A un anno dalla morte di Hugo Chavez il Venezuela non trova ancora pace. Neanche in occasione del primo anniversario della morte del caudillo, infatti, le guarimbas – le “barricate” – di Caracas si sono placate: anche ieri migliaia di dimostranti, vestiti di bianco e sventolando la bandiera giallo-rosso-blu del Venezuela, sono tornati a manifestare nella zona orientale della città. Le ragioni della protesta, iniziata il 4 febbraio, a San Cristobal, la principale città dello stato di Tàchira, sono almeno tre: il regime di censura e repressione messo in piedi da Nicolas Maduro; la criminalità dilagante (11mila vittime nel 2013, secondo stime ufficiali); l’inflazione più alta del continente sudamericano (al 56 %). In più, la scarsezza di generi alimentari. A manifestare sono soprattutto gli studenti, una parte del proletariato e il ceto medio, sempre più colpito dalla crisi del Paese; ma le fasce più povere della popolazione appoggiano ancora il presidente in carica. Dall’inizio delle manifestazioni si contano 18 vittime, oltre 160 feriti e 800 arrestati (tra cui il leader dell’opposizione Leopoldo Lopez, detenuto dal 18 febbraio scorso).
Intanto, Nicolas Maduro ha inaugurato le commemorazioni in onore di Hugo Chàvez con una visita al Cuartel de la Montaña, il museo militare in cui riposa il Caudillo, e simbolo della sua storia politica: l’edificio era infatti la roccaforte del gruppo militare col quale Chàvez, nel 1992, tentò il fallito colpo di stato contro il presidente Carlos Andrés Pérez. Alla cerimonia erano presenti anche il presidente cubano Raul Castro, il presidente della Bolivia Evo Morales, il presidente nicaraguense Daniel Ortega e il vicepresidente dell’Argentina Amado Boudou. Le rievocazioni dureranno 10 giorni – con tanto di sfilate militari – e le vacanze di Carnevale dei venezuelani saranno prolungate fino a sei giorni in più. È il modo migliore per mantiene vivo il mito del comandante presidente e per silenziare una protesta che sta danneggiando quel che resta del chavismo di fronte all’opinione pubblica mondiale.
Ma a Maduro non basterà la propaganda per frenare la diffusione di un sempre più capillare sentimento anti-Chavez, approdato addirittura alla premiazione degli Oscar: Jared Leto, vincitore della statuetta come miglior attore non protagonista per Dallas Buyers Club, infatti, ha dedicato il suo premio ai manifestanti di Ucraina e Venezuela, al grido di «siamo con voi, mentre combattete per i vostri sogni». Per arginare la ferita, il Venezuela non ha trasmesso la premiazione degli Oscar e, nell’alleata Russia, Channel One ha opportunamente tagliato la frase incriminata dal discorso dell’attore.
Impresa assai più ardua, però, è la censura dei social network. Su Twitter l’hashtag #SOSvenezuela è stato uno dei più “caldi” del giorno, con una media di più di 8mila tweet all’ora e un picco di 20mila alle 11 del mattino, ora venezuelana (dati calcolati su hashtag.org). Di contro, però, #yosoychavez ha riportato una media di 19600 tweet all’ora, con un picco di en 76mila alle 9 del mattino. Altri hashtag con meno successo sono stati #ChavezViveLaPatriaSigue (4200/h, con picco di 15mila, alle 13) e #A1AnoDeTuSiembraComandante (1400/h, con picco di 3mila alle 7 del mattino).
In Italia, nel silenzio totale del mondo della politica e quasi totale di quello dell’informazione, sono stati soprattutto gli esponenti del mondo dello spettacolo a voler lanciare un segnale: l’hashtag #SOSvenezuela è comparso sui profili del calciatore Paolo Maldini (sposato con una venezuelana, Adriana Fossa), Eros Ramazzotti e Jovanotti (che terrà un concerto a Caracas nei prossimi mesi), con il tweet “Insieme, per le persone che in #Venezuela stanno soffrendo”.
A distanza di un anno dalla morte del leader venezuelano più amato e più controverso, di fronte alla divisione del suo popolo, anche quello del web si divide. Por ahora.