A pochi metri dalla fermata della metro Pasteur, a Milano, c’è l’Ambulatorio Medico Popolare (AMP); al civico 28 di via dei Transiti, per la precisione, nell’angolo di un palazzo che salta subito all’occhio per il rosso intenso dei suoi murales. Si tratta di uno stabile occupato dal 1975 dal centro sociale T28, e che dal 1994 ospita proprio l’AMP, in un piccolo locale che da allora offre assistenza sanitaria per tutti, in maniera gratuita. “Ci occupiamo di medicina di base per quella parte della popolazione che vive in condizioni precarie”, dice Andrea Crosignani, uno dei medici che da anni lavora come volontario.

Le persone che si rivolgono all’AMP sono migranti sprovvisti di permesso di soggiorno, o che non hanno una residenza sul territorio – un requisito indispensabile per ricevere la tessera sanitaria e avere quindi un medico di base. “Apriamo due giorni a settimana – prosegue Crosignani – e oltre a dare delle cure di base ai nostri ospiti, cerchiamo anche di indirizzarli alle strutture pubbliche in caso siano necessarie delle cure specialistiche. In sostanza facciamo il lavoro di un medico di famiglia”.

Quello dell’ambulatorio è un lavoro che va avanti da 26 anni, ma con l’arrivo del Coronavirus sono cambiate un po’ di cose. Dopo un primo momento di indecisione, dovuto ai possibili rischi di contagio, quasi tutti i volontari hanno deciso continuare a tenere aperto l’AMP anche durante i primi mesi di pandemia.“Chiudere avrebbe significato togliere un punto di riferimento a molti. Dopo qualche riflessione abbiamo dunque deciso di restare aperti, con visite solo su appuntamento e con tutte le precauzioni del caso”, commenta Giulia Russo, la dottoressa dell’ambulatorio con cui abbiamo parlato. “È un periodo difficile: le ASL sono sempre intasate, e per chi non è nato in Italia e non parla la lingua non è semplice districarsi fra queste dinamiche.  Anche assegnare un medico di base a chi ne avrebbe diritto sembra essere diventata la cosa più difficile del mondo… insomma, il nostro lavoro deve continuare”.

L’Ambulatorio Medico Popolare è una realtà milanese che offre sanità gratuita per chiunque, comprese persone senza permesso di soggiorno. Anche qui la pandemia ha avuto un impatto consistente su pazienti e medici volontari

Per paradosso, durante i primi mesi di pandemia i pazienti dell’ambulatorio sono stati pochi. La causa principale di ciò, secondo Andrea Crosignani, è da identificare nella paura che hanno avuto molti, “non solo per il rischio di poter essere contagiati, ma soprattutto per il timore di essere fermati per un controllo, ed essere poi espulsi dal Paese. Un nostro paziente è stato bloccato mentre andava in farmacia. Poi ha fatto ricorso e l’avvocato è riuscito ad annullare il decreto di espulsione, ma ecco, è per dare l’idea della situazione che c’era. La conseguenza principale è stata quindi che durante il lockdown molti hanno smesso di curarsi”. Con l’allentamento delle restrizioni di giugno la situazione ha iniziato a tornare alla normalità anche in ambulatorio, che ormai accoglie circa gli stessi pazienti che riceveva in periodo pre-Covid.

Fin dalla sua nascita l’AMP ha cercato di stimolare nei propri pazienti la consapevolezza per quelli che sono i diritti di ogni essere umano. “Quello alla salute è un bisogno fondamentale – specifica Crosignani – ma va conquistato rivendicando diritti come quello all’educazione o quello dell’avere un posto dove dormire”.

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Locandina della manifestazione a cui ha partecipato l’AMP

Il 20 giugno, cioè a qualche settimana dall’effettiva fine del lockdown, l’ambulatorio ha partecipato al corteo ‘Non vogliamo tornare alla normalità’, tenutosi a piazzale Loreto. Fra tutti gli striscioni presenti ne spiccava uno più di altri, con scritto ‘Quando c’è tutto, c’è la salute: vogliamo tutto’. Per Giulia Russo si trattava di una frase volutamente provocatoria, che provava a rappresentare “gli sforzi fatti dall’ambulatorio per aumentare la consapevolezza delle persone. Ad esempio, in questi anni abbiamo cercato di valorizzare l’esperienza di una scuola di italiano autogestita, che permette alle persone di avere una maggiore autonomia, conoscendo la lingua del paese dove vivono. Quella che portiamo avanti è una lotta in favore dei fabbisogni primari delle persone, nel senso più ampio possibile”.

Nella scuola di italiano dava una mano anche Egbert, un uomo di origine filippina morto nei mesi scorsi, e che Crosignani e Russo ricordano così: “Faceva l’accoglienza da noi. Purtroppo tra i pazienti dell’ospedale dove faceva la dialisi c’è stato un cluster, e lui che era già molto malato non ce l’ha fatta; ha preso il Covid, ed è stato letale. Ci teniamo a ricordarlo perché nonostante il suo essere ultimo, ha sempre voluto dare il suo contributo a partire dalla scuola di italiano dove faceva il volontario, fino alla mano che dava qui in ambulatorio. Lo faceva in maniera incondizionata, anche se viveva in dormitorio e faceva fatica ad arrivare a fine mese”.

Dal 1994 l’AMP si è sempre sostenuto in maniera autonoma. Chi ci lavora lo fa a titolo gratuito, e i costi di gestione, come le bollette o le spese per materiali sanitari, vengono da donazioni, che negli anni scorsi si concentravano soprattutto nei tanti eventi benefici organizzati dall’ambulatorio. “Il problema – dice Andrea Crosignani – è che con il Coronavirus non possiamo più organizzare presentazioni di libri, cene o altre iniziative del genere. Per fortuna gran parte delle medicine ci vengono donate dal banco farmaceutico, con farmaci vicini alla scadenza che diamo via rapidamente, per evitare che vadano sprecati. Ma ci sono comunque altre spese da assolvere”. Proprio per questo, l’AMP ha organizzato una raccolta fondi. In caso vogliate contribuire, trovate ulteriori dettagli a questo link.