Due nazioni, tre città, otto discorsi, tre omelie, incontri con autorità civili ed ecclesiali, giovani, sfollati, vittime di violenza. Questo sarebbe dovuto essere il programma del viaggio di papa Francesco in Congo e Sud Sudan, tra il 2 e il 7 luglio, un ritorno in Africa quasi tre anni dopo l’ultima volta. Il pontefice ha però dovuto annullare il viaggio a causa delle sue precarie condizioni di salute. Questo è stato il motivo ufficiale, ma secondo Matteo Giusti, giornalista esperto di Africa, «è mancata un po’ di comunicazione perché da poco più di un mese è scoppiata nuovamente la guerra nella parte Orientale del Congo. Una milizia ribelle di etnia Tutsi ha cominciato ad attaccare postazioni e basi militari dell’esercito nazionale congolese strappando villaggi ai cittadini. La zona è fortemente insicura e secondo me è mancata un’analisi approfondita del posto».

Il viaggio di papa Francesco potrebbe essere collegato, forse non esplicitamente, ad un altro avvenimento: l’omicidio di Luca Attanasio, ambasciatore italiano in Congo

Il papa aveva organizzato questo viaggio da diverso tempo, ma era stato rimandato più volte a causa della pandemia. Antonella Napoli, direttrice di Focus on Africa, sostiene che Bergoglio «aveva annunciato più volte l’intenzione di andare nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan a portare una parola che potesse in qualche modo favorire il processo di pacificazione nei due paesi, portare un messaggio di vicinanza e far sentire meno solo il continente africano. Ci sono comunità forti, sia cristiane sia cattoliche, e una forte presenza missionaria». Preti e suore che decidono di raggiungere zone difficili dell’Africa per aiutare la popolazione locale. Una di loro è suor Luisa Gariboldi, missionaria in Congo per quasi trent’anni. La sua prima missione è iniziata nel 1991 nella provincia del Kivu, l’ultima, a Goma, è finita il 30 ottobre 2020. Si è sempre occupata della catechesi e dell’insegnamento della religione nelle scuole locali: «Da quando sono arrivata, in Congo c’è sempre stata una difficoltà nella formazione scolastica, lo Stato ha cominciato a non essere più in grado di sostenere e di retribuire adeguatamente le insegnanti. C’è una forte crisi nella formazione scolastica di base». Le famiglie hanno in media cinque figli, ma c’è un alto tasso di abbandono della scuola perché mancano le risorse economiche. Spesso vanno avanti uno o due figli: prendendo il diploma possono poi far studiare i fratelli più piccoli. Una situazione molto difficile in cui la povertà e il degrado stanno di anno in anno aumentando. Suor Luisa racconta che in un contesto simile «ad emergere sono i ricchi, i padroni, mentre i poveri diventano sempre più poveri. Mancano anche i bisogni elementari delle persone. Dopo anni lì non ti arrischi più a chiedere a qualcuno come stai e cosa hai mangiato perché è da stupidi. Vedi bambini sporchi perché la mamma non ha trovato niente e non li può lavare».

Il viaggio di papa Francesco potrebbe essere collegato, forse non esplicitamente, ad un altro avvenimento: l’omicidio di Luca Attanasio, ambasciatore italiano in Congo, del carabiniere Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo. L’intento del pontefice di aiutare a risolvere una vicenda che, a più di un anno di distanza, ha ancora molti punti oscuri, potrebbe essere solo un’ipotesi ma, secondo Matteo Giusti, «quando il papa organizza qualcosa, vi è sempre dietro una riflessione. Visto che ha incontrato la famiglia dell’ambasciatore, credo che durante il suo viaggio pastorale avrebbe potuto fare anche un piccolo passo per riattivare l’attenzione dei media e cercare di spingere la Repubblica Democratica del Congo a collaborare». Un’ipotesi sostenuta anche da Antonella Napoli: «Non è un caso che Francesco avrebbe dovuto celebrare messa a Rutshuru, una località a pochi chilometri da dove è avvenuto l’agguato».

«Non è un caso che Francesco avrebbe dovuto celebrare messa a Rutshuru, una località a pochi chilometri da dove è avvenuto l’agguato»

È però difficile prevedere quanto il viaggio di Bergoglio avrebbe potuto aiutare nella prosecuzione delle indagini. «C’è sempre stata molta reticenza a parlare dell’omicidio del nostro ambasciatore» spiega Matteo Giusti. «I nostri carabinieri, i Ros, che dovrebbero andare lì a svolgere le indagini, non riescono ad ottenere il permesso del Governo del Congo». Inoltre, come ricorda il giornalista, sono state aperte ben tre inchieste: le autorità di Kinshasa hanno incolpato una milizia che opera nella foresta, le Nazioni Unite hanno raccolto le prove in appena una settimana e la magistratura di Roma deve affrontare non solo le resistenze dei congolesi, ma anche dell’Onu. «Il World Food Programme avrebbe dovuto garantire la sicurezza di Attanasio e i suoi membri possono chiedere l’immunità diplomatica. La magistratura italiana non riesce ad incriminarli».

Antonella Napoli rincara la dose, sottolineando la completa mancanza di chiarezza delle autorità congolesi: «Da parte loro, non c’è mai stata piena collaborazione. Anche gli arresti che hanno compiuto sono stati definiti, da analisti e conoscitori del Congo, solo dei capri espiatori, agnelli sacrificali da utilizzare in conferenza stampa».

Manca, dunque, la volontà di Kinshasa di scoprire la verità, perché potrebbe rivelarsi un vaso di Pandora. In una vicenda come questa, in cui rimangono ancora tante ombre e dubbi sulle responsabilità del governo locale e delle istituzioni internazionali, il viaggio del papa avrebbe potuto aiutare a costruire un ponte tra Roma e il Congo, una collaborazione che, fino ad ora, è mancata, lasciando la famiglia di Luca Attanasio senza risposte.