“Io il cibo lo dovevo guardare. Lo guardavo, lo sentivo in bocca, ma dicevo no, e vincevo”. Sono parole, sono storie, sono persone che hanno conosciuto la sofferenza che si nasconde dietro a un disturbo alimentare. Oggi, 15 marzo, e’ la Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, nata nel 2011 per ricordare Giulia Tavilla, morta a 17 anni a causa di DCA. Con la volontà del padre Stefano, a pochi mesi dalla scomparsa, nel 2011 venne organizzata la prima manifestazione sportiva a lei dedicata. Da quel momento, l’evento si estenderà e si ripeterà ogni anno fino a quando, nel 2018, il parlamento italiano non riconoscerà la Giornata nazionale.

Giulia ha solo 13 anni quando l’anoressia prima, e la bulimia poi, prendono il sopravvento su di lei. Ha tredici anni, dunque è poco più di una bambina che inizia a fare i conti con un male che si insinua in lei lentamente e, prima che qualcuno se ne accorga, ha già spento la tua luce. La sua battaglia dura quattro anni: quando il suo cuore smette di battere è a un passo dal ricovero in una struttura dove potrebbe trovare le cure adeguate. Giulia riconosce il disturbo, decide di farsi aiutare, dice ai suoi genitori “insieme possiamo farcela”, ma, purtroppo, non ce la fa.

La tragedia di Giulia è una tra le tante perché in Italia sono quasi 4 milioni le persone che soffrono di un disturbo alimentare. Il dolore di un padre, Stefano, si trasforma in un’azione collettiva che non è colorata né di rosa né di azzurro. Si tinge di lilla perché i DCA non fanno distinzioni, colpiscono indiscriminatamente bambini, giovani, adulti, uomini e donne. Secondo i dati diffusi dal ministero della Salute, il 70% dei pazienti affetti da un DCA è costituito da adolescenti. Con l’isolamento forzato imposto dalla pandemia, l’età media di insorgenza del disturbo si è drasticamente abbassata, con un picco tra i giovanissimi  e un aumento dei casi registrati superiore al 30%. Si chiamano disturbi, ma sono malattie che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, rappresentano la seconda causa di morte (dopo gli incidenti stradali) con circa 4mila decessi all’anno per le ragazze nella fascia d’età tra i 12 e i 25 anni.

Il 15 marzo, in Italia, è la Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, i disturbi alimentari rappresentano la seconda causa di morte, dopo gli incidenti stradali, per le ragazze nella fascia d’età tra i 12 e i 25 anni: si parla di circa 4mila decessi all’anno

 “Io vedevo le emozioni, a volte riuscivo anche a fingere, ma il mio cuore era congelato e ciò che sentivo era solo un profondo senso di inadeguatezza”. Anestetizzate, apatiche, queste ragazze sono nterrorizzate dall’idea di essere separate dall’unica cosa che, mentre le divora, le fa sentire protette: la malattia. “Ero furiosa con mia madre, non sopportavo l’idea che mia madre volesse separarmi da lei, dalla mia malattia, e allora scrivevo delle lettere alla mia anoressia. Le promettevo che non ci avrebbero divise”. Quando lo stomaco è vuoto la mente si espande: ti senti forte, resisti, non ti vedi, non vuoi cambiare, hai un solo obiettivo: raggiungere quello che per te rappresenta la perfezione. Un concetto, un’idea, un numero sulla bilancia che, però, non sarà mai abbastanza piccolo. “Non saprei dire cosa sia scattato dentro di me. So solo che un giorno ho preso la mia vita in mano”. Guarire da un disturbo del comportamento alimentare è possibile. Il percorso assume tempi e modi diversi perché ogni persona ha il proprio vuoto da affrontare.

“Non parliamo semplicemente del vuoto dello stomaco – commenta Marco Muratori, medico psichiatra specializzato nel trattamento dei DCA –. Si tratta di un vuoto di senso che ai pazienti sembra impossibile colmare. È qualcosa che non riescono a estinguere. È una percezione che spesso cela una fame d’amore”.

Per curare un disturbo del comportamento alimentare è necessario un approccio integrato e non è sufficiente intervenire sul corpo: la magrezza, il controllo ossessivo per il cibo, l’alimentazione incontrollata sono sintomi; ma ad avere bisogno di nutrimento e di cure è innanzitutto l’anima. “Qualcosa deve scattare – continua il dottor Muratori -. Il più delle volte sono i genitori che contattano lo specialista perché si sentono impotenti di fronte al problema. Assistono al cambiamento dei propri figli e non sanno come intervenire. Ma questo raramente porta alla formulazione di una domanda di cura da parte dei soggetti con il disturbo. Questa si presenta quando qualcosa, nel loro progetto, inizia a scricchiolare”. A volte è un sintomo fisico, in altri un’esperienza, qualcosa che nasce da dentro e porta a chiedere aiuto.

Secondo il progetto MA.NU.AL., dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia sono 107 i centri specializzati nel trattamento dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione. Equipe di medici ed esperti lavorano per fornire al paziente una risposta multidisciplinare perché, trattandosi di una malattia mentale, non è possibile trovare terapie universali valide per qualsiasi caso. Ogni storia è unica: le cause, per quanto possano essere ricorrenti – dal rapporto con i genitori alla percezione della propria immagine allo specchio -, in realtà sono molteplici e varie; il percorso di rinascita deve essere fatto su misura. “Da parte di noi clinici c’è una maggiore attenzione rispetto al fatto che il disturbo si inserisce all’interno di una struttura, di una soggettività. Dobbiamo mettere a fuoco la persona nel suo complesso e non ridurla al suo disturbo. Invece, va letta e interpretata insieme al suo disturbo, perché fa tutto parte di un unico discorso. Procedere per compartimenti stagni significa fare il gioco del disturbo – conclude il dottor Muratori -. Dobbiamo occuparci della mente esattamente come ci occupiamo del corpo, anche per restituire al soggetto che è affetto da questi disturbi un’immagine unitaria di sé e non spaccata, non divisa.”

Tempestività e adeguatezza non sono sempre possibili perché le cliniche sono distribuite a macchia di leopardo sul territorio e, anche quando sono presenti, accedere è difficile perché i centri sono oberati e le liste d’attesa diventano infinite.

Ombre, tentacoli, mostri: nei racconti delle persone che hanno sofferto di un disturbo alimentare, la malattia assume contorni differenti; ciò che le accomuna, però, è il senso di libertà e di rinascita che provano quando riescono a lasciare andare il proprio passato; la consapevolezza che anche quando le cose si faranno difficili potranno usare gli strumenti con cui hanno imparato a combattere; il coraggio di guardare le proprie cicatrici senza avere paura.

Sono storie come quelle di Valentina e Luna, testimonianze di anime che, oggi, sono affamate di vita.

 

 

Nota informativa – Il Numero Verde S.O.S. Disturbi Alimentari è: 800 180969. L’Istituto Superiore di Sanità ha reso pubblica una mappa con tutti i centri che si occupano di DCA in Italia. Si trova qui, con la possibilità di selezione regione, provincia, città per trovare il centro più vicino.