Durante la lettura de Il lato oscuro di New York è altamente consigliato l’ascolto della Playlist Spotify Flats & Hits: oltre a contenere i brani presenti nell’articolo, questa manciata di canzoni creerà infatti la giusta immersione nelle atmosfere raccontate.

Tra la Seven e la Eight Avenue di Chelsea, quartiere simbolo di Manhattan, sorge un vecchio albergo fatto di mattoni rossi, raffinati balconi in ferro battuto e bovindi incastonati nella sua facciata come gemme preziose sulla corona di un re. Progettato dall’architetto Philip Hubert e costruito tra il 1883 e il 1885 il Chelsea Hotel, svettando con i suoi 55 metri sulla trafficatissima 23rd Street, fu per un breve lasso di tempo l’edificio più alto di New York (titolo strappatogli nel 1889 e per un solo piano dalla storica sede del New York Times al civico 41 di Park Row). Questo edificio, anonimo e vistoso allo stesso tempo, sin dai primi anni del Novecento divenne uno dei cuori pulsanti dell’American culture.

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo fece parte di un esperimento ideato dalla Hubert, Pirrson & Company, l’impresa edile che lo aveva costruito. I due architetti crearono infatti la Hubert Home Club una filiera di abitazioni low-cost, utilizzata come alloggio da moltissimi artisti squattrinati e basata sulla condivisione di beni e servizi: un modello di convivenza ripreso dalle teorie del socialismo utopista di Charles Forier. Sorto nel cuore del vecchio Theatre Distric della Big Apple, l’esperimento di Philip Hubert e James Pirsson si concluse nei primi anni del Novecento a causa di croniche difficoltà economiche aggravate dall’apertura di un altro quartiere, Upper Manhattan, che con la sua abbondante offerta di case, teatri e sale concerto nuovi di zecca fece naufragare l’esperimento socialista dei due architetti.Puntata 05 - Chelsea Hotel 1Nel 1905 il Chelsea venne convertito alla funzione per la quale è famoso tutt’ora, quella di hotel. Con il passare degli anni, diventò uno dei simboli della metà marcia della Grande Mela, quella popolata da reietti e figli bastardi di quella società perbenista statunitense incapace di aspettare chi non si adegua ai suoi ritmi. Il lato nascosto di una città tanto bella quanto dannata che,Costruito nel 1885 dagli architetti Philip Hubert e James Pirsson, il Chelsea Hotel fu per un breve lasso di tempo l’edificio più alto di New York con il suo fascino perverso, ha attirato a sé tantissimi giovani. Migliaia di ragazzi e ragazze sedotti e illusi dall’assoluta assenza di inibizioni sociali e sessuali da sempre presente nel West Side di Manhattan. Da Frida Kahlo a Willem de Kooning, da Arthur C. Clarke a Jack Kerouac (che tra le mura dell’albergo scrissero rispettivamente la sceneggiatura di 2001: Odissea nello Spazio e il romanzo Sulla Strada) da Stanley Kubrick a Miloš Forman, da Bob Dylan a Jimi Hendrix: la lista di pittori, scrittori, registi e musicisti passati nelle camere di questo straordinario hotel è davvero impressionante.

L’artista che riuscì a legare maggiormente il proprio nome ai rossi muri del Chelsea fu però Andy Warhol. Giunto nella Big Apple dopo essersi laureato al Carnegie Institute of Technology di Pittsburgh, sua città natale, il futuro padrino della Pop art cominciò a costruire la propria fama lavorando come designer di moda e collaborando con riviste leader del settore come Vogue e Glamour. A partire dal ’62 Warhol decise di mettersi in proprio e creare uno studio tutto suo dove poter sperimentare e far crescere il proprio talento creativo. Fu questo l’atto di fondazione di uno dei luoghi più influenti dell’arte del XX Secolo. Costruito al quinto piano del palazzo al civico 231 della East 47th Street, The Facotry fu il luogo dove l’artista di Pittsburgh teneva le macchine serigrafiche dalle quali uscirono i suoi lavori più celebri come le serie di stampe Campbell’s Soup Cans e Marylin Monroe.

Situati ai lati opposti di Lower Manhattan il Chelsea Hotel e l’atelier di Warhol furono i due ambienti newyorkesi tra i quali i personaggi più importanti della controcultura mondiale fecero da spola per buona parte degli anni ’60. I due edifici, ancora oggi intrisi di tutto il genio e la sregolatezza da essi ospitati, divennero due melting pot incredibilmente stimolanti per arte, letteratura, cinema e musica. Tutto questo condito da una circolazione spropositata di sostanze stupefacenti, utilizzate molto spesso dai frequentatori del Chelsea e del Factory come boost creativo.Factory Panorama with AndyUno dei sodalizi più celebri nati, cresciuti e tramontati sul lato sporco delle strade newyorkesi è quello tra Andy Warhol e quattro ragazzi che in quegli anni stavano suonando in piccoli locali e refettori di scuole superiori tra il Greenwich Village e il New Jersey. Il loro nome era Velvet Underground. È la sera del 15 dicembre 1965 e la band – composta da Maureen “Moe” Tucker (batteria), Sterling Morrison (basso), John Cale (pianoforte e violino) e dal leader Lewis Allan “Lou” Reed (voce e chitarra) – riesce ad esibirsi per la prima volta come headliner al Café Bizarre, storico locale a nord di Soho e punto di ritrovoInsieme al Chelsea Hotel, il Factory di Andy Warhol fu, tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, il centro pulsante della controcultura statunitense per eccellenza della comunità beatnik degli anni ’50. Al concerto è presente Paul Morrissey regista, amico di Andy Warhol e assiduo frequentatore del suo atelier. Estasiato dal sound e dai testi portati in scena della band – al limite dell’osceno per quegli anni – consiglia al padrone del Factory di ingaggiare Reed & Co. come possibile resident band per il suo studio.

L’incontro con il genio della Pop art cambiò drasticamente il destino del gruppo. La sua reputazione artistica aiutò non poco i quattro musicisti nel farsi un nome negli ambienti underground della Grande Mela, facendoli passare in un battito di ciglia dai marciapiedi dei bassifondi newyorkesi agli ambienti stimolanti di atelier artistici e le stanze del Chelsea Hotel. Dopo esserne divenuto il manager Warhol consigliò alla band di ingaggiare come membro ausiliario l’attrice e modella tedesca Nico, una delle sue muse ispiratrici. La ragazza era giunta pochi mesi prima negli Stati Uniti al seguito di Brian Jones, chitarrista dei Rolling Stones e suo fidanzato.Puntata 05 - Chelsea Hotel 3Con questa formazione ibrida il quintetto fu il protagonista di uno dei progetti più bizzarri e visionari di tutti gli anni ’60: l’Exploding Plastic Inevitable. Andato in scena in alcuni locali tra Los Angeles e New York durante il 1966, lo show era una versione moderna dei quadri più visionari del pittore fiammingo Hieronymus Bosch. Durante lo spettacolo proiezioni non-stop di diapositive, luci stroboscopiche e cortometraggi prodotti dalla Factory si intervallavano a danze lascive di ballerini spremuti dentro costumi sadomaso e armati di frustino. L’incontro tra Andy Warhol e i Velvet Underground diede vita ad uno dei sodalizi artistici più straordinari nella storia della musica non solo rockTutto questo mentre in un angolo della stanza i Velvet Underground creavano un sottofondo musicale intessendo lunghe jam sature di distorsioni e suoni sporchi come i barboni agli angoli delle strade di Manhattan. L’evento, vera e propria pietra miliare della cultura made in the Sixties, fu interrotto più volte dalle forze dell’ordine per «disturbo della quiete, spaccio e consumo di sostanze stupefacenti».

Dopo l’avventura avanguardistica dell’Exploding Plastic Inevitable, Warhol decise di consolidare ulteriormente il rapporto con la band affidandogli la colonna sonora di Chelsea Girls, il suo primo successo commerciale cinematografico giunto dopo una lunga serie di cortometraggi sperimentali e d’avanguardia. Il film narra la vita di tutti i giorni di alcune donne che in quel periodo vivevano al Chelsea Hotel tra le quali compare anche la “venere tedesca” Nico la quale nel 1967 avrebbe pubblicato il suo album d’esordio, con lo stesso titolo della pellicola diretta da Warhol.Puntata 05 - Chelsea Hotel 4Galvanizzato dalla buona riuscita del suo film il padrino della Pop Art decise che era ormai giunto il momento per Reed & soci di registrare un disco. Nell’aprile del 1966, dopo due giorni di lavori non-stop nei malridotti Scepter Studios sulla 54th Street, la band riuscì a realizzare uno dei 33 giri più influenti nella storia della musica. Pubblicato il 12 marzo del 1967 dalla piccola etichetta indipendente Verve Records, The Velvet Underground & Nico fu un lavoro capace di gettare le basi per infiniti generi e sottogeneri del rock: dal punk alla new wave passando per l’alternative e l’indie.

Al sound grezzo e minimalista presente nelle sue undici tracce fanno da contraltare testi morbosi, in grado di narrare come mai prima le perversioni, il degrado ma soprattutto l’alienazione della vita metropolitana. Dall’attesa per lo spacciatore di fiduciaThe Velvet Underground & Nico, l’album di debutto dei Velvet Underground, è stato un disco capace di gettare le basi per generi come il punk, la new wave e l’alternative rock di I’m Waiting for the Man ai travestiti eroinomani di Run Run Run fino alla vera e propria odissea sensoriale sgorgata da un ago nella vena di Heroin, il debutto nel mondo discografico dei Velvet Underground offre il crudo ritratto di una New York simile ad una moderna Sodoma. Un’eredità artistica, quella incarnata da The Velvet Underground & Nico, sintetizzata da Brian Eno durante un’intervista rilasciata a Kristine McKenna per il magazine Musician: «L’altro giorno stavo parlando con Lou Reed, e mi ha detto che il primo album dei Velvet Underground ha venduto solo 30.000 copie nei primi 5 anni. È stata un’incisione talmente importante per così tante persone: sono convinto che ciascuno di quei 30.000 che l’hanno comprato ha fondato una band».