Per poter capire se il crollo della Silicon Valley Bank possa avere degli effetti anche sul mercato europeo, dobbiamo fare un passo indietro. Siamo nel 1983 a Santa Clara, in California: la Svb è da poco diventata la banca di fiducia delle startup e delle aziende tecnologiche americane. Il settore del tech esplode, e la banca continua a crescere fino ad arrivare ai numeri del 2021, in cui gestisce la metà di tutti i fondi americani impiegati per finanziare le start-up.
Il suo modello di finanziamento si basa sul venture capital, dal momento che le imprese finanziate presentano un elevato grado di rischio. La Svb, dunque, per tutelarsi da questo rischio, decide di investire in obbligazioni del governo americano a lungo termine, fra le più sicure al mondo. Queste sono esposte ad un solo rischio: l’innalzamento dei tassi di interesse. Ed è proprio quello che succede nel 2022 con lo scoppio della guerra in Ucraina, in un mercato già mutilato dalla crisi pandemica. L’innalzamento dei tassi fa crollare il valore delle obbligazioni e le start-up, per continuare a crescere, iniziano a ritirare il denaro dai propri conti. In questo modo, la Silicon Valley Bank, con un parco clienti così specializzato, si trova a gestire prelievi sempre più frequenti. Nel momento in cui si rende conto di non avere sufficiente liquidità, vende – o meglio svende – 21 miliardi di titoli di Stato.
L’annuncio della perdita semina il panico tra i fondi, dando il via alla corsa agli sportelli con un deflusso dalle casse di Svb di oltre 42 miliardi. L’incendio viene spento, almeno in parte, dall’intervento della Banca centrale americana, che accetta le obbligazioni del governo federale come collaterale non al prezzo di mercato, ma al loro valore nominale. Il presidente americano Joe Biden, a questo punto, pronuncia una sorta di “Whatever it takes”, garantendo ai correntisti di riavere indietro i loro soldi. Una rassicurazione che però arriva troppo tardi per salvare i mercati europei che, lunedì mattina, si ritrovano in forte calo. A questo punto la domanda che tutti si pongono è: un effetto domino europeo è davvero possibile? Ne abbiamo parlato con Simone Filippetti, giornalista del Sole 24 Ore.
Perché si teme un rischio contagio in Europa?
Lo si teme perché finanza e globalizzazione sono fenomeni legati a doppio filo. Se salta una banca come Svb poi tutte le aziende che finanziava si trovano inevitabilmente in difficoltà. Queste aziende – che sono perlopiù start-up a scarsa solidità finanziaria – allora saranno costrette a chiudere o licenziare persone e in questo modo la crisi, da squisitamente finanziaria, si trasmette all’economia reale. Almeno nel Regno Unito questo è già successo, perché la banca americana aveva una filiale a Londra che è stata fatta chiudere dalla Banca Centrale d’Inghilterra lo scorso fine settimana.
Quanto rischia, invece, il nostro Paese?
L’Italia è un po’ più al riparo. Per una volta tanto, il suo essere un Paese meno dinamico e sempre in seconda fila di fronte alle innovazioni delle tecnologie finanziarie, fa sì che rischi di meno quando ci sono queste crisi. L’Italia è un po’ più al riparo. Per una volta tanto, il suo essere un Paese meno dinamico e sempre in seconda fila di fronte alle innovazioni delle tecnologie finanziarie, fa sì che rischi di meno quando ci sono queste crisi. Nessuna banca italiana fallì nel 2008 dopo la crisi di Lehman mentre, ad esempio, nel Nord Europa molte banche fallirono. Io mi aspetto uno scenario molto simile.
Il sistema bancario in Europa è maggiormente tutelato rispetto agli Stati Uniti: questo fatto ci proteggerà da un possibile effetto domino?
Non del tutto. Primo, perché la tutela dei depositi in Europa ha dei limiti che sono intorno ai 100mila euro. Quindi, se sei un piccolo risparmiatore che arriva fino a quella cifra sei tutelato. Ma per le aziende più grandi che superano la soglia il discorso è diverso, perché perdi l’eccedenza. In più, il fondo di garanzia non è infinito: in Inghilterra il plafond della Svb è di 7 miliardi, che è una bella cifra, ma qualcuno rimarrà comunque col cerino in mano. In secondo luogo, c’è il problema delle tempistiche perché la diminuzione dei depositi non è un’operazione che avviene dall’oggi al domani; nel frattempo, l’azienda deve andare avanti senza finanziamenti.
In che modo la chiusura di Svb sta influenzando le borse europee?
La borsa è un animale strano: sale o scende in base all’emotività del momento. Questo è il motivo del crac finanziario dì lunedì a Piazza Affari.
La borsa è un animale strano: sale o scende in base all’emotività del momento. Questo è il motivo del crac finanziario dì lunedì a Piazza Affari. Allo stesso tempo, però, la borsa guarda anche al medio e lungo termine, cioè alle conseguenze più durature. Quindi, si è iniziato a pensare che il fallimento di questo fondo potrebbe portare le banche centrali a ridurre i tassi d’interesse. Per questo i mercati hanno cominciato a recuperare.
Pensa che le banche centrali cambieranno la propria strategia del rialzo dei tassi?
A quanto si apprende, la Federal Reserve, già dalla prossima riunione, potrebbe frenare la corsa al rialzo dei tassi e abbassare un po’. L’Europa, invece, pare ancora intenzionata a mantenere questa tendenza rialzista. Le banche centrali devono riflettere su ciò che è successo, ma stravolgere le loro politiche monetarie sull’onda del momento non sarebbe corretto. Sicuramente le banche centrali devono riflettere su ciò che è successo, ma stravolgere le loro politiche monetarie sull’onda del momento non sarebbe corretto. Mettere in atto delle strategie pluriennali guardando al lungo periodo per prudenza,è comprensibile; ciò che, invece, si può rimproverare agli istituti finanziari è di non aver previsto un collo di bottiglia e poi un effetto a cascata: inevitabile, se si passi da dieci anni di tassi negativi e liquidità facile a una stretta sul denaro come quella dell’oggi.