La sensazione è la stessa di quando da adolescente fai ritorno per la prima volta da un lungo viaggio passato con gli amici. In te è cresciuta la consapevolezza di essere finalmente diventato grande. Hai incontrato anche una ragazza, l’hai corteggiata per tutto il viaggio, e poi l’ultima sera, quella che nella maggior parte dei film adolescenziali coincide con il primo bacio, qualcosa è andato storto. A quel punto non penserai a quanto sia stato significativo per te questo viaggio, a quanto ti abbia arricchito, ma ti focalizzerai su quel bacio non dato, che ti terrà sospeso per ore, giorni e forse mesi. Questo in sostanza è quello che è successo ieri all’Inter di Inzaghi, uscita sconfitta per 1-0 nella finale di Champions League contro il Manchester City di Guardiola.
L’immagine che meglio riassume la gara dell’Inter arriva al 71esimo minuto, quando Dimarco, il ragazzo d’oro nato e cresciuto con la maglia nerazzurra addosso, centra prima la traversa con un pallonetto di testa che scavalca Ederson, e poi sulla ribattuta colpisce il compagno di squadra Lukaku. Un momento iconico, per certi versi drammatico. A condannare i nerazzurri – seppur indirettamente – è ancora lui, l’uomo che un gol dopo l’altro, ha trascinato l’Inter in Champions. Era già successo nella finale di Europa League 2020, finita 3-2 per il Siviglia proprio grazie ad un autogol di Big Rom; e poi nella successiva edizione della Champions League, contro lo Shakhtar, quando Lukaku parò un colpo di testa a botta sicura di Sanchez che sarebbe valso il passaggio agli ottavi.
Una finale, a detta di molti, dal risultato annunciato, con il City che avrebbe dovuto spezzare a metà la squadra di Inzaghi. La realtà però, come spesso ci insegna il calcio, è stata ben diversa dalle previsioni. L’Inter si è mostrata aggressiva, sfrontata, propositiva ma allo stesso compatta. Non ha subito il contraccolpo psicologico dello svantaggio, bensì è rimasta aggrappata al match fino all’ultimo secondo, sfiorando più volte il pareggio. L’Inter si è mostrata aggressiva, sfrontata, propositiva ma allo stesso compatta. Non ha subito il contraccolpo psicologico dello svantaggio, bensì è rimasta aggrappata al match fino all’ultimo secondo, sfiorando più volte il pareggio. Nel calcio però, vince chi segna un gol in più dell’avversario, e al City, pur giocando forse la partita meno brillante della sua stagione, è bastato un destro di Rodri per vincere la prima Champions League della sua storia e centrare un traguardo tanto caro all’Inter: il triplete.
Una cosa è certa, la squadra di Guardiola è in questo momento la più forte del mondo, un cyborg perfetto, costruito e rodato per sollevare questo trofeo che troppe volte gli era sfuggito. Dimarco qualche giorno prima della partita, ha parlato così del City: “Per loro vincere la Champions è un’ossessione, per noi un sogno”. Alzi la mano chi si aspettava dall’Inter di Inzaghi un percorso simile in Europa. Essere riusciti a giocarsi alla pari una finale contro i marziani di Guardiola è la conferma definitiva del valore di un gruppo che quest’anno, malgrado le due coppe nazionali, ha raccolto troppo poco in campionato. Una squadra forte, costruita nel segno della sostenibilità economica grazie al lavoro eccellente dei due direttori sportivi, Marotta e Ausilio. Basti pensare che l’undici titolare dei neroazzurri è costato in tutto 115 milioni, la stessa cifra che il City ha speso per comprare Jack Grealish.
Appare dunque chiara quale sia la strada da percorrere per riuscire a colmare il gap che ci separa dal resto delle squadre europee. Ai miliardi sperati dai vari top club, dobbiamo rispondere con un mercato intelligente e fondato sulle idee. Solo in questo modo possiamo tornare protagonisti nei palcoscenici più importanti. Vedi allora che l’Inter acquista Onana, Acerbi e Chalanoglu a parametro zero; e il Napoli – protagonista di un’ottima Champions – rileva a prezzo di saldo “gli sconosciuti” Kim e Kvaratskhelia.
L’Inter deve ripartire da Istanbul a testa alta, con la consapevolezza di essere diventata grande, anche perché se vincere aiuta a vincere, è anche vero che solo chi ha avuto il privilegio di cadere e di assaporare il gusto amaro della sconfitta, può comprendere realmente quale sia il significato della vittoria. La squadra di Inzaghi, come un pugile sul ring, ha incassato il colpo, non resta che restituirlo nella prossima stagione.