Io mi ingegno come posso/e sono sempre qui connesso/ma se non vuoi tirarmi scemo/non andare più a Sanremo. Così scrive il cantautore Daniele Silvestri in uno dei suoi ultimi brani, Complimenti ignoranti uscito lo scorso 11 gennaio. L’autore – tra i 24 partecipanti della 69esima edizione del Festival di Sanremo, in onda da stasera su Rai 1 – si immedesima nella voce di un ipotetico fan arrabbiato che lo rimprovera di predicare bene e razzolare male, mostrando una mancata corrispondenza tra stile di vita quotidiano e volontà di intenti espressa nei propri versi. Il finto (che tanto finto potrebbe anche non essere) accusatore, infatti, ammonisce: La villa a Fregene e fai la morale/le donne le cene ti sembra normale/ti fingi vegano ma mangi maiale/sei fake di Daniele Silvestri ufficiale.

Un risentimento, questo, che sta prendendo sempre più piede tra i fan(atici) di cantanti ormai troppo frequentemente accusati di incoerenza artistica. Il caso sanremese più recente è sicuramente quello della band indie Lo Stato Sociale, presentatasi l’anno scorso con Una vita in vacanza, canzone da medaglia d’argento e vittoria morale del Festival che ha, però, attirato a sé anche non poche accuse e polemiche. Nel 2012, infatti, in Sono così indie scrivevano Sono così indie che uso la parola indie da dieci anni/e nessuno ha ancora capito che cosa vuol dire (eh)/però andiamo a Sanremo che non è una cosa molto indie, in un manifesto (in)coerente e quasi premonitore.

La band è, però, poi andata davvero a Sanremo, ha conquistato tutti e ha smesso di essere “così indie”. Incoerenza o pura evoluzione artistica che partendo come Primati della musica – il titolo del loro ultimo lavoro che a febbraio 2018 ha per la prima volta raccolto i grandi successi della band, accostando il Sono così indie a Una vita in vacanza – si consacrano a veterani della scena pop?

«L’indie non esiste, è solo un’etichetta usata come ethos e modo di proporsi. È un metodo di produzione, ma in termini pratici non esiste più, perché nessun artista è davvero indipendente». Gianni Sibilla: «L’indie non esiste, è solo un’etichetta»Commenta così il direttore del Master in Comunicazione musicale dell’Università Cattolica Gianni Sibilla, evidenziando la stretta correlazione tra “rumorosità fanatica” e accusa di incoerenza. Per il docente, infatti, «per un artista a un certo punto Sanremo arriva, perché è una semplice vetrina che permette di raggiungere un pubblico più ampio a cui qualsiasi cantante aspira».

Il Festival, quindi, è l’evento mainstream per eccellenza, snobbato da chi vuole autoconvincersi di essere controcorrente, ma che in realtà è più alla moda dei sinceri amatori della kermesse.

E se da un lato le polemiche continuano, con le accuse social mosse agli Ex-Otago, concorrenti della 69esima edizione sanremese, dall’altro il Festival che approda stasera si svecchia e porta a sé nuovi nomi della scena musicale. La 69esima edizione del Festival porta sul palco nuovi nomi della scena musicale italianaAi veterani del palco dell’Ariston e della musica italiana, infatti, si aggiungono l’indie dei The Zen Circus, Motta ed Ex-Otago, la trap di Achille Lauro, il rap di Briga, Ghemon, Livio Cori e Shade, la ritmica salentina dei Boomdabash, la quota talent di Irama e Einar. Il tutto riassunto sotto il segno della grande rivoluzione di Baglioni che l’anno scorso ha celebrato i suoi cinquant’anni di carriera col debutto da conduttore e ora torna ponendo la canzone di nuovo “al centro” – dal nome del suo ultimo tour – della kermesse.

Merito del cantautore romano, quindi, è quello di avvicinarsi al nuovo sistema musicale, fatto di cambiamenti e nuovi mezzi di comunicazione: «Oggi gli artisti devono raccontarsi in maniera diversa – continua Gianni Sibilla – non solo attraverso la musica, ma anche con la propria personalità». Si entra così in un circolo vizioso di falsa accessibilità degli artisti che, ponendosi in un’apparente vicinanza con i propri fan, illudono questi ultimi di essere meno divinizzati e irraggiungibili. All’aumento di visibilità, quindi, si accosta una crescente mitizzazione del proprio idolo a cui spetta il compito di assoluto rispetto di una perfezione richiesta, ma non concessa. Inevitabile, quindi, è il misunderstanding per cui scatta l’automatico senso di tradimento da parte dei fan.

Se da un lato, però, i “tempi profondamente cambiati” abbiano prodotto un fanatismo smisurato e a tratti aggressivo, dall’altro la molteplicità di strumenti ora a disposizione consente agli artisti di nascere da differenti piattaforme, farsi conoscere più facilmente e creare un racconto completo di sé. Elemento cardine deve comunque essere la coerenza artistica, per cui «non si può parlare di tradimento del fan, ma se un artista cambia completamente direzione viene meno la narrazione che ha costruito e a cui lavora un team costituito da manager, ufficio stampa, casa discografica e promoter», continua Sibilla.

Modernità, quindi, non significa necessariamente minor qualità musicale o cantautorale. Per il critico, infatti, «oggi certo non possono nascere i nuovi Beatles e quelli degli anni Sessanta non sarebbero mai andati a un talent, perché figli della loro epoca. Allo stesso modo, però, abbiamo ancora esempi di cantanti destinati a durare nel tempo».

Tra questi, i rapper Salmo e Ghali che, secondo Sibilla, «hanno tutte le potenzialità di rimanere, perché autori di una certa caratura». Un avvertimento, però, che merita le dovute precauzioni, perché «il discorso del “si stava meglio quando si stava peggio” a me non piace – «Non mi piace il discorso del “si stava meglio quando si stava peggio”. Oggi è semplicemente diverso», precisa Gianni Sibillaaggiunge il direttore del master – Oggi è diverso e per dare un giudizio qualitativo dovremo semplicemente aspettare di osservare la situazione con maggiori distacco e spirito critico, perché finché si è immersi nel presente è difficile fare un’analisi in prospettiva storica».

Se i cambiamenti della scena musicale, quindi, avranno effetti positivi “lo scopriremo solo vivendo” per citare chi esattamente cinquant’anni fa proprio sul palco dell’Ariston si presentava con Un’avventura destinata a vivere per sempre, nonostante l’unica partecipazione al Festival, portafortuna e avvio di una brillante carriera. Senza quel nono posto, infatti, il duo Battisti-Mogol probabilmente non avrebbe mai scritto la celebre frase di Con il nastro rosa che nel 1980 è automaticamente entrata a far parte del linguaggio comune. Chi l’avrebbe mai detto?