Ci sono strade ricolme di folla, in cui i rumori generati dagli attriti tra manifestanti e polizia si mescolano alle grida innalzate da chi protesta: «guerra civile», «abbasso Boluarte», «restituiteci il presidente Castillo». E poi ce ne sono altre, deserte: le forze dell’ordine le hanno sgomberate per arginare il dilagare dei moti antigovernativi che, dai campesinos delle aree rurali si sono estesi adesso fino alla capitale. È accaduto all’università di San Marcos, a Lima, trasformatasi in accampamento di centinaia di manifestanti provenienti da svariate località del Paese; è successo al sito archeologico di Machu Picchu, «per tutelare la sicurezza dei turisti e della popolazione in generale»; è così in alcune miniere di rame nella regione di Cusco, dove le attività sono state sospese perché nel mirino di continui attacchi. C’è chi sventola la bandiera nazionale, chi si batte, chi viene ferito, chi piange, chi muore.

Sono immagini che descrivono un Perù ormai da due mesi vittima di disordini e scontri. A farli scattare era stata la destituzione dell’ex presidente Pedro Castillo; ad alimentarli adesso è una triade di motivazioni che può essere così riassunta: dimissioni della nuova presidente in carica Dina Boluarte, elezioni anticipate e una nuova Costituzione. «Molte persone, quando vengono intervistate, rispondono così. Ma andando a fondo e chiedendo loro il perché vogliano questi cambiamenti spesso non sanno spiegarsi: io credo che sia lì il vero problema». Juan Carlos Guerrero Ruiz, peruviano e adesso residente in Spagna, guarda con preoccupazione alla situazione del suo Paese. «Le richieste della popolazione che protesta sono legittime: reclamano perché non c’è educazione, hanno fame e sete. Il problema è che questi argomenti reali e l’ignoranza che spesso la povertà porta con sé vengono strumentalizzati da ampie frange della politica per arrivare al potere, generando il caos». «Le richieste delle persone che protestano sono reali e urgenti: non c’è educazione, cibo, acqua. Queste motivazioni, però, vengono strumentalizzate dalla politica al fine di ottenere il potere generando il caos» spiega Juan Carlos Guerrero Ruiz.

La mancata approvazione parlamentare del progetto di legge proposto da Boluarte per richiedere l’anticipo delle elezioni generali agisce come una ventata su una miccia già accesa e pronta ad esplodere. «Dal mio punto di vista, così come da quello di quasi tutti i costituzionalisti peruviani, è stato deposto un presidente che, dichiarando la chiusura del Congresso, si è reso artefice di un auto-golpe sforando i suoi poteri: la sua destituzione da parte della maggioranza parlamentare e la successione della sua vice sono avvenute nel pieno rispetto della legalità – spiega Loris Zanatta, senior advisor dell’Ispi per l’America Latina –. Dopodiché ovviamente c’è chi interpreta: molti sono militanti di gruppi politicizzati e ideologizzati; altri si richiamano all’indigenismo radicale e influenzato dalla vicina Bolivia; altri ancora rivendicano vecchie tradizioni marxiste-leniniste. Sono correnti variegate ma accomunate dal tentativo di approfittare di questa crisi per rovesciare il governo».

Alla radice ideologica delle proteste: il simbolo di Castillo

«Castillo ha alimentato la narrativa per cui l’inoperanza del suo governo non fosse causa della sua incapacità, ma il risultato di un ostruzionismo da parte del Congresso. Questo ha fatto sì che, nonostante la costituzionalità della sua destituzione, la percezione di gran parte della popolazione è stata quella di una misura estrema, radicale e sbagliata, forzata dai partiti di destraTiziano Breda, ricercatore per l’IAI sull’America Latina, chiarisce così i motivi della discesa in piazza iniziale –. Da lì l’insofferenza per la Boluarte: nonostante fosse nella cerchia di Castillo, la dura repressione statale che ha imposto ne ha deteriorato rapidamente l’immagine. In questo momento la si associa in qualche modo con uno Stato restio al cambiamento e insensibile dinnanzi alle esigenze sociali». «La narrativa alimentata da Castillo sull’ostruzionismo da parte del Congresso contro di lui chiarisce come mai i manifestanti ritengano illegittima la sua destituzione e siano insofferenti invece per la Boluarte, artefice di una dura repressione statale per arginare le proteste» chiosa Tiziano Breda.

Al di là delle richieste politiche sollevate dai manifestanti, esiste una dimensione ideologica e antropologica molto forte che sostanzia le proteste. Non si tratta di valutazioni legate alle capacità e all’operato effettivi dei due presidenti – il governo di Castillo si è rivelato, anzi, per molti aspetti disastroso. Ad essere in gioco e a mobilitare gli animi dei cittadini sono i simboli e i valori che Castillo e Boluarte incarnano rispettivamente. «Castillo è l’”ultimo Inca”, cioè l’”Incapas”: un incapace totale e assoluto, che però impersona il riscatto delle popolazioni indigene e rappresenta il Perù tradizionale, quello della Sierra, anti-occidentale, anti-moderno, anti-liberale e anti-capitalista. Tutte le forze che, non solo in Perù, ma nell’intera America Latina, si richiamano a questi valori, vedono in lui il simbolo che invece non riconoscono nella Boluarte, molto più legata all’establishment», riprende Zanatta.

Fragilità politica e crescita economica

I sedici mesi del governo Castillo hanno rivelato una profonda instabilità e incompetenza, soprattutto nella gestione dell’emergenza pandemica. È necessario, però, in Perù distinguere lo scarto clamoroso che negli ultimi vent’anni si è generato tra dimensione socio-economica e politica. Come spiega Loris Zanatta, negli ultimi vent’anni il Perù è stato protagonista di una grande crescita economica, che stride invece con la profonda instabilità politica e istituzionale in cui versa il Paese. Nonostante il discredito che ha colpito la classe governativa e la fragilità delle istituzioni, l’economia peruviana è stata protagonista di una vistosa crescita. «Vent’anni fa nessuno avrebbe creduto che il Perù avrebbe accolto così tanti esuli venezuelani: all’epoca la ricchezza del Venezuela contrastava con l’estrema povertà peruviana. Poi i rapporti di ricchezza si sono invertiti e la presenza di questi immigrati rende la misura di quanto sia cambiato». «I processi di sviluppo, tuttavia, non generano pace sociale: al contrario, creano aspettative e questo è quello a cui si assiste in qualche modo in Perù, dove una parte della popolazione più radicalizzata prende di mira gli effetti della modernizzazione. Il rischio di queste proteste è che venga “buttato via il bambino insieme all’acqua sporca” e cioè che le fonti di sviluppo, che andrebbero coltivate, vengano invece recise».