L’elogio del successo regna. Lo scatto è alla medaglia; la coppa si merita il like; si condividono i festeggiamenti. Alle esitazioni e ai tormenti, ai bivi e agli intralci è concesso il margine. Si devono stoppare come fa la guardia sotto canestro, dribblare alla maniera del fantasista a ridosso dell’area di rigore, mettere alle corde e KO alla stregua di un pugile. L’oscurità sia confinata nelle camere degli alberghi e negli spogliatoi; splenda la luce e si brindi solo alla vittoria in mondovisione. È il paradigma dello storytelling sportivo che una porzione dell’editoria indipendente italiana aspira a ribaltare. Indirizza lo sguardo, riflette e indaga sul retropalco, in cui germogliano i crucci degli atleti di ogni disciplina, nei libri che espone al Book Pride 2024 di Milano.
Nell’ottava edizione, la letteratura e le competizioni agonistiche (solitudine, crolli e risalite, rivalità) si congiungono nel Book Sport, la prima sezione dedicata all’ambito. La decisione di riservargli uno spazio, il cui curatore speciale è l’ex cestista Luigi “Gigi” Datome, è maturata perché, negli ultimi anni, «lo sport ha assunto una dimensione che travalica i confini del tifo, riservata, soprattutto, al calcio maschile. Accanto a film, documentari e podcast di “matrice” sportiva, le storie legate allo sport sono protagoniste di un’esplosione in libreria. Stanno diventando un genere alla pari di fantasy e romance. Il numero degli editori è crescente, come l’interesse di un pubblico trasversale, che coinvolge anche giovani e giovanissimi», motiva, a Magzine, Isabella Ferretti, presidente del Festival e fondatrice-editrice di 66thand2nd.
Il motto della manifestazione, Cosa vogliamo, si può traslare in una domanda per scoprire le richieste dei lettori e gli obiettivi delle case editrici, che tentano di esaudirle e arricchiscono il programma della rassegna con confronti tra scrittori e presentazioni delle ultime stampe: «La caduta e il riscatto di personaggi sportivi creano un formidabile sentimento di empatia che consente al lettore di rispecchiarsi nelle difficoltà dei propri idoli. E offrono una dimensione alternativa, non priva di ombre, a una società disorientata e spaurita, alle prese con problemi schiaccianti», spiega, a poche ore dai giri di chiave che schiudono i cancelli dello Superstudio Maxi, Ferretti.
Ci si addestra negli stand e, di fronte ad alcuni, si palesa un album di figurine di carta. La loro disposizione spedisce un messaggio, che ha le fattezze di un’esortazione: le segregazioni d’epoca, di sport, d’età e genere degli atleti non sono tollerate. Le classifiche sono inesistenti: qualunque gesto tecnico, vincente o velleitario, ogni sofferenza, alleviata o implacabile, qualsivoglia traguardo, conquistato o mancato, sono degni della stessa considerazione.
Nel padiglione allestito dalla Lab DFG – Sport tra le righe, i libri innescano dialoghi: lo sguardo insicuro di Ayrton Senna s’incrocia con quello agguerrito di Nikola Jokić; le mani nastrate di un/una pallavolista sfiorano il guantone sollevato da Rocky Marciano. «Il nostro mantra è: si scrive sport, si legge vita. Puntiamo sulle storie di qualità, in grado di trasmettere alle future generazioni che i valori dello sport corrispondono a quelli della vita. Ogni disciplina ha un fascino particolare. Perciò, quando parliamo di “sport tra le righe”, intendiamo campioni e campionesse i cui insegnamenti, tratti da vittorie e sconfitte, vanno oltre il campo o la pista, ma si ripresentano nella quotidianità», afferma, a Magzine, Giovanni Di Giorgi, numero uno della casa editrice, fondata nel 2019, che assegna il Premio di Letteratura Sportiva Invictus.
Sui banchetti della Capovolte, invece, c’è una schiera di volti di donne: quello, col caschetto da ciclista, di Silvia Grua; quello, contratto dalla tensione, della ginnasta Arianna Rocca; quelli, un po’ taciuti dall’hijab, di alcune atlete musulmane, la boxeuse Hasna Bouyij e la giocatrice di pallacanestro Hasnaa Bouyi. Sulle loro biografie, che oltrepassa la sfera agonistica, sono fondati tre dei libri che compongono la collana Dinamica, la finestra sullo sport femminile aperta nell’anno dell’istituzione, il 2019. Di cui la titolare, Ilaria Leccardi, indica gli intenti a Magzine: «Nasce dalla consapevolezza che nella narrazione italiana dello sport femminile ci sia ancora strada da fare in termini d’attenzione e correttezza del linguaggio utilizzato. Bisogna far comprendere l’importanza dello sport anche in contesti femministi e di una prospettiva femminista e antidiscriminatoria. Il focus sulla ginnastica, dove i corpi sono messi alla prova e modellati fin da giovanissimi, risale al mio trascorso sportivo. La bicicletta, invece, è uno strumento straordinario di emancipazione».
Di Giorgi e Liccardi concordano sulla potenza dello storytelling sportivo che, facendo anche leva sulla richiesta dei lettori, può contribuire alla sensibilizzazione di questioni distanti – all’apparenza – dallo sport. Perché, per il primo, «è metafora sia dell’incontro, nel rispetto, di diversità e fragilità, sia della possibilità di gioire delle affermazioni e trovare insegnamento dalle sconfitte». Sulla stessa lunghezza d’onda è la sua collega: «È uno specchio abbastanza limpido della società in cui viviamo, dove risuonano aspetti positivi, come emancipazione e conquiste, ma anche negativi, tipo discriminazioni, forme di razzismo e sessismo».
Affrontano i momenti spartiacque, che stabilizzano o dirottano l’esistenza, anche i mezzi di comunicazione che espongono quelli dell’uomo e, in particolare, dello sportivo. Uno di questi è la televisione, il cui legame col calcio – sbocciato oltre settantanni fa – è ripercorso da Giorgio Simonelli in Quasi gol. Storia sentimentale del calcio in tv (Manni Editori). Il docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – che ha dialogato con Bruno Gambarotta sui “Settant’anni di RAI tra sport e varietà” al Book Pride 2024 – ci spiega quali siano stati i fattori che hanno mutato il racconto televisivo calcistico in Italia: «Il primo è la discesa in campo di Fininvest, che ha trasformato il calcio in un prodotto da offrire senza limiti al pubblico e, di conseguenza, agli inserzionisti; l’altro è l’avvento della pay-TV, che è diventata padrona delle competizioni calcistiche, decidendone la distribuzione nel tempo, come dimostra lo “spezzatino”».
Di pari passo, è stata investita dalla rivoluzione digitale, che potrebbe incidere ancora sulla fruizione delle partite: «Da qualche stagione, la forma di rappresentazione del calcio si è stabilizzata su un modello diffuso all’inizio del secolo: prevede molte telecamere, inquadrature con punti di vista diversi e che insistono sul pubblico, montaggio serrato, tanti replay. La visione non è più dalla tribuna, ma da molto più da vicino, dal campo: è ciò che non potrà mai vedere se non con il meraviglioso medium in grado di arrivare al dettaglio più invisibile». La novità potrebbe essere «una rappresentazione in diretta della postazione VAR con i dialoghi tra gli arbitri».