissesto ed è soggetto ad erosione costiera grave: otto milioni di persone abitano in queste zone di pericolositàCome se non fosse abbastanza, il 7% del territorio nazionale è cementificato, un materiale che sappiamo bene non essere poroso: le piogge scivolano facilmente e si raccolgono altrove.

“I governi e le amministrazioni italiane che si sono susseguite hanno cementificato dove non dovevano cementificare – dice Elisabetta Tola, ricercatrice, giornalista di Radio3 Scienza e divulgatrice scientifica a Magzine.it – . Abbiamo costruito abitazioni e gestito corsi d’acqua  in modo poco sensato: il trattamento che dobbiamo riservare al nostro territorio deve essere in linea con i dati attuali”. Dello stesso parere è Andrea Fiorini, ricercatore del Dipartimento di Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che aggiunge: “In parallelo alle precipitazioni violente a cui stiamo assistendo in questi giorni – si riferisce agli oltre 500 millimetri d’acqua caduti in 36 ore in Emilia Romagna – c’è un’altra emergenza che sembra ora in secondo piano. La siccità esiste ancora. Probabilmente una settimana fa, nei campi dell’Emilia Romagna, la situazione era disperata e per far fronte al problema si pensava ad un piano strategico che aumentasse i bacini d’acqua per favorire il loro mantenimento”. 

Secondo Elisabetta Tola, giornalista scientifica, “in questi casi il termine maltempo è improprio. Stiamo puntando l’attenzione su un evento singolo, giustamente, ma bisogna capire che quest’evento fa parte di un insieme globale estremamente più complesso”

Questi due grandi problemi, che sembrano opposti e che possono viaggiare all’unisono, sono invece più collegati che mai. Entrambi sono fattori di un comune denominatore, anzi, di due: la mano dell’uomo e la crisi climatica. Comuni denominatori che non vengono presi in considerazione quando si parla di questi eventi estremi e spesso nella comunicazione dei media vengono confusi come del semplice maltempo: “Esattamente – ci spiega Tola – il termine maltempo è improprio. Nell’immaginario è molto legato al fatto singolo. Stiamo puntando l’attenzione su un evento singolo, giustamente, ma bisogna capire che quest’evento fa parte di un insieme globale estremamente più complesso”. Quindi un sistema che andrebbe tenuto presente e con tutte le forze, contenuto. 

Dopo l’alluvione che ha colpito il territorio dell’Emilia Romagna si sono accesi molti dibattiti, di cui uno dura da anni e che oggi diventa un po’ più attuale. C’è un sistema che servirebbe per contenere le acque del fiume: le casse di espansione. Un’opera che riesce a ridurre la portata dell’acqua durante la piena di un fiume. Le casse di espansione però ci sono solo in Emilia, non in Romagna e quelle che ci sono, vengono ritenute insufficienti e poco controllate. I danni, ora calcolati  a 1,5 miliardi di euro, puntano il dito anche sulla cattiva gestione e la poca manutenzione, problemi che non sono sbucati dal nulla.

cassa di espansione

Già da inizio maggio in Regione se ne discuteva: l’opposizione di centrodestra questa volta puntava il dito contro l’amministrazione. Sul banco degli imputati c’è  la Regione Emilia-Romagna che non avrebbe speso in tempo i 55 milioni di euro per la manutenzione di tutta una serie di corsi d’acqua e fiumi, alcuni dei quali sono stati proprio oggetto di rotture nell’alluvione di fine aprile e dei giorni scorsi. La Regione aveva già replicato come quella somma fosse destinata alla navigabilità del bacino idrico ferrarese ma la polemica è stata ripresa dal partito Fratelli D’Italia, che ha poi attaccato l’allora presidente e vicepresidente di viale Aldo Moro, e cioè Stefano Bonaccini e la segretaria del PD Elly Schlein.Avremmo dovuto investire tutte le nostre risorse per cercare di attenuare gli effetti del cambiamento climatico” aggiunge Marco Trevisan, presidente del Dipartimento di Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. “Ma è chiaro che per fare queste operazioni di attenuazione ci vogliono anni: non si possono fare in due giorni”. Non bisogna solo sfruttare le risorse ma pianificare per tempo ciò che si intende fare. “Ci devono essere dei piani di gestione che provino anche ad immaginare adattamenti e modifiche che prendano in considerazione i dati scientifici degli ultimi anni”, afferma  Elisabetta Tola. Solo in questo modo si può giungere a soluzioni concrete e si può far fronte in modo più efficace ad una prossima emergenza di questo tipo.