Il tema dell’immigrazione è tornato prepotentemente nel dibattito pubblico italiano. La strage di Cutro, che ad oggi conta 78 vittime, è stata l’occasione per il governo Meloni per parlare del nuovo “decreto flussi”. Tuttavia,mentre si cerca di limitare gli sbarchi nelle coste italiane – proponendo misure per disincentivare le partenze – il Paese ha a che fare ogni giorno con un sistema di accoglienza non adatto alle sue concrete esigenze. Si tratta un processo organizzativo che presenta falle, dalle fasi di salvataggio fino a quella finale dell’integrazione, da Nord a Sud.

Stando ai dati del Ministero dell’Interno, al 28 febbraio 2023 sono 109.294 i migranti nel sistema di accoglienza italiano, di cui 1.113 negli hotspot situati in Sicilia e in Puglia: si tratta di circa la metà del totale di rifugiati e richiedenti asilo attualmente presenti nella penisola. Tuttavia, non si può dire con precisione il dato totale, in quanto è aggiornato al 2021 quando in Italia i rifugiati (144.862) e i richiedenti asilo (51.779) erano 196.641.

Augusta 
La burocrazia è forse la vera responsabile di tutti i disastri in mare. Lo sa bene Ezio Parisi, Legambiente di Augusta e Presidente del “Comitato 18 aprile”. Ai più questa data non potrebbe significare granché. Ma per i siciliani, il 18 aprile 2015 è un giorno che tutti, -o quasi – ricordano bene. Sei anni fa, ci fu il naufragio nel Canale di Sicilia, la più grande strage del Mediterraneo. Tutto è cominciato dalla Libia: un barcone di venti metri con centinaia e centinaia (forse più di mille) di migranti stipati al suo interno parte verso l’Italia. Proprio quel barcone diventò una gigantesca bara per centinaia di persone e il mare lo diventò per altrettante. Proprio quel barcone, ora, grazie all’impegno del Comitato guidato da Parisi, è ad Augusta e, prima o poi, farà da monito a chi passerà nel futuro “Giardino della memoria”.

“Non solo ricordo ma anche monito per chi decide, tutti i giorni, di affondare l’umanità: affinché questo non succeda più”, dice Enzo Parisi riferendosi al relitto della strage del 18 aprile 2015.

“Non solo ricordo ma anche monito per chi decide, tutti i giorni, di affondare l’umanità. Affinché questo non succeda più – dice deciso Ezio Parisi, collegandolo ad una questione forse più attuale: -. Fino a ieri c’era una nave Geo Barents ferma nel porto di Augusta per venti giorni. La gente affoga e la Geo Barents e qualche altra nave sono definite “taxi del mare”. Mi chiedo perché vengano fermate”. In generale, l’opinione del Presidente del “Comitato 18 aprile” è che i fondi vengano gestiti male e che non tutti vogliano aiutare davvero queste persone. “C’è chi accoglie con amore e chi lo fa per i soldi”, chiude, senza peli sulla lingua. E aggiunge: “In Italia non c’è una vera accoglienza o inclusione”.

Ventimiglia e Trieste 
Poi ci sono luoghi sui quali i riflettori mediatici si sono spenti da tempo, ma il mondo del volontariato non ha mai smesso di accogliere i migranti. È il caso di Ventimiglia, l’ultimo lembo di Liguria, la porta d’Italia verso Ovest che conduce in Francia. Qui la Caritas Intemelia, con il progetto “CONfine Solidale”, sopperisce alla mancanza di un centro di accoglienza, fornendo assistenza a coloro che arrivano nella città di confine con l’intenzione di proseguire il proprio viaggio.

«CONfine Solidale è nato nel 2016 – spiega Alessandra Zunino, referente del progetto –. A quel tempo la Caritas aprì un campo informale, insieme al sacerdote don Rito Alvarez,  perché a Ventimiglia arrivavano tantissime persone e non c’era un luogo degno dove poterle accogliere». Nel biennio 2016-17 gli arrivi hanno toccato il picco massimo perché «sbarcavano centinaia e centinaia di persone ogni giorno, soprattutto dalla rotta del Mediterraneo». Questa esperienza è durata un solo anno. Poi la Prefettura ha aperto un campo ufficiale sulle sponde del fiume Roja, attivo fino all’estate 2020, quando la pandemia aveva causato un calo delle presenze.

«Nel novembre successivo – prosegue Zunino – abbiamo aperto una casa di accoglienza temporanea dove donne, bambini e nuclei familiari possono trovare riparo per un paio di notti». Poi, la distribuzione di cibo, di vestiti o beni di prima necessità e l’ambulatorio solidale. In poco più di due anni sono state aiutate «più di 2700 persone». Ma l’obiettivo dei migranti è di «raggiungere le comunità, le famiglie o comunque il Paese europeo che loro hanno scelto come riferimento». E, solitamente, non è l’Italia, Paese di passaggio.

Alessandra Zunino, referente del progetto “CONfine solidale a Ventimiglia: “L’obiettivo dei migranti è di «raggiungere le comunità, le famiglie o comunque il Paese che loro hanno scelto come riferimento»

Per questo viene offerto un servizio di assistenza legale: «Gli operatori informano le persone di ciò che potrebbe succedere loro al momento della decisione di continuare il viaggio. Per esempio se, raggiunta la meta non riuscissero a ottenere i documenti perché “dublinati” ossia già registrati nel primo Paese di sbarco, passaggio, accoglienza». Una situazione non nuova per i richiedenti asilo che, oltrepassata illegalmente la frontiera, possono essere riaccompagnati nel Paese di primo approdo dove hanno avviato l’iter, come previsto dal Regolamento di Dublino.

Oggi a Ventimiglia sono presenti circa duecento migranti al giorno. In assenza di un centro ufficiale si sta tentando di individuare una soluzione per non lasciare le persone  stazionare e dormire sotto i ponti, esposte alle intemperie. Un primo passo potrebbe essere la nascita dei “punti di assistenza diffusa”, come deciso nell’ultimo incontro tra istituzioni e associazioni. «Il problema di base – conclude Zunino – è che tutto viene sempre trattato come un’emergenza, mentre la migrazione è un dato di fatto. Bisogna affrontarla come tale, non solo a Ventimiglia. È l’Europa intera che deve mettersi seriamente a pensare come gestire questa situazione».

Sul confine orientale il problema è analogo a quello di Ventimiglia. La zona è interessata soprattutto da migranti in transito: “Noi – ci racconta Simone Alterisio, responsabile del progetto ‘frontiere per i servizi di inclusione’ della Diaconia Valdese a Trieste - ci occupiamo soprattutto di orientamento legale alle persone respinte al confine”. A Trieste, si cerca di dare un sostegno ai migranti in entrata e che sono in transito verso altri Paesi, cercando di aiutarli informandoli sui servizi e sulle questioni legali. Nella zona, in coordinamento con la prefettura, hanno “messo a disposizione una ventina di posti in dormitori straordinari dove si accede secondo criteri di vulnerabilità”. 

Secondo Frontex, nel 2022 ci sono stati 128mila attraversamenti del confine interessato dalla rotta balcanica, un numero cresciuto del 168% rispetto all’anno precedente. Tuttavia, al 24 ottobre solo 11.679 erano stati identificati dalle Forze dell’Ordine e quindi hanno avviato il processo di richiesta di asilo. Ciò significa che circa il 90% dei migranti che ha superato la frontiera è sfuggito ai controlli, probabilmente per continuare la propria rotta verso un altro Paese: si tratta dei cosiddetti migranti in transito.

Tuttavia, Alterisio spiega come la condizione di questi migranti sia molto complicata, soprattutto perché non ci sono leggi che definiscono questa condizione: “Le persone in arrivo dalla rotta balcanica, una volta giunte nelle zone di frontiera, quando vengono respinte dalla polizia rimangono in strada, sotto un ponte, in attesa di riprovare l’attraversamento.

Simone Alterisio, responsabile del progetto “frontiere per i servizi di inclusione” della Diaconia Valdese: “Le persone in arrivo dalla rotta balcanica su Trieste, una volta giunte nelle zone di frontiera, quando vengono respinte dalla polizia rimangono in strada”

Questo accade perché non sono richiedenti asilo, non c’è un vero inquadramento giuridico e hanno uno status di ‘transitante’, dunque non hanno accesso ai servizi di accoglienza”. Sia a livello italiano che europeo, questa condizione non è mai stata normata, se non con sporadici interventi straordinari – come quello dei dormitori – da parte della prefettura, nei periodi di flussi migratori intensi.

Questa condizione fa crescere la sfiducia verso le istituzioni italiane: “Da Minniti in poi – dice Alterisio -, la politica ha seguito una linea ben precisa: quella di una riduzione delle risorse per il sistema di accoglienza e, di conseguenza, un aumento della difficoltà nell’accesso alle procedure”. I tempi sono lunghissimi: “Dal momento in cui una persona manifesta la volontà di voler richiedere asilo, all’effettiva entrata nel sistema di protezione, possono passare anche quattro o cinque mesi”.

Crotone e Gizzeria Lido
La strage di Cutro ha inevitabilmente puntato un riflettore, oltre che sulle dinamiche di salvataggio, anche sulle modalità di accoglienza. Dal 26 febbraio, l’ex Cara di Crotone ha ospitato per giorni i superstiti del naufragio che, oltre alla durezza della tragedia, devono fare i conti con l’inflessibilità di freddi materassi senza lenzuola e con il gelo di un pavimento allestito per l’occasione a letto. Lo scorso giugno, il comune calabrese ha ricevuto dal governo un finanziamento di cinque milioni di euro per proseguire gli interventi di accoglienza integrata a favore dei migranti. L’amministrazione locale ha poi lanciato una gara d’appalto tutt’ora in corso per individuare l’ente gestore.

“I nostri Sai – racconta l’assessora alle politiche sociali del Comune di Crotone, Filomena Pollinzi -, ovvero i sistemi di accoglienza e integrazione, sono di standard elevati, come testimonia l’ultimo monitoraggio ministeriale. E lo affermo con orgoglio. Alle persone viene garantita non solo assistenza materiale ma anche sanitaria e psicologica, in considerazione dei terribili scenari dai quali provengono”. L’assessora distingue poi il sistema di seconda accoglienza, in questo caso di responsabilità del Comune, da quello di primissima assistenza, che invece è di diretta competenza del Ministero degli Interni, tramite enti gestori sui territori.

“La fase che va dal soccorso all’identificazione – continua Pollinzi – deve fare i conti con numeri impegnativi che portano inevitabilmente ad un sovraffollamento delle strutture e a tempi lunghi nella gestione delle numerose domande di protezione internazionale da evadere”.

“La fase che va dal soccorso all’identificazione – continua Pollinzi – deve fare i conti con numeri impegnativi che portano inevitabilmente ad un sovraffollamento delle strutture e a tempi lunghi nella gestione delle numerose domande di protezione internazionale da evadere. Tra le difficoltà affrontate dai Comuni, c’è anche la responsabilità di affrontare da soli “questioni dalle dimensioni molto più ampie e che richiedono soluzioni complesse che vanno ben oltre i singoli territori”. Ciò che l’assessora si augura ora è che il governo italiano giochi un ruolo di prima linea nella conversione europea delle politiche in materia migratoria.

Di fronte a Crotone, ma sulla costa opposta, anche il piccolo comune di Gizzeria Lido è impegnato nell’accoglienza. Il centro di accoglienza straordinario Il Gabbiano ospita ora 250 migranti ma la richiesta, negli ultimi sei mesi, si è duplicata. “Il decreto flussi ha numeri troppo bassi per scoraggiare le partenze clandestine – racconta Giovanni Carino, volontario della struttura -. I tempi di esame delle domande sono estremamente lunghi per la mancanza di personale all’interno delle prefetture”. A fare da contraltare, la solidarietà di chi con i migranti ci lavora e vive a stretto contatto. “Il governo fa tanta pubblicità ma nulla di concreto. Poco è cambiato da un esecutivo all’altro: l’unico che ha portato un cambiamento, in negativo però, è stato Salvini, che ha dimezzato le risorse”. Insomma, in teoria per Meloni e i suoi ministri sarebbe davvero difficile fare peggio.