“A volte non voleva essere Freddie Mercury; però, dopo un momento di sconforto, saliva sul palco per il Live Aid e ci donava una della migliori performance rock della storia”. È stato uno dei più grandi, se non il più grande artista della storia del rock e Peter Hince lo ha conosciuto molto da vicino. Freddie Mercury e i Queen vengono raccontati nella loro veste più intima e inedita da chi ha avuto la straordinaria occasione di seguirli da vicinissimo. Non un fotografo ufficiale, ma quasi un confidente: Peter Hince ha avuto accesso diretto allo scrigno segreto dei momenti cruciali della carriera dei quattro portenti londinesi del rock degli anni Settanta e Ottanta. E ha costruito un rapporto di fiducia con Freddie Mercury: “Si fidava molto di me, eravamo buoni amici e ci rispettavamo reciprocamente”.

La mostra Queen Unseen, inaugurata all’Hard Rock Cafè in via Dante nel centro di Milano, è una raccolta delle fotografie più intime che l’amico delle rockstar Peter Hince ha scattato alla band dalla metà degli anni Settanta fino alla fine degli anni Ottanta. La mostra si sposterà, dall’8 febbraio fino al 21 aprile,  sempre a Milano alla Fondazione Luciana Matalon, in Foro Buonaparte 67, arricchita da una serie di foto e cimeli storici appartenuti ai Queen.

A Milano, approda Queen unseen, la mostra fotografica sui  Queen di Peter Hince: uno sguardo intimo sulla rock band negli studi di registrazione. L’autore: “Ognuno di loro era indispensabile all’altro. Freddy era indispensabile a tutti”

Si tratta di un osservatorio del tutto interno. Tra la metà e la fine degli anni Ottanta, Peter e Freddie hanno vissuto insieme: “Avevamo un rapporto più stretto quando vivevamo a Monaco e a Montreux, durante la realizzazione degli album, perché vivevamo insieme e poi, dopo il lavoro, e le session infinite, tornavamo al mio appartamento”. Hince si è ritrovato nel vortice dell’industria discografica in un’epoca in cui emergevano i più importanti interpreti di quella generazione e i più grandi artisti della storia. In quel periodo, Peter ha lavorato con altri grandissimi musicisti da Mick Ronson a Lou Reed, da Brian Eno a David Bowie: “Penso che Under Pressure sia una delle cose migliori che i Queen abbiano mai fatto ed è nata così spontaneamente”. Il duetto storico tra Bowie e Freddie Mercury è la fusione purissima di due voci straordinarie. Under Pressure è un inno generazionale, una riscoperta delle fragilità narrata da due artisti vulnerabili ed estremamente autentici.

La testimonianza di Peter Hince mostra i retroscena del successo di una delle band più originali e rivoluzionarie del secolo scorso: “Volevano essere la band più grande del mondo, sin dagli inizi quando sono arrivato io, ma ovviamente c’è voluto del tempo. Non avevano solo ambizione, ma soprattutto un grande talento”. Abbiamo chiesto a Peter quale lavoro ci fosse dietro questo talento smisurato, quante ore passate in studio e quanti sessioni di registrazione servivano per ottenere l’album desiderato, per dei perfezionisti come Freddie Mercury, John Deacon, Roger Taylor e Brian May. E, soprattutto, se c’era un vero leader nella band.

“Erano tutti e quattro personaggi diversi che costituivano una grande band: toglierne uno sarebbe stato come rinunciare ai Queen. In molti associano la band a Freddie ma lui stesso rifiutava sempre questa cosa e si arrabbiava molto quando accadeva. Diceva: “Noi siamo in quattro, io sono il cantante principale ma poi l’apporto di John, Roger e Brian è fondamentale. Senza di loro i Queen non esisterebbero”.

Lo scontro tra questi quattro giganti ha mai avvicinato la possibilità di uno scioglimento definitivo?

Intorno al periodo del Live Aid (13 luglio 1985) c’erano profezie sullo scioglimento imminente della band: avevano perso il successo americano a causa di decisioni commerciali sbagliate e non avevano un management. John (Deacon, bassista) era veramente stufo e stanco. Aveva già quattro o cinque figli e Brian faceva già album da solista, così come Roger e Freddie; quindi sì, c’era una reale possibilità che l’avventura della band potesse finire lì. Inizialmente avevano rinunciato al Live Aid. Non si ritenevano una band politica, fino a quando non li ha convinti Bob Geldof (storico frontman dei Boomtown Rats e attivista irlandese). Sono andati lì, davanti a centomila persone senza fare sound check, settare le luci o nient’altro. Hanno solo mostrato di cosa fossero capaci quattro grandi musicisti. Nella loro formazione a quattro sarebbero stati sempre più forti. Ecco perché sono rimasti insieme.

Com’era la creazione in studio?

Litigavano tutto il tempo in studio: erano quattro musicisti e autori continuamente attivi e pensanti, volevano mettere il loro anche nelle parti suonate dagli altri. Ci sono tanti aneddoti divertenti da raccontare. Se Brian (May, chitarrista) proponeva di suonare alcuni incisi con un groove jazz di scuola New Orleans, Roger (Taylor, batterista) diceva di non essere cieco, nero e con un braccio solo. Avrebbero avuto discussioni su tutto ma in studio tutto si appianava perché Freddy che sapeva sempre la direzione da suggerire al gruppo. Era quello che aveva in testa il progetto finale e con una produzione così mastodontica ci sapeva arrivare molto rapidamente, fatta eccezione per Bohemian Rhapsody. Ci volle un mese per registrarla. Pensavamo fosse un’ipotetica apertura per i concerti del tour di A Night At The Opera (1975, quarto album in studio dei Queen). Non pensavamo che la casa discografica avrebbe mantenuto queste demo infinite. Naturalmente tutti si sbagliavano: i Queen avevano messo insieme i sette minuti più famosi della storia del rock.

Quando vi siete resi conto del grande successo commerciale?

Con l’arrivo di Reinhold Mack (produttore della band 1980-1983) i quattro hanno avuto i più grandi successi commerciali. Dal 1980 hanno messo da parte la loro attitudine hard rock per diventare una grande rock band commerciale. Le canzoni erano ottime ma lo stile era cambiato. In ogni caso Mack era molto bravo e loro hanno dominato il mercato discografico per tutti gli anni Ottanta.

Chi era il più perfezionista nella band?

Roger e John erano dei grandissimi musicisti: in particolare incarnavano la sezione ritmica della band. Brian, invece, era il perfezionista assoluto che registrava le parti, decine e decine di volte. Non era mai soddisfatto. Una volta uscimmo dallo studio dopo una sessione infinita con Roger e Freddie per andare a prendere una birra. Tornammo dopo cinque ore e Brian era ancora nella stessa posizione a registrare. Tutti e quattro quei personaggi ti restituivano a loro modo il genio musicale che era in loro. Non c’è dubbio che senza Freddy non ci sarebbero stati i Queen, ma neanche senza gli assoli di Brian e le sezioni ritmiche di Roger e John. Quando John Bonham dei Led Zeppelin morì nel 1980, gli altri membri decisero di finirla lì. Immagina i Beatles senza uno dei fab four.

Cosa non emergeva pubblicamente delle relazioni tra i quattro?

Una cosa che molte persone non conoscono è il rapporto tra John Deacon e Freddie. Era molto stretto e la tranquillità di John equilibrava l’eccentricità di Freddie. Freddie aveva piena fiducia nelle linee di basso di John, sulle quali poteva scrivere canzoni sempre migliori e musicalmente più complesse. John stesso ha scritto molte delle canzoni cantate da Freddie nel loro periodo in America. La bravura di John era che riusciva in modo paziente a tirare fuori il meglio da Freddie.  Avevano una relazione molto intima, motivo per cui, dopo la morte di Freddy, John ha detto: “ Beh, è finita. Non voglio più suonare con i Queen” Si erano resi conto dell’importanza reciproca di ogni membro del gruppo perché ognuno faceva performare meglio l’altro. Senza John non sarebbero stati la stessa band: era un bassista brillante e, a tratti, robotico. Creava sempre il miglior ritmo, adattandosi al mood della canzone. Freddie non potrebbe mai essere sostituito da nessuno sulla faccia della terra. Se dovessi andare in un seminario del rock n roll e creare a tavolino la rockstar più pazza e stravagante dell’universo, non potresti comunque ricavare Freddie. Nessuno potrebbe rimpiazzarlo. Parliamo di quattro persone molto speciali che – unite – hanno creato una band speciale.

Gallery fotografica dalla mostra di Mirea D’Alessandro