La risposta politica alla migrazione si risolve collaborando. L’ennesima strage del mare riaccende il dibattito pubblico, e con esso la responsabilità politica di chi dovrebbe aiutare, accogliere e regolare i flussi di persone che migrano dal proprio Paese, sia per motivi economici che per motivi politici. Nell’ultimo, ennesimo naufragio sulle nostre coste, stavolta a Crotone in Calabria, hanno perso la vita 67 persone. Di queste, quindici erano minorenni. Nel commentare la strage il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi afferma che “la disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”. Una dichiarazione forte che ha indignato una buona parte della società civile e che impone una riflessione: classificare e quantificare il bisogno di un futuro diverso non può essere la replica adeguata nei confronti di quest’emergenza.

In Italia, la narrazione portata avanti dal governo Meloni è piuttosto dissuasiva: “Andando avanti con l’idea che l’Italia non aiuta, non accetta e lascia morire, le partenze e gli sbarchi sono disincentivati” spiega Nadia Urbinati, politologa e docente alla Columbia University. “È una politica immorale, legata ad una strategia che considera la vita un’arma e una merce rispetto alla quale fare una politica nazionale di proprio interesse”. In altre parole, si cerca di porre l’attenzione sul fatto che partire significa morire. L’idea perpetrata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al di là delle forti e contestate dichiarazioni del ministro dell’Interno Piantedosi, è quella di fermare gli sbarchi, impedirli, e ancora prima bloccare le partenze. Una presa di posizione di questo tipo giustificherebbe perché i Paesi di primo approdo stanno adottando forti posizioni autoritarie e nazionaliste. È un problema serio per la democrazia europea e per i rapporti umanitari nel mondo delle migrazioni. Infatti, gli Stati costieri molto spesso si trovano a fronteggiare direttamente l’emergenza e sono maggiormente responsabili delle tragedie in mare. Per questo la consapevolezza nel nostro Paese deve essere maggiore: “L’Italia si trova ad essere nel Mediterraneo, questo è il suo obbligo. Non può non avere prima accoglienza, con la distinzione tra migranti di tipo economico e rifugiati” continua Urbinati.

Secondo lo storico Marcello Flores “i diritti umani sono al centro dell’agenda mondiale. Negli ultimi anni, però, sta passando l’idea che ogni Paese possa imporre i propri diritti umani: in questo modo viene meno l’universalismo dei diritti stessi”

La questione si inserisce in un discorso più ampio sul rispetto dei diritti. Secondo lo storico Marcello Flores, “i diritti umani sono al centro dell’agenda mondiale. Negli ultimi anni però, sta passando l’idea che ogni paese possa imporre i propri diritti umani, in questo modo viene meno l’universalismo dei diritti stessi”. Uno dei modi per incentivare l’universalità e il rispetto reciproco è combattere i nazionalismi attraverso l’affermazione della democrazia. Tuttavia, “questo non significa che nelle democrazie non ci siano violazioni, anche continue, di diritti umani, a volte gravi – prosegue Flores -. Sicuramente, però, la democrazia è il terreno in cui può diventare possibile un rapporto diverso nei confronti dei diritti umani”.

Migranti_3

Al di là del rispetto dei diritti, su cui soprattutto l’Unione Europea deve trovare terreno comune e aggiornarsi, “fino a quando i Paesi UE non entrano in prima persona nel fenomeno migratorio non come seconda soluzione, ma come un problema del continente medesimo, (fatto di coste e di terraferma), la questione è di difficile soluzione” commenta Nadia Urbinati. “Deve esserci una posizione europea e per questo è necessario rivedere il regolamento di Dublino ma anche le strategie dei singoli Paesi – continua la politologa -. Non tutti hanno le stesse possibilità di accoglienza: quindi è necessario fare un discorso europeo ma attento alle specificità dei singoli Paesi”. Il regolamento di Dublino è stato redatto dall’Unione Europea nel 2014 e “stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri”. Sono quindi necessarie nuove strategie di regolamentazione. Solo in questo modo si potrà anche pensare a definire ulteriormente il rispetto dei diritti umani. “L’Europa dovrebbe sicuramente riuscire a fare qualcosa di molto più importante in questo ambito – aggiunge lo storico Flores – e l’Italia dovrebbe fare quello che l’Europa le chiede da un più di un decennio: avere un’Agenzia di diritti umani – come hanno già gran parte altri Paesi – indipendente e autonoma, che possa riuscire a monitorare la situazione”.

Per Nadia Urbinati, politologa “l’Unione Europea deve sentirsi in Italia, deve sentirsi già alle frontiere, già sulle coste italiane, non dopo”

In forme differenti, ma con il medesimo obiettivo, perché le situazioni in Europa sono diverse: “C’è un problema ad Est, dove Ungheria, Polonia e Romania hanno alzato barriere per fermare gli immigrati che arrivano dai Paesi balcanici e dal Medio Oriente – spiega Urbinati -. Inoltre esistono già corridoi umanitari, alcuni più o meno chiusi, e quindi esistono già delle forme di selezione: Germania e Austria selezionano gli immigrati che a loro più convengono, in relazione al bisogno di manodopera”. Sono tutte prese di posizione discrezionali nei confronti dell’immigrazione.

Per evitare altre stragi in mare, trovare delle norme adeguate a livello europeo è solo una questione di tempo. Ed è, in parte, ciò che ha chiesto in questi giorni la presidente del Consiglio Giorgia Meloni all’Unione Europea: “È fondamentale e urgente adottare da subito iniziative concrete, forti e innovative per contrastare le partenze illegali, ricorrendo anche a urgenti stanziamenti finanziari straordinari per i Paesi di origine e transito affinché collaborino attivamente”. “La strada è europea ma non è una strada di blocco – conclude la professoressa Urbinati – L’Unione Europea deve sentirsi in Italia, deve sentirsi già alle frontiere, già sulle coste italiane, non dopo”. Per arrivare davvero un giorno a chiamare Mare Nostrum un mare europeo, dove il rispetto dei diritti umani e l’accoglienza non fanno distinzioni.