Gli spari del 13 luglio sembrano aver riportato indietro l’orologio.Torna alla mente Dallas, in quel 1963 in cui si disse che l’America aveva perso la sua innocenza. L’immagine del presidente Kennedy accasciato sulla limousine scoperta e il terrore negli occhi della moglie Jackie sono ormai parte dell’immaginario comune. Pochi pensavano che una scena simile potesse verificarsi oggi, a più di sessant’anni di distanza da quel giorno. Certo il luogo, la persona e soprattutto l’esito sono molto diversi, ma hanno alcuni elementi in comune: l’utilizzo di un’arma da fuoco, la breve distanza tra il tiratore e il bersaglio, possibili falle nella sicurezza. Donald Trump, ex presidente statunitense, e candidato alle presidenziali per la compagine dei Repubblicani, è stato leggermente ferito all’orecchio e l’attentatore è stato freddato dai cecchini del Secret Service poco dopo aver sparato. Tra la folla di sostenitori si contano due feriti e un morto.
Storie americane
Non è dunque la prima volta che un politico americano di alto rilievo è vittima di un attentato con armi da fuoco, tanto più se si tratta di un presidente o di un candidato alla Casa Bianca. Sono infatti quattro i capi di Stato in carica che sono stati uccisi nella storia statunitense: Abraham Lincoln nel 1865, James Garfield nel 1881, William McKinley nel 1901 fino ad arrivare al 1963 con John Fitzgerald Kennedy, alla cui morte ancora avvolta nel mistero seguirà quella del fratello Robert nel 1968, caduto sotto una raffica di colpi di pistola a distanza ravvicinata all’Hotel Ambassador di Los Angeles, durante le primarie democratiche. La motivazione dell’attentatore, il palestinese Sirhan Sirhan, sarebbe stato il sostegno di Kennedy a Israele durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967.
Seguiranno poi altri attentati. Nel 1975 a rischiare sarà il presidente Gerald Ford, scampato per miracolo alla morte quando la pistola che avrebbe dovuto ucciderlo si inceppa, permettendo così al Secret Service di immobilizzare l’attentatrice, Lynette Fromme, appartenente alla Manson Family, una setta hippie criminale e violenta. Nel 1981 sarà la volta di Ronald Reagan, in un tentativo di assassinio compiuto da John Hincley, ennesimo “folle solitario” che a quanto pare avrebbe compiuto quel gesto per attirare l’attenzione dell’attrice Jodie Foster, della quale era ossessionato.
Un ragazzo normalissimo, forse
Poco dopo la messa in sicurezza di Trump e la morte dell’attentatore sono scattate le indagini per capire chi ha osato tanto e soprattutto come sia stato possibile che una tale azione si sia verificata. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, i colpi contro il Tycoon sono stati sparati da una palazzina antistante al comizio, a circa 150 metri dal palco dove Trump stava parlando.
Le indagini condotte dall’FBI hanno permesso di identificare il responsabile della sparatoria. Si tratta di Thomas Matthew Crooks, ragazzo ventenne residente a Bethel Park, in Pennsylvania. Vent’anni, nessun precedente penale, descritto dagli abitanti della zona come un ragazzo normalissimo, forse un po’introverso, a volte però anche bullizzato da alcuni coetanei, come ha riferito un ex compagno di classe, e molto pauroso del COVID, tanto da continuare ad indossare la mascherina anche dopo la fine della pandemia.
Eppure, da quanto scoperto dagli inquirenti, forse il novello Lee Harvey Oswald non era esattamente il classico ragazzo della porta accanto. Oltre al fucile utilizzato per uccidere Trump, di proprietà del padre. Inoltre, al momento dell’attentato indossava una maglietta dove sfoggiava la scritta DemolitionRanch, un canale Youtube dedicato alle armi seguito da circa 11 milioni di iscritti, ed era membro del circolo di tiro del Clairton Sportsmen’s Club.
L’arma utilizzata da Crooks per eliminare Trump è un modello basato sul fucile d’assalto semiautomatico AR-15, già noto nelle cronache nere statunitensi per essere un’arma molto in voga in molte delle sparatorie che si sono susseguite negli ultimi anni. Facilmente reperibile, al costo di circa mille dollari, il caricatore ha una capienza fino a 100 colpi. Prodotto dalla Colt, se ne contano circa 40 milioni di esemplari venduti. L’arma era stata messa al bando dal mercato durante la presidenza di Bill Clinton nel 1994, una misura che però non venne rinnovata nel 2004, con conseguente impennata delle vendite.
Non è ancora chiaro cosa abbia spinto Crooks a sparare contro Trump. Non pare che sia mai stato impegnato pienamente nella politica e quest’anno, data la sua età, sarebbe stata la sua prima volta in una cabina elettorale per l’elezione di un presidente. Il giovane risultava registrato come repubblicano, ma ha anche effettuati effettuato una piccola donazione di 15 dollari ai Dem.
Servizi segreti americani sotto accusa
Subito dopo gli eventi, numerosi sono stati i messaggi di solidarietà inviati a Trump dai leader di tutto il mondo, dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu al leader indiano Modi, passando per il presidente ucraino Zelensky. Una telefonata definita “cordiale” è giunta anche dall’arcirivale Joe Biden, che ha annunciato un’indagine indipendente per capire come sia stato possibile lasciare accadere un evento simile e verificare le falle nella sicurezza. In effetti, sono tante le accuse mosse al Secret Service, una delle quali sarebbe la mancata considerazione alla richiesta di un rafforzamento della sicurezza da parte di alcuni membri dello staff del Tycoon; richiesta seccamente smentita da un comunicato ufficiale dell’agenzia, che si è detta pronta a collaborare all’inchiesta voluta dalla Casa Bianca, mentre da più parti arrivano richieste di licenziamento del capo degli 007, la direttrice Kimberly Cheatle.
teorie del complotto: il Web si scatena
Non è passato molto tempo dal momento della sparatoria che subito sul web si sono scatenate le teorie complottiste.
Alcune di esse sostengono che dietro a quanto successo ci sarebbe la mano del Deep State, cioè quel presunto sistema di potere di palazzo che lo stesso Trump ha più volte indicato come il nemico da abbattere. Alcuni post sul social X (ex Twitter), secondo quanto riferito dalla BBC, avrebbero perfino identificato i mandanti in Barack Obama, Hillary Clinton e l’ex vicepresidente di Trump Mike Pence. Addirittura un deputato repubblicano della Georgia, Mike Collins, si è spinto ad affermare che a dare l’ordine sarebbe stato lo stesso presidente Joe Biden, attaccato perfino dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, che pur non indicandolo come un vero e proprio mandante ha dichiarato che quanto è avvenuto sarebbe il risultato della politica di demonizzazione dell’avversario da parte del presidente.
Alla follia complottista non è sfuggito nemmeno il giornalista sportivo italiano Marco Violi, vittima di affermazioni false come l’essere iscritto al movimento di estrema sinistra Antifa e di essere tra i mandanti dell’attentato. Queste affermazioni sono state smentite dallo stesso Violi in un post su Instagram, ma prima che potesse farlo erano già diventate virali, toccando i 4 milioni di visualizzazioni.
D’altra parte non sono mancate minimizzazioni dell’accaduto nemmeno negli ambienti democratici e progressisti. Alcuni infatti sostengono una teoria del complotto all’inverso, che vedrebbe nell’attentato quasi una “messa in scena” allo scopo di martirizzare Trump e fargli guadagnare simpatia, tantoché, sempre su X, a spopolare è stato l’hashtag #staged, che in italiano può essere tradotto come “inscenato” o “organizzato”.
Qualsiasi cosa sia, le prossime elezioni presidenziali americane si preannunciano le piu’ imprevidibili e difficili di sempre.