Warren Buffet una volta ha detto che “solo quando la marea scende scopri chi stava nuotando nudo”. Così, ora che la paura del contagio nel sistema bancario, dopo il fallimento della Silicon Valley Bank, è arrivata anche in Svizzera, il tonfo di Credit Suisse ha reso palese la situazione in cui versava l’istituto elvetico da alcuni anni. In verità che la banca nuotasse nuda lo ipotizzavano in molti. Ma la conferma è arrivata il 15 marzo con il crollo sulla piazza di Zurigo e l’indice dei credit default swap sul titolo – il termometro del rischio di fallimento – hanno raggiunto i massimi di sempre, più alti persino di quelli di Lehman Brothers alla vigilia del fallimento.Sotto una pioggia di vendite, le azioni del colosso svizzero sono arrivate a perdere il 31% del loro valore, per poi recuperare leggermente e chiudere sotto il 24% a fine giornata.Ma il fatto grave è che si è tirata con sé tutto il settore bancario europeo, che in questa settimana è già arrivato a perdere il 16% (indice Stoxx 600), nonostante il recupero di martedì.Il calo più vistoso l’ha registrato Piazza Affari con un meno 4,61% ma a Londra, Parigi e Francoforte i ribassi sono stati superiori al 3%. Le piazze finanziarie europee hanno bruciato 355 miliardi.

Il problema di Credit Suisse rientra in un caso generale. Come spesso accade, una gestione manageriale sbagliata in un periodo in cui ci sono tassi bassi può portare comunque a ridimensionare il rischio di crollo, ma se i tassi si alzano i nodi vengono al pettine.Ieri però Credit Suisse è volata alla Borsa di Zurigo, dopo la decisione di ricorrere a un prestito di 50 miliardi di franchi (54 miliardi di dollari) dalla banca centrale svizzera.Il problema è che Credit Suisse è, in base a molti standard, “troppo grande per fallire” ma anche “troppo grande per essere salvata”.L’istituto elvetico è controllato da capitali arabi e qatarini entrati l’anno scorso per supportare il rilancio di una banca che dal 2019 è stata a più riprese colpita da scandali e perdite di bilancio. Il nuovo piano di rilancio messo a punto da Ulrich Körner, alla guida dell’istituto dal 2021, prevede una riduzione di un terzo dei prestiti e l’isolamento della divisione di “investment banking”, che dovrebbe essere venduta. Sulla base di questo piano i sauditi sono entrati partecipando a un aumento di capitale da 4 miliardi di franchi. “Non c’è nessuna crisi di liquidità: le banche europee sono solide e poco esposte a Credit Suisse”.Queste parole della presidente hanno subito iniettato fiducia nelle Borse, che ieri hanno chiuso in positivo dopo il pesante calo di inizio settimana

A precipitare la situazione l’altro ieri sono state proprio le parole del numero uno della Saudi National Bank (Snb), che controlla attualmente il 10% dell’istituto svizzero.Alla domanda se il gruppo arabo potrebbe fornire altro supporto finanziario se ciò si rendesse necessario, Ammar Al Khudairy ha detto: “La risposta è assolutamente no, per molte ragioni ma la più semplice è che comporterebbe delle complicazioni regolatorie”. In ogni caso, come ha ricordato a Magzine Luca Davi, esperto di finanza del Sole24Ore, “se l’esposizione delle banche europee a Credit Suisse resta sotto stretto monitoraggio della Vigilanza, quella a Silicon Valley Bank è comunque molto contenuta, e questo dovrebbe teoricamente rendere più sereno il clima o comunque farci vivere con più tranquillità”. Il motivo è che “il sistema bancario, in particolare europeo, è molto solido perché la vigilanza della Bce monitora gli istituti in maniera molto efficace e impone un grande lavoro di pulizia sui crediti derivati (principale causa della crisi finanziaria del 2008 Ndr).”

Il tracollo di Credit Suisse indica un problema più generale di vulnerabilità all’innalzamento dei tassi che si innesca su una banca in sofferenza da tempo.La conferma dell’aumento dei tassi di interesse dello 0,5%, deciso ieri dalla Banca Centrale Europea è un ulteriore tassello che può acuire le difficoltà delle banche europee che hanno fortemente investito in obbligazioni governative.Per ora, ha chiarito la presidente Christine Lagarde in conferenza stampa,“non c’è nessuna crisi di liquidità: le banche europee sono solide e poco esposte a Credit Suisse”.Queste parole della presidente hanno subito iniettato fiducia nelle Borse, che ieri hanno chiuso in positivo dopo il pesante calo di inizio settimana.

Ricorda Davi che il motivo per cui la Bce non cede sull’aumento dei tassi è una questione prettamente di fiducia. “Altrimenti darebbe un segnale di grande incertezza agli investitori e in qualche modo segnalerebbe una certa fragilità del sistema bancario europeo, provocando un rischio di contagio”, che è la situazione che si vorrebbe evitare ad ogni costo.L’istituto bancario europeo si trova quindi tra due fuochi, deve scegliere chi buttare giù dalla torre tra l’inflazione oppure la stabilità del settore finanziario.Ieri però Christine Lagarde non ha avuto alcun dubbio.Ha fatto capire che l’inflazione – ancora in aumento nel mese di febbraio – è il nemico numero uno da sconfiggere e quindi va combattuta ad ogni costo. Ovviamente, poi c’è la stabilità del settore finanziario Lagarde ha ripetuto che monitorerà la situazione perché si sta deteriorando velocemente e vedrà che decisioni prendere in futuro data driven. Di certo, questo ciclo di rialzo è uno dei più rapidi mai visti nella storia del dopoguerra. Per di più le nostre economie, in particolare quella europea, si sono appena riprese dalla crisi del Covid. Verrebbe da chiedersi, come tra l’altro ha fatto ieri dalle colonne di Repubblica la professoressa Lucrezia Reichlin – ex economista Bce -, se le banche centrali non stiano sottovalutando la fragilità dell’economia reale.