Sono 46 i giornalisti uccisi nel 2021, 288 quelli imprigionati. Attualmente si trovano dietro le sbarre 478 reporter e, da gennaio, in 24 hanno perso la vita.  Questa istantanea, scattata dal barometro di Reporters sans frontiers, mette in luce perché la Giornata mondiale della libertà di stampa, che si celebra il 3 maggio, sia necessaria.

Tra le democrazie europee l’Italia è in fondo alla lista per la libertà di stampa. I motivi: scarsa pluralità dei media e molti giornalisti sotto scorta. E quest’anno cresce il legame tra informazione tradizionale e informazione online

“L’Italia è un Paese messo bene rispetto ai contesti non democratici”, spiega Paola Barretta, ricercatrice senior dell’Università di Pavia e coordinatrice del rapporto annuale sulla Carta di Roma. Tuttavia, in termini di libertà di stampa, “rispetto alle altre democrazie europee siamo al quarantunesimo posto, in fondo alla lista”, prosegue.  I motivi sono due: la scarsa pluralità dei media e la presenza di diversi giornalisti sotto scorta, spesso a causa della criminalità organizzata. La concentrazione nelle mani di pochi del sistema dell’informazione italiana e il monopolio dello Stato sulla Rai determina anche “una sovrapposizione tra agenda politica e agenda dei media”, osserva Barretta.

Per avere un quadro più completo sullo stato dell’informazione nel nostro Paese, bisogna aspettare il prossimo 18 maggio, quando verrà pubblicato il report sulla libertà di stampa curato dall’Università di Pavia. Barretta anticipa che un tema centrale nel rapporto di quest’anno sarà l’intermedialità, cioè il continuo rimando fra i temi trattati dai media tradizionali, come televisione e giornali, e Internet. “Nell’ultimo anno si è evidenziato un crescente rapporto tra mezzi di informazione mainstream e informazione online, priva di mediazione giornalistica”. Al contrario di quello che si è sempre pensato, “ci siamo resi conto come queste due agende siano sovrapponibili”, argomenta Barretta. Nel sistema informativo italiano e internazionale, la Rete è un tassello importante nel mosaico della pluralità dei mezzi di informazione. Citando lo scrittore e politico Giulio Cavalli, Barretta evidenzia come sia “interessante valutare i social per la capacità che hanno di uscire dalle bolle. Danno la possibilità di avvicinare un pubblico più ampio, con cui altrimenti non si entrerebbe in contatto”.

Un altro spunto di riflessione che sarà approfondito nel report in uscita tra due settimane è la logica degli sciami informativi, che prevede ondate di interesse per un tema specifico che si gonfiano e sgonfiano con grande rapidità. Prova di questo schema è stata la crisi in Afghanistan dello scorso anno, per pochi giorni sulle prime pagine dei principali quotidiani e poi a stento raccontata. Non è una sorpresa, visto lo scarso apporto che l’informazione italiana ha con le relazioni internazionali. Lo scorso anno, “la pagina degli esteri è arrivata a coprire il 23% dell’agenda dei telegiornali in prima serata, dato molto significativo rispetto al passato”, spiega Barretta.  Questo picco, però, è stato raggiunto solo quando i temi di politica estera riguardavano l’Italia “da vicino”, come nel caso dell’intensificazione dei flussi migratori.

Prima dello scoppio della guerra in Ucraina, uno dei temi dominanti è stato per più di due anni il Covid. La necessaria attenzione dei media al tema si è spesso concentrata, però, più su aspetti di grande impatto sull’opinione pubblica, meno sulle diseguaglianze economiche e sociali causate dalla pandemia. Tre famiglie su dieci hanno avuto seri problemi di accesso alla didattica a distanza: “A fronte di difficoltà sistemiche come questa, si è scelto di raccontare di più il dibattito sui banchi a rotelle. Il rapporto tra i servizi su questi temi è di trenta a uno”, conclude Barretta.