Era il 2012 quando Sergio Capoferri e suor Pier Adele si incontrarono per la prima volta. Si trovavano nell’ospedale di Kingasani, uno dei quartieri più poveri e malfamati della periferia Est di Kinshasa: lui perché, come ormai da vent’anni, si recava periodicamente in Congo per alcuni lavori; lei per curare il suo mal di schiena. I suoi 73 anni risentivano il peso delle bacinelle d’acqua che ogni giorno andava a raccogliere percorrendo quattro chilometri all’andata e quattro al ritorno. Per potersi curare in ospedale ne ha percorsi altri 500, quelli che separano la capitale dal villaggio di Tumikia in cui vive. «Perché non lasci che vadano le ragazze più giovani a prendere l’acqua?», le chiede lui. «Perché sono bianca e non voglio farmi vedere che non lavoro», risponde la suora.

Da quel momento Sergio è tornato ogni anno in Congo e adesso, grazie all’intervento dell’associazione che dirige, la Mbote Papa, a Tumikia esiste un acquedotto e gli abitanti possono trovare l’acqua a 150 metri e non più a quattro chilometri di distanza. Il progetto è stato il frutto spontaneo di quell’incontro con suor Pier Adele: «ci ha raccontato che c’erano dei villaggi completamente senza acqua e abbiamo deciso di partire subito per Tumikia: ci eravamo ripromessi di fare qualcosa. Prima di tutto abbiamo cercato l’acqua, perché l’acqua non la puoi inventare, la devi trovare – Sergio Capoferri ripercorre così l’origine dell’iniziativa –. Poi, con l’aiuto di alcune persone del villaggio e di alcuni anziani abbiamo trovato una sorgente, nascosta, in un anfratto cui non saremmo mai arrivati da soli neanche se ci fossimo fermati per anni». Quella è stata l’origine del progetto che, dopo un’operazione di pulizia e analisi chimica, ha portato alla creazione di venti fontane e un acquedotto, poi ampliati con ulteriori interventi tra il 2014 e il 2019. «Quando abbiamo aperto l’acqua nel villaggio per la prima volta erano circa le 17 – Capoferri ricorda bene quel momento –. Quando le persone hanno visto le fontane riempirsi di acqua, urla di gioia si sono levate dappertutto. La mattina successiva sono andato a verificare che tutto fosse a posto e ho trovato, fuori dalle capanne, il bucato steso. In quell’istante ho capito che avevamo fatto davvero una bella cosa».

Sergio Capoferri: «Quando le persone hanno visto le fontane riempirsi di acqua urla di gioia si sono levate dappertutto. La mattina successiva sono andato a verificare che tutto fosse a posto e ho trovato, fuori dalle capanne, il bucato steso. In quell’istante ho capito che avevamo fatto davvero una bella cosa».

Da quando esiste l’acqua a Tumikia, i bambini si ammalano molto meno: prima bevevano l’acqua delle pozzanghere, quando c’era; poi hanno potuto sostituirla con un’altra, verificata, protetta e paragonabile a quella distillata. La creazione dell’acquedotto non aiuta soltanto la fruizione dell’acqua, ma la conoscenza di una realtà che la geografia e gli stereotipi rendono distante. «La stesa del bucato mi ha colpito molto, perché quando una persona arriva lì e si trova davanti questa gente, che è sporca, pensa che lo sia perché non si lava. Non si capisce che le persone si lavano poco perché andare a prendere qualche litro d’acqua è per loro una fatica enorme».

Il calendario dei progetti dell’associazione si rinnova ogni anno, alimentato dal programma di servire ancora quindici villaggi. Uno di questi ospita più di venti mila abitanti e nemmeno una goccia d’acqua. Gli era stato segnalato dall’ex ambasciatore Luca Attanasio, assassinato in Congo nel 2021. Sua moglie ha fondato lì un’associazione per aiutare le ragazze madri; Capoferri li ha conosciuti: «Avevamo promesso loro che saremmo andati. Lo abbiamo fatto l’anno scorso e adesso stiamo aspettando risposte dalla Farnesina per ottenere aiuti con le spese del container». I costi delle operazioni sono infatti ingenti: la sola spedizione di un contenitore si aggira attorno ai 25/30 mila euro.

Oggi suor Pier Adele è l’ultima suora bianca rimasta a Tumikia: tiene le redini di un asilo per orfani di madre, grazie alle pesche di beneficenza del suo oratorio di nascita, in provincia di Brescia. Oggi è il signor Capoferri ad avere 73 anni e, quando gli si domanda quale sia stata la molla che lo ha portato verso quel piccolo villaggio raggiungibile solo dopo ore e ore di viaggio su una strada non asfaltata, risponde: «La sensibilità. Se vieni a conoscenza di qualcosa o di qualcuno che sta male, non si può essere indifferenti. Come si fa a girarsi dall’altra parte?». E ancora: «Se potessi tornare indietro avrei iniziato prima a dedicarmi a questi interventi, perché avrei potuto farne di più: basterebbe vedere l’accoglienza che le persone ci riservano per capire la grandezza di ogni piccola cosa. In Africa ho avuto più di quello che ho dato».