Il deserto del Mojave sta scomparendo. La sabbia è stata sopraffatta da tappeti erbosi, piste ghiacciate, parquet, asfalto. Ci affondano tacchetti, guizzano dischetti, rimbalzano palloni a spicchi, sfrecciano monoposto. Migliaia di tifosi li seguono sugli spalti di stadi e arene fiammanti. Las Vegas sta cancellando l’aridità della terra e dello sport. Il pellegrinaggio di costruttori, federazioni e club, statunitensi e non, desiderosi di trapiantarsi nella città del Nevada, è inarrestabile. È cominciato otto anni fa, e prosegue anche questo fine settimana. Perché San Francisco 49ers e Kansas City Chiefs percorreranno la Strip, inondata dai fan (attesi in 330mila circa), per contendersi il Super Bowl LVIII.
Stanotte (le 00:30 di domani in Italia), sul prato dell’Allegiant Stadium, sarà sollevato il Vince Lombardi Trophy per la prima volta, in quello che sarà un rematch del Super Bowl LIV. A trionfare furono i Chiefs che, nel frattempo, hanno messo in bacheca anche il titolo 2023. Il roster capitanato dal quarterback Patrick Mahomes è alla quarta partecipazione al Super Bowl nelle ultime cinque stagioni. Chiamasi dinastia. I Niners, invece, ci tornano per vendicare la sconfitta nella stagione 2019 e sfatare un tabù in piedi da 25 anni.
La sfida più attesa dell’anno – dagli statunitensi ma non solo – sbarca nella Sin City («Città del vizio»). E gli effetti si vedono. Secondo l’American Gaming Association, circa 1,5 miliardi di dollari sono stati già scommessi legalmente sull’ultimo atto della NFL. Una cifra che, se si considerano anche puntate su piattaforme “illegali” e operazioni online negli altri paesi, lieviterà fino a 23,1 miliardi, ossia il 35% in più rispetto al record registrato nella scorsa edizione (16 miliardi). E, in più, si stima che 68 milioni di americani adulti (circa 1 su 4) scommetteranno sulla finalissima.
Las Vegas ha appiccicato addosso l’appellativo di Sin City dalla metà del Novecento. Il gioco d’azzardo, su cui lucrò per prima la mafia statunitense con le aperture dell’hotel-casinò Flamingo (1946), è stata la miccia per arricchire e incrementare la popolarità della città. Mentre – grazie alla legalizzazione da parte del Senato del Nevada nel 1931, l’unico Stato fino al 1978 – pullulavano case da gioco e bookmakers, la metropoli è stata intralciata nell’ospitare eventi organizzati da leghe professionistiche e NCCA, che gestisce le attività sportive scolastiche. Prendeva forma la Strip, traboccante di slot machine, roulette, tavoli da poker e affollata da scommettitori, ma le franchigie di basket (NBA; WNBA), baseball (MLB), hockey su ghiaccio (NHL) e football (NFL), e college e università ignoravano Las Vegas.
«C’è sempre stato un enorme interesse per Las Vegas come città dello sport, ma le annose preoccupazioni sulla legalizzazione del gioco d’azzardo hanno messo molto a disagio le leghe nell’avere una franchigia. Abbiamo sempre avuto strutture per qualsiasi disciplina al coperto, ma solo hockey di serie B a intervalli regolari dagli anni Novanta», spiega, a Magzine, Nicholas B. Irwin, professore del Dipartimento di Economia della Lee Business School dell’Università del Nevada di Las Vegas (UNLV).
La città è stata il palcoscenico solo delle serie minori. I navigatori satellitari di costruttori, federazioni e club sono stati indirizzati su New York, Los Angeles e Chicago; nel 2003, a ridosso del primo quarto della 37ª edizione del Super Bowl, la NFL ha impedito la trasmissione di uno spot incentrato su Las Vegas, seppur non ci fossero riferimenti al gioco d’azzardo. È stato un marchio d’infamia, però, fino al 2016. Nell’attimo in cui, dalle macerie di alcuni edifici su Paradise, è sorta la T-Mobile Arena per accogliere, l’anno successivo, i neonati Vegas Golden Knights, tra i roster di hockey su ghiaccio più veloci di sempre a laurearsi campioni (2022-2023), ad appena sei anni dalla loro fondazione.
La muraglia si è sgretolata nel 2018, alla pronuncia della Corte Suprema degli Stati Uniti che, ricorda Irwin, «ha annullato il Professional and Amateur Sports Protection Act, ossia il divieto sul gioco d’azzardo sponsorizzato dallo Stato, e ha aperto le porte a tutti gli stati. Ogni preoccupazione sull’influenza delle scommesse sullo sport dovevano essere ignorate. Da lì in poi, le principali leghe sportive professionistiche, come avviene nel resto del mondo, si sono rapidamente avvicinate al gioco d’azzardo». Ma anche a Las Vegas, che ha abbracciato, provenienti da San Antonio nel 2018, le cestiste dei Las Vegas Aces (WNBA) e, due anni più tardi, il roster dei Las Vegas Raiders (NFL), immigrato da Oakland all’Allegiant Stadium, innalzato al costo di 1,9 miliardi per ospitarlo. A cui si sono aggiunti il Las Vegas Ballpark, inaugurato nel 2019 e casa del baseball delle serie minori, e il Dollar Loan Center, aperto nel 2022 e adatto all’hockey su ghiaccio, al football americano indoor e al basket.
Sono lontani gli anni in cui Las Vegas e lo sport incrociavano le proprie strade soltanto sul ring, per le epiche battaglie nella boxe di Muhammad Ali e Mike Tyson. Adesso, un passo alla volta, si sta prendendo tutto. E ha soffiato a Oakland pure il baseball: il 16 novembre scorso la MLB ha ufficializzato che, a partire dal 2028, gli Athletics lasceranno la California per giocare in un nuovo stadio, che dovrebbe sorgere sulle ceneri del Tropicana Resort & Casino. Benché, per ora, ci sia qualche grattacapo perché la sindaca della Sin City, Carolyn Goodman, ritiene la costruzione dell’impianto «senza senso» e ha suggerito alla franchigia di rimanere a Oakland. «Le sue parole mi hanno stupito», spiega, a Magzine, Mario Salvini, giornalista de La Gazzetta dello Sport. «Di solito, negli Stati Uniti uno stadio in centro non rappresenta un problema. Le prove sono Phoenix, San Diego e Baltimora, che hanno il ballpark in centro».
Sulla Strip ha corso, pur incontrando problemi, la Formula 1. Lo scorso novembre, il primo, storico Gran Premio si è disputato su un circuito cittadino così suggestivo da conquistare in un attimo tutti, anche i più scettici. «È stato un enorme successo – prosegue Salvini. Credo siano significative le belle parole spese, dopo la gara, da Max Verstappen, che ha sempre fatto il duro e puro nei confronti di questi gran premi che si corrono in città. Dopodiché sul valore tecnico della pista possiamo dire quello che vogliamo, ma è chiaro che alla Liberty Media (il colosso statunitense a capo della F1, ndr) interessino anche scenari del genere, consapevole che non si può vivere soltanto di tradizione».
Il football c’è; l’hockey pure. Il baseball arriverà; le monoposto ci rombano già. Cosa manca, dunque, a Las Vegas per completare l’opera e diventare la nuova «Capitale Mondiale dello Sport»? L’NBA. O meglio, una squadra NBA. Perché, in realtà, il basket delle stelle è stato da queste parti di recente. A dicembre, infatti, alla T-Mobile Arena si sono svolte le fasi finali del primo In-Season Tournament (nuovo torneo della lega), che, per la sua struttura, strizza l’occhio alle competizioni del calcio europeo. Più volte, negli ultimi mesi, si è parlato di una futura expansion dell’NBA, che potrebbe passare da 30 a 32 squadre, con due nuovi ingressi. E Las Vegas sarebbe tra le candidate per un posto.
Per Salvini, però, dare alloggio a un roster potrebbe essere complicato: «Sarà importante verificare la dimensione del bacino d’utenza che avrebbe la città in termini di spettatori e seguito televisivo, che negli Stati Uniti conta molto. Nel baseball, in una situazione simile, i Colorado Rockies e gli Arizona Diamondbacks hanno deciso di unire un intero stato nel segno di una sola squadra: ce l’hanno anche nel nome. Ma in Nevada temo che servirebbe a poco, perché oltre a Las Vegas non c’è praticamente nulla».
Gli eventi sportivi attraggono e mobilitano, oltre agli statunitensi, tifosi e turisti d’ogni provenienza (40 milioni all’anno), che mettono in circolo denaro. Nel 2022, secondo la UNVL, sono stati quasi 2 miliardi. Ne beneficia pure l’occupazione, che dovrebbe salire del 12,4% fino al 2030. Si riflette, inoltre, sulla partecipazione dei giovani allo sport, come testimonia l’incremento del 683%, dal 2017 al 2022, delle ragazze che praticano l’hockey in Nevada. E, naturalmente, sulle scommesse: dalla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, sono stati spesi 300 miliardi.
La trasformazione di Las Vegas in «Capitale Mondiale dello Sport» è certificata anche dal calendario degli eventi e dai negoziati per organizzarne altri e abbracciare roster. «Abbiamo un gruppo di sport a rotazione che vengono in città per tornei o esibizioni, e la Formula 1 si è impegnata per almeno altri 9 anni. Non credo che si si sia giunti l’apice perché proseguono, sebbene tra ostacoli economici, le trattative per l’arrivo di una franchigia della MLB e dell’NBA», puntualizza Irwin. Il deserto del Mojave lascerà spazio ad altri tacchetti, dischetti, palloni a spicchi, monoposto.