Quando lo scorso primo di aprile dall’urna di Doha furono sorteggiate nello stesso girone dei Mondiali Stati Uniti e Iran, la data del 29 novembre è stata subito cerchiata in rosso sul calendario. E chi lo avrebbe mai detto che sarebbe stata pure decisiva per il passaggio del turno. In palio non c’è solo questo, c’è molto di più: c’è l’orgoglio, l’onore, la voglia di rivalsa, la politica.

Facciamo qualche passo indietro, perché dalla seconda metà del secolo scorso i rapporti tra i due Paesi sono stati tutt’altro che pacifici e gli strascichi di questa ostilità si vedono ancora oggi. Tutto inizia nel 1953, con la cosiddetta “operazione Ajax”, quando i governi di Regno Unito e Stati Uniti orchestrarono una missione per sovvertire il regime democratico in Iran e riprendere il controllo dei giacimenti di petrolio. Fu un vero e proprio golpe firmato dalla Cia. La “vendetta” iraniana arrivò nel biennio 1978-79, con la rivoluzione portata avanti dall’ayatollah Ruhollah Khomeini, che non vedeva di buon occhio la crescente influenza statunitense in Iran, e per questo instaurò una Repubblica islamica sciita, basata su una interpretazione oltranzista della legge islamica. Proprio nel contesto rivoluzionario, il rapporto tra Stati Uniti e Iran si incrinò ulteriormente con la crisi degli ostaggi, nata con l’occupazione dell’ambasciata statunitense a Teheran da parte di un gruppo di studenti iraniani. La crisi si risolse formalmente con gli accordi di Algeri e la liberazione degli ostaggi, ma la diplomazia tra i due Paesi fu ridotta ai minimi termini. Non da meno fu la guerra tra Iran e Iraq, con gli Stati Uniti che diedero pieno sostegno a Saddam Hussein e agli iracheni, additando l’Iran come un Paese che alimenta il terrorismo internazionale.

E in un attimo si arriva al presente, in un contesto iraniano che indigna il mondo intero e che scatena reazioni sociali e politiche contro un regime che reprime nel sangue ogni forma di dissenso. Come segno di solidarietà verso le donne iraniane – dopo il caso Mahsa Amini – la federazione americana ha postato sui propri profili social la bandiera iraniana senza il simbolo della Repubblica islamica, che rimarca la professione di fede islamica “Non c’è Dio all’infuori di Allah”. Un gesto interpretato come un’offesa dalle autorità iraniane, pronte a chiedere alla Fifa addirittura l’esclusione dal Mondiale degli Stati Uniti. Una richiesta che difficilmente verrà ascoltata, ma che rende l’idea del clima di tensione che avvolge questa partita. Gli stessi giocatori iraniani si trovano in un limbo, a metà tra sostenere le vittime e dissociarsi dal regime – non cantando l’inno, come nella prima partita – oppure tornare sui propri passi e sottostare al volere del governo – cantando l’inno, come nel match contro il Galles. Secondo la Cnn, le famiglie dei giocatori sarebbero state minacciate di arresto e tortura se i giocatori non si comporteranno a dovere prima della partita contro gli Stati Uniti.

I giocatori iraniani si trovano in un limbo, a metà tra sostenere le vittime e dissociarsi dal regime oppure sottostare al volere del governo. Le famiglie dei giocatori sarebbero state minacciate di arresto e tortura se i giocatori non si comporteranno a dovere prima della partita contro gli Stati Uniti.

C’è quindi curiosità mista a timore nel vedere quello che accadrà allo stadio Al Thumama di Doha, non solo durante la partita, ma anche negli istanti precedenti. La memoria degli appassionati e non solo torna anche per questo al 1998, quando le due nazionali si affrontarono ai Mondiali di Francia. Dal punto di vista politico, venne considerata la sfida tra “l’impero del male” – citando Reagan – e “il grande Satana” – citando gli iraniani in epoca rivoluzionaria. A Lione, però, fu la partita della pace. Tifosi americani e iraniani si abbracciarono, emulando quando accadde in campo. I giocatori iraniani diedero ciascuno una rosa bianca agli americani in segno di pace e divenne iconico lo scatto con le due squadre mescolate tra loro al centro del campo, poco prima del calcio d’inizio. Poi, come sempre, a parlare fu il campo e si consumò una delle più grandi imprese del calcio asiatico, con l’Iran che sconfisse per 1-2 gli Stati Uniti. Il popolo iraniano – donne incluse – si riversò nelle strade di Teheran, festeggiando con balli e alcol, severamente vietati dalla religione musulmana. Fu una liberazione talmente potente che la repubblica iraniana fu costretta a censurarne le immagini per non veder vacillare il proprio regime. Anche in Qatar la posta in gioco è altissima: agli iraniani basta un pareggio per eliminare i rivali statunitensi e conquistare per la prima volta nella propria storia l’accesso agli ottavi di finale di un Mondiale. L’attesa è finita. La data cerchiata sul calendario è arrivata. Ora, tra due ore, si gioca.

I giocatori di Iran e Stati Uniti in una foto diventata un’icona di pace (FIFA)