Con lo scoppio della guerra in Ucraina, l’Africa è ritornata con vigore nella sfera d’interesse dell’Occidente nel tentativo di trovare nuovi fornitori di gas che possano sostituire l’ormai nemica Russia di Putin. Oltre alla questione energetica però, i recenti viaggi dei ministri italiani in Stati partner africani hanno anche l’obiettivo di regolare il flusso migratorio dal continente, che per arrivare in Europa, disegna nuove rotte del mare, sempre più pericolose come quella tunisina. E proprio in Tunisia sono volati lo scorso 19 gennaio il ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani e il responsabile degli Interni Matteo Piantedosi. L’obiettivo è rafforzare le politiche italiane di esternalizzazione dei confini consolidando il rapporto con Tunisi. Alla base della collaborazione, un accordo economico che dovrebbe aiutare il presidente d’oltremare Kais Saied a intercettare e bloccare le partenze clandestine. La cooperazione tra Italia e Tunisia va avanti in realtà da anni. Secondo The big wall, progetto realizzato da Actionaid, dal 2014 al 2022, l’Italia ha stanziato nei confronti della Tunisia 47 milioni di euro per il controllo dei confini. I finanziamenti sono finalizzati alla manutenzione di motovedette e al rafforzamento di strumenti di controllo e repressione delle forze di sicurezza tunisine. L’obiettivo finale, quindi, è la costruzione di un grande muro, che blocchi i flussi migratori verso l’Italia.
Dal 2014 al 2022, l’Italia ha stanziato nei confronti della Tunisia 47 milioni di euro per il controllo dei confini. L’obiettivo finale è la costruzione di un grande muri, che bloccai i flussi migratori verso la penisola
Sono tre, però, i problemi che i fondi non risolvono e che, anzi, rischiano di alimentare: le partenze costanti – molti migranti dichiarano di aver battuto più volte la tratta del mare nonostante il rimpatrio -, la mancanza di trasparenza dei finanziamenti e le prospettive di vita di chi viene riaccompagnato a Tunisi.
“Chi arriva sulle coste italiane viene riconosciuto da un console all’aeroporto di Palermo attraverso una procedura più formale che concreta – afferma Sara Prestianni, specialista in politiche internazionali d’immigrazione – prima di ritornare in un aeroporto tunisino periferico con in tasca quello che avevano alla partenza, ovvero nulla”. Tempo qualche ora e i rimpatriati vengono lasciati liberi nella natura tunisina. “Il problema è la difficoltà che queste persone incontrano nel richiedere asilo e la legge di Tunisi, che prevede la criminalizzazione delle partenze”. La legislazione non è in realtà applicata ma potrebbe essere attuata in caso di deriva antidemocratica del Paese. In questo momento, la Tunisia sta attraversando una profonda crisi economica, politica e sociale che “rende ancora più povero chi è costretto a rimpatriare e soprattutto lo condanna a non avere alcun futuro”. Nei supermercati locali, i beni di prima necessità sono razionati: sugli scaffali mancano pasta, riso e couscous. Il latte scarseggia, mentre l’inflazione tocca il 9,8%. Il 26 luglio il presidente Saied ha fatto approvare una nuova Costituzione che gli garantisce poteri quasi illimitati e gli conferma la possibilità di perpetuare una politica indifferente ai diritti umani. Un mese fa, i tunisini sono stati inviati nuovamente alle urne ma hanno disertato le elezioni – solo un cittadino su dieci ha votato.
“I fondi sono di supporto al rafforzamento della gestione delle frontiere ma la Tunisia oggi avrebbe bisogno di tutt’altro supporto: in quanto italiani, dovremmo interessarci molto di più alla tenuta democratica del Paese – continua Prestianni -. Il flusso migratorio è un gioco diplomatico per entrambe le parti: quando conviene, la Turchia, e non solo, anche il Marocco e altri Paesi africani, aprono le frontiere per poi richiuderle quando non ce n’è più bisogno. È la logica del ricatto, in primis portato avanti dagli Stati europei”. A un quadro già complesso, si aggiunge la mancanza di trasparenza: il lavoro di Emergency con The Wall dimostra quanto sia difficile tenere traccia dei finanziamenti dall’Italia e dall’Unione: alcune spese non sono tracciabili e non sono documentate.
Sara Prestianni: I fondi sono di supporto al rafforzamento della gestione delle frontiere ma la Tunisia oggi avrebbe bisogno di tutt’altro supporto: in quanto italiani, dovremmo interessarci molto di più alla tenuta democratica del Paese
“Bisogna capire i motivi della partenza per fornire delle metodologie di accesso al territorio europeo sicure: bisogna istituire delle vie legali per migrazione, che non esistono quasi più, e nuovi corridoi umanitari. La stabilizzazione politica è un interesse non solo per la Tunisia ma anche per il Mediterraneo, da qui passa anche la sua stabilità”. A questo approccio, però, dovrebbe seguire in Italia una diversa modalità di accoglienza dei richiedenti asilo: “Se si riesce ad organizzare la partenza per vie legali, inevitabilmente anche l’arrivo sarà più semplice da gestire” ricorda Prestianni. Nel frattempo, però, Tajani ha promesso a Tunisi un’altra tranche di aiuti per una soluzione che sembra così ancora lontana.