«Quando, come a me nel 1986, veniva data la comunicazione della positività all’Hiv purtroppo non c’erano conoscenze e speranze di vita. In ospedale veniva appiccicata sulle ricette delle persone sieropositive un’etichetta rossa con un teschio quasi ad indicarle come materiali pericolosi». Massimo Oldrini, presidente nazionale della Lila (Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS) dal 2015, si ritiene fortunato perché «a differenza del 90% delle persone che hanno scoperto di avere l’Hiv negli anni Ottanta – dice – sono qua a raccontarlo».

All’inizio degli anni Novanta si è avvicinato all’associazione che oggi presiede, prima per chiedere aiuto, poi per aiutare gli altri. «La Lila mi ha dato gli strumenti per sapere come gestire meglio le situazioni, non tanto e solo di discriminazione o di ingiusto trattamento, ma anche per poter parlare e spiegare cos’ho ai medici e a chi mi trovo di fronte».

“Uno dei problemi da sollevare è la comunicazione istituzionale: non abbiamo mai visto una campagna dove il protagonista fosse il condom che resta lo strumento di protezione migliore”

Da oltre trent’anni la onlus si batte per la tutela dei diritti umani, civili e alla salute delle persone sieropositive o con Aids. «Quando è nata la nostra associazione, in tutti i Paesi occidentali l’Aids era la prima causa di morte per i giovani tra i 25 e i 35 anni e non c’era nessun tipo di evidenza scientifica o trattamento efficace. Tutto era molto poco definito e, in questa poca definizione, purtroppo le questioni su cui impatta l’Hiv – il piacere, l’uso di sostanze, il sesso e le libertà sessuali – erano difficilissime da trattare». I giornali lo avevano definito il morbo gay o la peste del Duemila, veicolando in alcuni casi messaggi fuorvianti e «che ancora oggi spesso alimentano stigma e discriminazione» – afferma Massimo Oldrini – «Non si leggono quasi mai sui quotidiani notizie positive anche di rilievo mondiale come i successi nell’accesso alle terapie o le nuove evidenze scientifiche, ma si parla di Hiv esclusivamente in relazione a fatti di cronaca, dipingendo le persone sieropositive come untori, o intessendo storie pietistiche drammatiche».

Contemporaneamente le istituzioni hanno affidato alle campagne d’informazione la comunicazione della lotta all’Aids e della prevenzione. «Investimenti stratosferici per fare spot con l’alone viola, con i fiori che appassiscono e l’acronimo Aids trasformato in “Avete Idea Della Sofferenza” o ancora campagne con testimonial che mettevano le mani davanti, quindi facendo un gesto come per allontanare le persone con Hiv. Ma soprattutto mai una campagna dove il protagonista fosse il condom». Secondo il presidente della Lila le istituzioni non hanno saputo affrontare nel giusto modo il tema e «la dimostrazione più lampante – dice – è che ancora nel 2020 nel curriculum scolastico di un giovane italiano non sia presente l’educazione all’affettività e alla sessualità».

Anche per questo gli adolescenti e i millennials percepiscono l’Hiv come un tabù e come un rischio lontano dalla propria esperienza. Stando ai dati riportati dall’Istituto Superiore di Sanità nel 2019 sono state effettuate 2.531 nuove diagnosi di infezione da Hiv e l’incidenza più elevata si è registrata nella fascia di età 25-29 anni. «Se si leggono attentamente, quei dati dicono delle cose che dovrebbero essere un pugno nello stomaco per i politici e dovrebbero far arrabbiare molto anche i giovani – afferma Oldrini –. I messaggi sono sempre intrisi di moralismo e di paternalismo, mentre invece devono essere veicolati dei messaggi che responsabilizzano le persone e che danno loro degli strumenti per scegliere e per capire a cosa vanno incontro».

“Le istituzioni continuano a parlare di categorie a rischio e non di comportamenti a rischio”

Secondo quanto emerge dall’ultimo LILA Report, da ottobre 2019 a settembre 2020, 5.600 persone si sono rivolte alla HelpLine, il supporto telefonico dell’associazione, e di queste oltre il 57% ha chiesto informazioni sulla trasmissione dell’Hiv e la valutazione su un’ipotetica esposizione al rischio. «C’è una quota estremamente importante di uomini che chiamano perché hanno avuto rapporti sessuali a pagamento protetti e che, terrorizzati o per i sensi di colpa nei confronti dei loro partner, chiedono informazioni sull’Hiv quando non hanno avuto nessun rischio reale di esposizione al virus.  Le donne sono invece quelle che sanno affrontare meglio le difficoltà del vivere con l’Hiv o del vivere con un marito o compagno con Hiv».  Sempre secondo il rapporto della Lila, 1.295 persone si sono sottoposte al test presso i servizi dell’associazione e di queste quasi il 55% ha dichiarato di non aver usato il preservativo nell’ultimo rapporto sessuale. «Le istituzioni continuano a parlare di categorie a rischio e non di comportamenti a rischio. Quindi chi va con una prostituta si percepisce a super rischio anche se fa sesso protetto, chi invece va con il suo collega che è giovane, in forma, aitante e apparentemente in perfetta salute non usa il condom. Ancora oggi le persone che chiamano e che si scoprono positive dicono di non fare uso di droghe, come se tutto fosse rimasto ad un immaginario di quarant’anni fa».

A suo tempo, chi ha comunicato a Massimo Oldrini di avere l’Hiv «l’ha fatto con una grande timidezza e un grande tatto», ma ciò che gli è stato riferito era quello che potevano dire i medici in quel momento, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dell’anni Novanta, quando ancora non si conosceva nulla di questo virus. «Ricordo che mi disse “adesso lei sta bene però probabilmente tra qualche anno il suo sistema immunitario avrà dei problemi ed entro cinque anni morirà”. Nella maggior parte dei casi, purtroppo, era vero».

“Un tempo purtroppo chi aveva l’Hiv veniva percepito, potenzialmente, come una minaccia per gli altri”

Oggi i decessi per Aids non si sono azzerati, ma fortunatamente gli studi scientifici hanno messo a disposizione delle persone con Hiv delle terapie antiretrovirali. «Questi trattamenti permettono a chi si scopre subito sieropositivo non solo di non morire, ma di avere una prospettiva di vita simile a chi non ha il virus. Ciò significa che le persone possono progettare il loro futuro, possono studiare, possono intraprendere lavori ambiziosi e soprattutto, questa è la cosa più straordinaria e rivoluzionaria, possono avere figli in modo naturale. Anzi, per dirla tutta, possono fare sesso senza condom se seguono correttamente le terapie».

Secondo le evidenze scientifiche vale l’equazione U=U (Undetectable=Untransmittable), ovvero Non rilevabile= Non trasmissibile. Quindi una persona, che da almeno sei mesi ha una carica virale negativa, non trasmette il virus. «Un tempo purtroppo chi aveva l’Hiv veniva percepito, potenzialmente, come una minaccia per gli altri. Per cui questa scoperta ha tolto un alone di pericolosità dalla vita delle persone con Hiv. Poi sono cambiate tante cose; ci sono nuovi strumenti preventivi, ad esempio la PrEP, la profilassi pre-esposizione, cioè trattamenti antiretrovirali assunti da chi ancora non ha l’Hiv per evitare di contrarlo. Purtroppo, però, sono conoscenze poco veicolate».

Eppure nonostante gli importanti passi avanti fatti dalla scienza e dalla medicina, quello che secondo il presidente della Lila non è cambiato è lo stigma, le discriminazioni e la pressione sociale sulle persone che vivono con Hiv. «Nonostante abbiano aspettative di vita di 50-60 anni, non riescono ad ottenere un prestito per il mutuo della casa o un’assicurazione, se decidono di farla. Poco tempo fa in un’università uno studente che doveva fare il tirocinio ha detto di avere l’Hiv, perché si sentiva in dovere morale di dirlo, ed è stato escluso. Così siamo dovuti intervenire noi. Ci sono davvero tante situazioni dove la discriminazione è molto forte e a volte capitano ancora situazioni dove lo stigma e la paura sono presenti anche nei contesti familiari». In molti casi sembra quasi che «i cittadini italiani vivano in una bolla temporale».

L’arrivo della pandemia ha soltanto aggiunto un problema alla vita delle persone con Hiv. «Ovviamente l’impatto maggiore è stato sui centri di malattie infettive, diventati tutti Covid e quindi chiusi. Le visite sono state posticipate, così come gli esami e le indagini diagnostiche specifiche» spiega il presidente Oldrini. Insieme ad altre associazioni, come ArciGay, Caritas e Mario Mieli, la Lila ha quindi chiesto un intervento urgente del ministero perché «le persone con Hiv hanno ancora problemi di approvvigionamento delle terapie e di accesso al proprio reparto».  «Durante l’ultima riunione del Comitato tecnico sanitario, c’è stato un impegno del ministero a costruire dei gruppi di lavoro – racconta Massimo Oldrini -. Speriamo davvero che qualcosa accada perché adesso la situazione è grave come lo era nel marzo e nell’aprile scorsi».