FALSE / Matteo Salvini: “Espelleremo 100mila migranti l’anno”

La promessa elettorale di Salvini

Il tema dell’immigrazione è stato uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale di Matteo Salvini. Secondo l’attuale vicepremier, infatti, azzerare gli sbarchi e aumentare il numero dei rimpatri è la priorità da perseguire per il benessere del Paese.

Prima di diventare ministro dell’Interno, Salvini aveva già individuato una serie di condizioni necessarie per raggiungere questi obiettivi. Tra queste, l’aumento del numero dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie), una maggiore trasparenza nella gestione dei centri di accoglienza (e la possibilità di realizzarne altri sotto la protezione dell’Onu nei Paesi sicuri vicino alla Libia), la chiusura di accordi bilaterali per i rimpatri nei Paesi di origine, il divieto di sbarco per le Ong e la modifica della procedura per il riconoscimento o la revoca di status di rifugiato.

Come le promesse di Salvini sono cambiate nel tempo

Matteo Salvini ha più volte promesso di rimpatriare 100mila immigrati l’anno, una cifra che ha poi dovuto rivedere al ribasso già durante i primi mesi del suo mandato. In una dichiarazione del 26 novembre 2017, l’attuale ministro dell’Interno affermava che “l’impegno serio e concreto del centrodestra deve essere quello di fare 100mila espulsioni l’anno, mezzo milione di clandestini riportati al loro paese in cinque anni”. Meno di un mese dopo, l’11 dicembre 2017, Salvini ribadiva il concetto, affermando che nel patto di governo della coalizione di centrodestra sarebbe stato contenuto l’impegno a espellere almeno 100mila irregolari l’anno.

A distanza di meno di un anno, il 28 settembre 2018, Salvini ritratta però le sue precedenti affermazioni, affermando che sarebbe stato facile arrivare almeno a 4mila espulsioni l’anno. I rimpatri forzati, secondo i dati forniti dal Ministero, dall’1 gennaio al 31 maggio 2018 sono stati 2833, mentre dall’1 giugno al 9 dicembre dello stesso anno (nel periodo successivo all’insediamento del governo Conte) sono stati 3626, per un totale di 6459.
La cifra supera di gran lunga la soglia di 4mila promessa a settembre 2018, ma rimane ben al di sotto dei 10mila rimpatri l’anno previsti inizialmente.

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Infografiche a cura di Beatrice Beretti, Federico Capella, Mariangela Masiello, Nicolò Casali, Matteo Chiesa, Andrea Ferrario, Stefano Francescato, Matteo Serra

Salvini vs Minniti

Non si sono fatti attendere i paragoni con l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti e il suo operato. Nel decreto immigrazione firmato nel 2017 venne aumentato il numero dei centri di accoglienza. Si passò infatti, da quattro Cie a venti nuovi Cpr (Centri permanenti per il rimpatrio), uno per ogni regione, per una capienza totale di 1600 posti e un costo di 19 milioni di euro. Con il cambio di governo, il nuovo esecutivo fece seguito una nuova legislazione, il decreto Salvini. La nuova legislazione prolunga il periodo di permanenza massimo all’interno dei Cpr da 90 a 180 giorni. Inoltre stabilisce che, qualora non ci sia disponibilità all’interno dei centri, gli immigrati possano essere trattenuti anche negli uffici di frontiera. Il decreto del 2018 prevede anche un incremento dei fondi destinati ai rimpatri, da andare ad aggiungere ai 3,5 milioni di euro stanziati dal governo precedente per il triennio 2018-2020. Totalmente differente, però, è l’utilizzo che viene fatto di questi fondi: sotto il governo Gentiloni il fine era l’avvio di un Piano nazionale per la realizzazione di interventi di rimpatrio volontario assistito, comprensivi di misure di reintegrazione e di reinserimento dei rimpatriati nel Paese di origine; il governo attuale, invece, potrà utilizzare questi stessi fondi per qualsiasi forma di rimpatrio.

salvini minniti

Perché è difficile rimpatriare

Il rimpatrio si divide in due tipologie: volontario e forzato. Nel primo caso è l’Unchr che promuove e facilita la logistica, attraverso strumenti come il geo-and-see, brevi soggiorni nel Paese d’origine del rifugiato per valutarne le condizioni di sicurezza. La soluzione del rimpatrio volontario è stata la prima attuata nel 2015 a livello mondiale, ma rimane un espediente a cui molti migranti sono stati costretti a rinunciare a causa dei conflitti interni nei loro Paesi d’origine, con conseguenti rischi e pericoli in caso di ritorno nella madrepatria.

Oltre all’UNHCR esistono delle onlus che si impegnano a rimpatriare migranti, con possibilità di reintegro nel Paese d’origine. Ciò che queste organizzazioni garantiscono è un biglietto aereo, il finanziamento di un’attività commerciale con un budget massimo di duemila euro e un contributo per familiari a carico. In Italia ne esistono diverse. RVA (Ritorno Volontario Assistito) è un progetto che prevede il ritorno assistito di 270 cittadini provenienti da Colombia, Ecuador, Perù, Marocco, Nigeria, Ghana e Senegal. Nel 2017 il CIES (Centro informazione ed educazione allo sviluppo) il CIR, (Centro Italiano Rifugiati) e il GUS (Gruppo Umano Solidarietà), attraverso tre progetti differenti finanziati da Fondo Asilo Migrazione e Integrazione dell’Unione Europea e del Ministero dell’Interno, hanno permesso a quasi 300 immigrati di diverse nazionalità nordafricane il ritorno nel proprio Paese.

Per quanto riguarda i rimpatri forzati, diverse leggi e decreti che hanno tentato di disciplinare questa complessa procedura: il decreto Minniti sull’immigrazione, l’estensione della rete dei centri di detenzione per i migranti irregolari fino all’introduzione del lavoro volontario per i migranti. Sia rimpatri volontari che forzati condividono un unico grande problema: i costi insostenibili. Voli charter e misure di sicurezza rendono le espulsioni impraticabili per la maggioranza degli irregolari: i costi variano dai 3 ai 5mila euro per ogni rimpatrio. Un caso eclatante fu il rimpatrio di 29 tunisini nel 2006, che venne a costare 115mila euro. Per il 2019, il ministero dell’Interno ha stanziato 1,5 milioni di euro, una cifra che basterebbe a coprire solo 500 rimpatri. Oltre al denaro, anche il tempo è una risorsa di cui tenere conto. Matteo Salvini ha calcolato che nel caso della migrazione tunisina ci metteremmo quasi 80 anni a rimpatriare i 4mila sbarcati in Italia irregolarmente. È forse un’ammissione di come questo sistema di rimpatri sia difficilmente sostenibile sia in termini economici che temporali?