La crisi economica globale innescata dalla pandemia di Covid-19 è forse la più grave della storia, e come tale, non ha lasciato e non lascerà indenne lo sport più seguito al mondo. Il calcio, tuttavia, sembra sempre essere circondato da un’aura che restituisce a chi lo osserva dall’esterno solo una percezione ovattata dei problemi che lo affliggono. Ma le fondamenta del sistema, soprattutto italiano, scricchiolano. I segnali di cedimento ci sono e sono chiari.«I rischi sono alti, sia perché è la più grave crisi che abbia mai colpito l’economia occidentale dopo il Novecento, sia perché la serie A era già un sistema più fragile in partenza», spiega Marco Bellinazzo, giornalista de Il Sole 24 Ore, specialista di economia applicata al calcio.
Più fragile rispetto alle altre leghe europee?
Esatto. La Serie A da anni vive una condizione di grave squilibrio dei conti, in cui i ricavi, a differenza degli altri principali campionati europei, non crescono o crescono molto, molto lentamente. Sono cresciute molto le plusvalenze da calciomercato ma non sempre legate a operazioni non discutibili, spesso i valori sembrano eccessivi e legati più a un tentativo di colmare un gap di bilancio che a un’effettiva valorizzazione di talenti.
Da dove viene questa fragilità?
È mancata quella rivoluzione industriale che doveva consentirle di viaggiare con la stessa velocità della altre leghe. Parlo di stadi, aree commerciali, internazionalizzazione.
Secondo il giornalista Marco Bellinazzo la pandemia, oltre ad avere svuotato gli stadi, rischia di sbilanciare l’equilibrio tra le leghe calcio dei Paesi europei, con conseguente fuga di campioni, dall’Italia all’estero. “Andrebbe trovata una soluzione condivisa a livello comunitario”
Quali sono i problemi ulteriori che la pandemia sta creando?
Ci sono danni ingenti derivanti dalla chiusura degli stadi, a cui si aggiungono quelli legati agli sponsor, che stanno venendo meno o addirittura che non pagano pur avendo dei contratti in corso. Altre volte, chiedono di abbassare il valore della sponsorizzazione, perché la visibilità e lo spettacolo offerti sono ridotti rispetto a quanto preventivato.
Le società fanno fatica a pagare gli stipendi? Il recente caso di Luis Alberto è stato un chiaro indicatore.
Sì, e come lui sono tanti quelli che non sono stati pagati; tant’è che la Figc ha dovuto spostare al primo dicembre il termine per il pagamento del primo trimestre, in attesa che arrivi qualche aiuto pubblico che però è molto complicato per tante ragioni, altrimenti scatteranno le penalizzazioni, anche in classifica, che altereranno la competizione sportiva.
Il presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina, ha invocato più volte un aiuto esterno, dello Stato. Non sarebbe però opportuno anche un intervento interno, un ridimensionamento dei costi?
Sì, sarebbe auspicabile. Da una parte, l’intervento pubblico è necessario per far fronte all’urgenza di assenza di liquidità; dall’altra, questi aiuti dovrebbero essere scambiati con delle riforme endogene e sicuramente la riforma più immediata, che può dare effetti più diretti, è il taglio degli ingaggi.
Non ci sarebbe il rischio di una fuga di campioni all’estero, qualora la Serie A facesse questa riforma?
Sì, infatti una riforma sui tagli coordinata in Europa dovrebbe essere l’obiettivo. Non a caso il presidente della Lega calcio, Gabriele Gravina, ha scritto alla Uefa e ai club europei per proporre un intervento concordato, molto complesso da attuare, nonostante tutti abbiano questa necessità condivisa. Però è chiaro che o una lega decide di porsi dei limiti molto stretti, con il rischio di impoverirsi di talenti, o va trovata una soluzione a livello comunitario. Con tutte le complessità tecniche e politiche che questo comporta.
Le complessità consistono solo nel trovare l’accordo con i calciatori o ci sono altre resistenze?
Ci sono resistenze legate a tutto il sistema di remunerazione dei giocatori e degli agenti, che chiaramente andrebbero a impoverirsi, e la lobby degli agenti è molto potente. Ed esiste poi un problema legato alla libertà di contrattazione che l’Unione Europea potrebbe magari mettere in discussione rispetto alla libera concorrenza delle leghe e alla libera circolazione dei calciatori: problemi quindi di carattere comunitario. Infine ci sono gli interessi delle singole leghe.
Ma le difficoltà non sono per tutti? Quindi anche per la Liga, la Premier League…
Il rischio che corriamo è che la rivalità tra le singole leghe possa ostacolare un intervento condiviso. È chiaro che chi è più forte e oggi può permettersi certi ingaggi – anche se non è esente da difficoltà, come la Premier League, per esempio – sa che resistendo potrà ampliare il gap. Gli altri campionati che inseguono, infatti, sono più deboli, dovranno fare più sacrifici e quindi per la Premier sarà più facile andare a strappare giocatori importanti e avere rose ancora più forti, anche risparmiando qualcosa rispetto alle spese attuali.
Un’ultima domanda: se oggi il campionato fosse sospeso di nuovo, la Serie A esploderebbe?
Questa è una certezza. Si avrebbe una doppia corsia: quella su cui correrebbero le società che hanno proprietà solide e che potrebbero resistere all’urto almeno per un anno, come Juventus, Inter, Milan, Fiorentina, la nuova Roma di Friedkin, ma anche il Benevento di Vigorito o lo Spezia di Volpi; e quella delle squadre come Genoa, Sampdoria, Verona ad esempio, che non avrebbero i mezzi per andare avanti: dovrebbero scegliere se mandare avanti le proprie attività imprenditoriali o la squadra di calcio.