Come si sta evolvendo la professione del giornalista? Quali scenari si aprono nell’informazione del futuro?

Lo abbiamo chiesto ad Andrea Iannuzzi (@Aiannuzzi), direttore dell’AGL, l’Agenzia Giornali Locali del Gruppo Editoriale L’Espresso. Iannuzzi guida una redazione che fornisce servizi nazionali ai 18 quotidiani del gruppo, integrando il lavoro per le edizioni cartacee e digitali. In precedenza si è occupato di Repubblica Sera, il primo quotidiano serale studiato e realizzato solo per supporti digitali.

Qual è il futuro prossimo della professione giornalistica?

Un futuro complicato che deve passare attraverso un processo di disintegrazione dell’esistente. Il treno della trasformazione graduale e non traumatica verso il digitale è stato perso. Il giornalismo professionale si dovrà occupare sempre meno di produrre contenuti e sempre più di curare, verificare, selezionare, aggregare e cucire su misura l’offerta informativa per il lettore. Prevedo in generale un livellamento verso il basso delle retribuzioni, una riduzione delle funzioni e delle figure redazionali a favore di rapporti di partnership con liberi professionisti specializzati in diverse aree (sia tematiche che di competenze culturali e tecnologiche). La libera professione è il futuro del giornalismo, se il giornalismo professionale ha un futuro. In ogni caso, giornalisti non si è, il giornalismo si fa (atti di giornalismo, a prescindere da tesserino o qualifiche professionali) ed è una funzione democratica che non verrà mai meno. Lunga vita al giornalismo, magari non profit.

Come la tecnologia influenzerà i contenuti e le modalità di lavoro nelle redazioni?

In parte ho già risposto. La tecnologia è la nuova “rotativa”: non serve più possedere i mezzi di produzione industriale per svolgere la funzione mediatica, quindi il valore aggiunto per un’azienda editoriale sarà sempre più la sua capacità di essere / produrre piattaforme tecnologiche, prodotti ad alto contenuto tecnologico, strumenti ad uso e consumo degli utenti oltre che dei cd “giornalisti”. “il valore aggiunto per un’azienda editoriale sarà sempre più la sua capacità di essere/produrre piattaforme tecnologiche”Nelle redazioni serviranno sempre più figure specifiche nel settore della programmazione (ingegneri informatici, per banalizzare), al punto che gli stessi giornalisti dovranno affinare queste competenze per poter dialogare con i programmatori. Altra figura importante è l’analista dei dati, non può esistere un prodotto giornalistico efficace che non sia data-driven e analytics-driven. Le metriche saranno sempre più centrali per la distribuzione dei contenuti, così come gli algoritmi. Non dimentichiamo che esistono già robot in grado di scrivere articoli (finanziari, sportivi) di senso compiuto.

Alla ricerca del Sacro Graal della sostenibilità: dai paywall al native advertising, quale via per salvare le testate?

Non c’è più il pesce grosso (vendita diretta più pubblicità), bisogna cercare tanti pesci piccoli. Ma più di tutto sarà importante costruire rapporti di fiducia con i propri sostenitori: non chiedere loro di pagare qualcosa, ma offrire l’opportunità di contribuire – anche economicamente – a un progetto nel quale credono. E’ il modello membership, in sostanza. Per quanto riguarda il mercato pubblicitario, va “riconquistato” attraverso modalità completamente nuove, che oggi per esempio si chiamano “programmatic”: all’inserzionista va offerto il cliente giusto al momento giusto sulla giusta piattaforma, con precisione chirurgica e tempismo. Il modo tradizionale di vendere la pubblicità non è più competitivo. Infine, sarà sempre più importante il fund-raising, sia di base che attraverso fondazioni, enti non profit e benefattori.

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