Pittore, scultore, incisore, disegnatore, musicista, compositore, cantante di cabaret e, da quest’anno, fiero possessore, assieme alla moglie Gabriella, di un Ambrogino d’Oro, la massima onorificenza assegnata dal Comune di Milano. Questi sono i panni che Gigi Pedroli, durante tutto il corso della sua vita, è stato capace di indossare. Promotore e animatore del Centro dell’Incisione di Alzaia Naviglio Grande, dentro il suo atelier, a due passi da una delle zone più famose della movida milanese, da ormai 45 anni, tiene ogni sabato mattina dei corsi durante i quali insegna la propria arte a moltissimi allievi che bussano al portone numero 66 dell’Alzaia Naviglio Grande anche dopo ore di viaggio in macchina. Un premio, quello consegnato a Pedroli e a sua moglie, dato sia ad un artista tout court sia ad un uomo capace di accogliere chiunque nel proprio laboratorio con una gentilezza davvero fuori dal comune. Una cordialità – dimostrata anche dal disegno regalato da Pedroli alla redazione di Magzine – tipica di persone d’altri tempi, ultimi superstiti di una specie in via d’estinzione: quella di uomini e donne, cresciuti dopo la fine della guerra, capaci con le loro mani di tessere la trama di miti e leggende su cui la città di Milano poggia ancora oggi le sue fondamenta.

Come ogni bella storia che si rispetti, la sua passione per il mondo dell’arte deve pur avere avuto un punto d’inizio. Qual è stata la miccia che ha fatto esplodere questa suo amore poi trasformato nel lavoro di una vita?

A vent’anni, dopo aver frequentato l’Accademia d’arte del Castello dietro palazzo Marino e aver lavorato per breve tempo nell’officina dei Pedroli, fratelli di mio padre tra i primi autodemolitori a lavorare sul territorio di Milano, ebbi la fortuna di trovare un lavoro presso lo Sti – acronimo di Studio tecnico-pubblicitario italiano n.d.r –, il primo studio grafico milanese. Qui, assieme ai miei colleghi, creavamo i manifesti che tappezzavano i bordi di tutta la città. Ovviamente, a differenza di oggi, i disegni, i loghi e lettere degli slogan erano fatti completamente a mano: indossavamo i camici bianchi, ci sedevamo ai nostri tavoli da lavoro e dalla mattina alla sera disegnavamo senza sosta. Gli anni allo Sti sono stati una bellissima esperienza grazie alla quale ho cominciato ad affacciarmi al mondo artistico.

Dove trova l’ispirazione per creare le sue opere?

È importante osservare. Un giovane artista si deve formare disegnando e guardando sia i lavori degli altri sia le cose che lo circondando. L’osservazione è una cultura di tipo spontaneo: nessuno può insegnartelo. Hai la passione? Hai la voglia di fare? Allora vai avanti, continui a lavorare senza mai voltarti indietro. Un’altra cosa molto importante è lo spazio dentro il quale comporre. Un artista deve poter avere uno studio dove poter creare liberamente senza essere confinato dentro le pareti di casa sua. Io, dopo una prima fase paesaggistica, piano piano sono arrivato a creare un personaggio tutto mio. Già dagli anni ’70, infatti, avevo l’immagine di una persona vincente e libera: è proprio da questo immaginario che nacque la mia serie di dipinti e incisioni l’Uomo in bicicletta. Dopo averne prodotti circa una ventina dipinsi anche un paesaggio lombardo con una bicicletta abbandonata e lasciata sul bordo di una strada.20201204_200137-01Una scena purtroppo molto simile a quella delle bici a noleggio vandalizzate e buttate talvolta sul fondo dei Navigli in tempi anche recenti…

Esattamente.

Lei si rivedeva in quest’Uomo in bicicletta oppure questo personaggio era ispirato a qualche persona da lei conosciuta?

Mi rivedevo in una città che iniziava a diventare caotica. Già negli anni ‘70 le macchine cominciavano a diventare un problema qui Milano. La benzina in quegli anni, oltre ad inquinare, aveva costi enormi a causa delle varie crisi petrolifere ed energetiche ed era una preoccupazione presente sia sulle pagine dei giornali che nelle parole della gente. Immaginavo che quest’Uomo in bicicletta fosse libero rispetto a tutte le persone che dovevano andare in macchina e sacramentare contro gli altri automobilisti mentre erano imbottigliati nel traffico. Già tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 qua a Milano si parlava d’inquinamento atmosferico.

Si può dire che lei, artisticamente parlando, sia stato un precorsone di una tematica, quella relativa al climate change, oggi molto importante…

Questo non lo so. Posso dire però che molte delle mie canzoni in dialetto milanese, composte negli anni ’70, già allora battevano il chiodo su questo argomento.

Da dove le è nata l’idea di affiancare alla carriera di artistica anche quella musicale?

Proprio tra le stanze del mio atelier io e Umberto Faini, un mio amico di vecchia data anche lui incisore come me, decidemmo di mettere assieme un duo cabaret-musicale che si chiamava Sorrisi e Lacrime. Entrambi avevamo già composto alcune ballate in dialetto milanese: io le avevo scritte alla chitarra mentre Umberto col suo violino. Dopo aver messo assieme le nostre canzoni ed esserci esibiti nei primi concerti a Faini venne l’idea di presentare il nostro repertorio al Derby Club qui a Milano. Una sera di inverno prendemmo i nostri strumenti, andammo in via Monte Rosa, entrammo nel locale e ci presentammo a Gianni Bongiovanni, il proprietario. Dopo averci squadrati per un po’ alla fine si decise a farci salire sul palco. Il pubblico, già alla prima canzone, iniziò a batterci le mani e a ridere: fatto che convinse Bongiovanni a scritturarci per tutto il mese successivo. Dopo l’esperienza al Derby io e il Faini ci esibimmo per ben due anni al Cà Bianca, un altro locale storico qui a Milano. Già alla fine degli anni ’70 il nostro repertorio contava canzoni come La ballata della plastica che parlavano di ecologia e altre tematiche ancora oggi molto attuali.R-15143878-1587239859-7748.jpegQuando le è nata l’idea di aprire il Centro Dell’incisione, il suo studio e atelier che si affaccia sul Naviglio Grande?

L’idea è stata anche un colpo di fortuna. Nel 1970 ero membro di un gruppo di artisti con un circolo proprio qui sui Navigli, che allora era un’area depressa. Una mattina bussai ad un portone al civico numero 66 dell’Alzaia Naviglio Grande. Era primavera e appena entrai mi si aprì davanti agli occhi un cortile sovrastato da un glicine. Rimasi incantato davanti alla bellezza dei suoi fiori: i miei occhi letteralmente si riempirono del loro colore viola. Chiesi alla portinaia se fosse disponibile uno spazio da affittare. Sulle prime mi rispose di no. Poi, dopo aver riflettuto un attimo, mi disse che se mi interessava era disponibile un localino al piano terra dentro il quale c’erano soltanto sei brandine sulle quali fino ad allora avevano dormito dei muratori pugliesi che nel frattempo si erano trasferiti ai piani superiori del casolare. Mi guardai attorno e subito nella mia mente apparve quello che di lì a poco tempo sarebbe stato il mio studio. Fu un vero e proprio colpo di fulmine. Dopo averne parlato con mia moglie Gabriella, trovai degli amici facoltosi che, in cambio di alcune mie opere, ci aiutarono a restaurare e a mettere a posto vari spazi dell’atelier. Nel 1975, dopo aver ripulito e rimesso in sesto alcune stanze, io e mia moglie aprimmo il primissimo nucleo del laboratorio di incisione e allestimmo le prime mostre di pittura: un’avventura che, dopo 45 anni, continua ancora oggi. La nascita di questo posto è dovuta fondamentalmente alla buona sorte: se uno nella vita non ha quel colpo di fortuna e non riesce ad approfittarsene è fregato… Non combinerà mai nulla!20201208_232330La storia di questo laboratorio è legata a una leggenda che riguarda forse il più grande genio della storia italiana: Leonardo Da Vinci. Le andrebbe di raccontarla?

Dopo essere entrato in questo palazzo con il mio studio vidi che le sue mura erano molto antiche. Tuttavia, secondo le carte presso il comune, risaliva al ‘600. Un pomeriggio di alcuni anni fa entrò nel cortile un ragazzo che, come molte altre persone, mi chiese di quale epoca fosse. Portrait of Cecilia Gallerani (Lady with the Ermine), about 1488Dopo avergli detto «Guardi, gli uffici del Comune di Milano mi hanno riposto che è del ‘600» lui mi rispose di no, aggiungendo «Questa casa, assieme al castello di Cusago, sono tra le poche costruzioni che esistevano in Lombardia già dai tempi degli Sforza». Notai poi che i mattoni di questa casa erano molto diversi tra loro. Un indizio che mostrava quanto, la costruzione di questo stabile, fosse più antica rispetto al ‘600. Mattoni come questi, infatti, venivano cotti da fornaci come la Curti, che sin dal ‘400 fornì i materiali per costruire edifici storici come la Cà Granda e le abbazie di Morimondo e Pavia. Parlando con un mio amico esperto di Leonardo da Vinci venni a sapere che, secondo una leggenda,  Ludovico Il Moro aveva sul Naviglio un casino di caccia. Tanto tempo fa, in questo palazzo lavoravano dei falegnami all’interno di un locale che un tempo era stato una ghiacciaia, probabilmente adibita alla conservazione della selvaggina. Un giorno, proprio Ludovico Il Moro, tornando a cavallo da Vigevano assieme a Leonardo, si fermò assieme a lui nel casino appena costruito. Qui, ad attenderlo, c’era Cecilia Gallerani, la sua amante: quella che finì sulla Dama con l’ermellino. Scoprì poi che nel quadro, commissionato proprio da Ludovico il Moro in segreto perché ritraeva la sua amante, Leonardo dipinse e coprì con lo sfondo nero una finestrella – dall’analisi ai raggi X emerge infatti che venne originariamente dipinta dietro la spalla sinistra della dama n.d.r. – da dove entrava la luce che illuminava la stanza. E proprio quella finestrella assomiglia molto a quelle che si affacciano dai piani superiori di questa casa.20201204_165238-01Tornando al 2020, qual è stata la sua reazione alla notizia della vittoria dell’Ambrogino d’oro?

Né io né mia moglie Gabriella ce l’aspettavamo. Eravamo segregati, a causa del Covid, a Como e una sera ricevemmo una telefonata da un nostro amico che ci annunciò la bella notizia. Noi non ci pensavamo minimamente ma si vede che, dopo 45 anni di attività, siamo ormai conosciuti a livello comunale: da quando abbiamo aperto abbiamo infatti passato i mandati di molti sindaci qua a Milano!

Dopo aver vinto un premio importante come l’Ambrogino d’oro ha altri sogni e progetti che vorrebbe realizzare?

Ora come ora, con tutto quello che è successo, la situazione purtroppo è ferma. Spero comunque, una volta finito tutto questo, di poter continuare il più a lungo possibile ad insegnare ai miei allievi del corso di incisione e ad organizzare mostre. Purtroppo, l’ultima esposizione che ho voluto allestire dentro le stanze del mio laboratorio, dal titolo La Bicicletta: 40 artisti sulle due ruote, e che doveva essere inaugurata lo scorso 19 novembre alla fine non si è potuta fare. L’idea di fare questa mostra collettiva, che mette assieme opere dei miei allievi e alcuni artisti nostri amici, è venuta a Gabriella, mia moglie.Schermata 2020-12-09 alle 01.09.07Magari l’inaugurazione di questa mostra potrà essere fatta più avanti…

Lo spero tanto. Sicuramente questa esposizione sarà destinata a girare in musei e altri spazi. Abbiamo già avuto varie richieste da un sacco di luoghi per poterla ospitare. Speriamo che in primavera, quando questa situazione sarà un po’ migliore, si possa fare una nuova inaugurazione con gente che brinda e passeggia tra le stanze del mio atelier.20201204_165801-01