Negli ultimi mesi i mercati finanziari hanno assistito alla vertiginosa ascesa di Nvidia, azienda statunitense produttrice di chip che nel giro di un anno ha quadruplicato il proprio valore fino a superare i due trilioni di dollari. Ora è la quarta società al mondo per capitalizzazione dopo Microsoft, Apple e Saudi Aramco. L’impetuosa crescita di Nvidia è stata trainata dall’enorme sviluppo sperimentato negli ultimi tempi dall’intelligenza artificiale. Ma questa corsa agli investimenti non rischia di rivelarsi un’enorme bolla? Sul tema si è espresso recentemente anche Alec Ross, esperto di politiche tecnologiche, già coordinatore per il comitato Technology & Media Policy durante la campagna presidenziale di Barack Obama nel 2008 e poi consigliere di Hillary Clinton al Dipartimento di Stato. Lasciata la politica, ha insegnato al King’s College di Londra e alla Columbia University di New York, ora è docente alla Business School dell’Università di Bologna.

Secondo Ross, intervistato da Repubblica, la corsa agli investimenti nell’intelligenza artificiale è giustificata dai numeri: «L’adozione diffusa dell’AI potrebbe contribuire dell’1,5% alla crescita annuale della produttività su un periodo di dieci anni, aumentando il PIL globale di quasi 7 trilioni di dollari». A ciò va poi aggiunto «il ruolo che essa può svolgere nell’affrontare sfide globali come il cambiamento climatico e nel prolungare la longevità della vita umana attraverso l’applicazione dell’intelligenza artificiale nella genomica».

L’esperto non crede che la forte crescita del mercato dell’AI nasconda delle fragilità: «Il vero rischio è pensare principalmente in termini di rischio e non in termini di opportunità. Il denaro che dorme nei conti bancari è sottoperformante», come dimostra il caso dell’Italia, che negli ultimi due decenni ha sperimentato una crescita economica pressoché nulla anche per via dell’alto tasso di risparmio e della mancanza di investimenti che la caratterizzano. Per quanto riguarda il fenomeno Nvidia, per Ross «la vera lezione è che gli Stati Uniti continuano a produrre aziende tecnologiche dominanti a livello globale. Questo tipo di dinamismo dovrebbe essere celebrato» e non demonizzato.

Proprio il dinamismo di cui parla Ross ha permesso agli Stati Uniti di mantenere il primato mondiale nel campo dell’intelligenza artificiale, nonostante l’agguerrita concorrenza della Cina. Tra Washington e Pechino, quella sull’AI «è una vera competizione ma a questo punto gli Stati Uniti sono primi perché investono di più: quest’anno gli USA investono 65 miliardi mentre la Cina ne investe 35. In secondo luogo, perché gli Stati Uniti sono molto più avanti nel campo dell’AI generativa. Ai cinesi non piacciono i Large Language Models (LLM) come ChatGPT perché sono molto difficili da censurare e controllare»: un rischio intollerabile per il regime di Xi Jinping.

In questa partita, l’Europa finora è rimasta a guardare, preferendo normare l’intelligenza artificiale piuttosto che svilupparla. Per Ross si tratta di un atteggiamento «patetico e imbarazzante». L’esperto ritiene che il Vecchio Continente debba abbandonare l’enfasi sulla regolamentazione e iniziare a giocare da protagonista. Una normativa adeguata è senz’altro auspicabile, ma se l’UE non vuole diventare «una colonia economica degli Stati Uniti e della Cina, allora avremo bisogno di meno avvocati, politici, filosofi e burocrati che stabiliscano strategie e norme e di più imprenditori, venture capitalist e ingegneri». Ross vede il confronto geopolitico sull’intelligenza artificiale come una partita di calcio: «In campo ci sono due squadre, una americana e una cinese. Invece di schierare la propria, gli europei hanno preferito recitare la parte dell’arbitro, che fischia i falli e mostra il cartellino giallo. L’arbitro può contribuire a decidere il risultato della partita, soprattutto se dirige male, ma non è mai lui a vincerla».

Quando e se l’Europa si deciderà di smettere i panni dell’arbitro e scendere in campo, dovrà esprimere un gioco diverso dai contendenti, avverte Ross. Da una parte «la Cina, dove un governo autoritario ha messo a punto un modello di sorveglianza totale e, in cambio di controllo e potere politico, promette stabilità», mentre «l’altra squadra è capitanata dagli imprenditori “ragazzini” della California, che hanno sviluppato un modello di sorveglianza tutto nelle mani del settore privato. Né l’autoritarismo cinese né i miliardari californiani sono la strada giusta per l’Europa». Il Vecchio Continente deve adottare una terza via: «Serve una squadra europea e italiana che porti avanti il proprio modello di contratto sociale e una crescita economica che garantisca l’equilibrio tra aziende, governo e cittadini».

Qui l’articolo completo.