“Mi reputo un padre assolutamente normale per fare quello che faccio, per prendermi dei giorni liberi e stare con mio figlio, per arrivare a dei compromessi con la mia compagna. Ma mi rendo conto che ancora nel 2023 non è la normalità”. C’è una piccola crepa anche nella Festa del Papà, che ricorre ogni 19 marzo. Le parole di Mario Portanova, 56 anni, giornalista de Il Fatto Quotidiano e padre di un bimbo di due anni, affondano il coltello in profondità di una società che fatica ad accettare la parità genitoriale. Ma sono la verità.
Non tutti i padri sono disposti ad assumersi responsabilità di questo tipo, come la cura del proprio figlio o della propria figlia, o godere di certe opportunità, soprattutto considerando che la legge sul congedo parentale spesso non favorisce alcune decisioni. “Due anni fa, quando è nato mio figlio Giulio, mi sono preso i dieci giorni previsti all’epoca per il congedo di paternità – continua Portanova -. Avrei potuto scegliere di rimanere a casa per altri tre mesi, però, con lo stipendio dimezzato e non me lo sarei potuto permettere”.
Sono sempre più numerosi i padri che chiedono il congedo parentale. Tra loro, parecchi hanno riflettuto a lungo sul senso della genitorialità. Per lo scrittore Luca Trapanese, “la differenza con una donna non esiste se c’è la convinzione di prenderti cura di un altro essere umano. Io non ho adottato Alba perché avevo un istinto materno: l’ho adottata perché ho un istinto genitoriale”
Dopo la riforma di agosto e la legge di bilancio aggiornata a dicembre, sono cambiate le norme sulla retribuzione ai lavoratori in congedo: è aumentata dal 30% all’80% per la durata di un mese di congedo senza distinzione fra uomo e donna. Ma, ancora oggi, il numero dei giorni di congedo è rimasto sempre lo stesso: il padre ha diritto di astenersi dal lavoro solo per dieci giorni lavorativi (venti in caso di parto plurimo), nell’arco temporale che va dai due mesi precedenti alla data presunta del parto fino ai cinque mesi successivi alla nascita. La differenza è notevole, considerando le 22 settimane di congedo previsto per le madri.
Eppure, rispetto alla media europea delle settimane concesse come congedi di maternità e paternità, l’Italia non si posiziona agli ultimi posti. Si può tirare un sospiro di sollievo se ci si confronta con la Germania, che non prevede alcun congedo di paternità e riserva alle madri solo 12 settimane retribuite appieno. Ma,paragonando l’Italia alla Spagna, la prima in classifica, che garantisce ai lavoratori ben 12 settimane di pausa, noi siamo ancora molto indietro. Senza contare poi la percentuale dei licenziamenti o delle non assunzioni documentata dalle lavoratrici che cercano di farsi strada nel mondo lavorativo italiano: il tasso di occupazione femminile è intorno al 50%, uno fra i più bassi in Europa.
Mario Portanova commenta così i dati nazionali: “Mi reputo normale ma so che non è la normalità, e quindi sembra che io sia stra-ordinario”. La sua analisi è estremamente attuale e non si riferisce solo alla burocrazia, ma anche e soprattutto allo stigma sociale che vede la donna ancora come colei che si occupa quasi solo della famiglia ed è un’eccezione quando si tratta dell’uomo.“Il problema è che la società vuole per forza incasellarci e convincerci che la madre abbia un ruolo supremo e il padre, invece, un ruolo collaterale”, chiosa Portanova.
Per Luca Trapanese, 46 anni, scrittore e padre di una bambina di sei anni, avere un figlio o una figlia, e diventare quindi genitore, è un ruolo che prescinde dal genere maschile o femminile: è una scelta o una vocazione.“Sono dell’idea che abbiamo relegato alla donna la genitorialità. Ma io sono convinto che a contraddistinguerci è proprio il bisogno di genitorialità. Io non ho adottato Alba perché avevo un istinto materno: avevo un istinto genitoriale. La differenza con una donna non esiste se c’è la convinzione di prenderti cura di un altro essere umano”. Ed è questo il nucleo centrale.
Portanova e Trapanese sono accomunati, in quanto padri, dallo stesso senso di ordinarietà:non c’è niente di straordinario nel riconoscere e agire con la consapevolezza che il centro del proprio mondo è un’altra creatura verso cui si hanno certe responsabilità. “Io sentivo forte l’esigenza di essere padre, anche di un figlio o una figlia, come nel mio caso, disabile. Ho risposto a un mio bisogno, a una mia vocazione – confessa Trapanese – . Io ho adottato, c’è chi procrea, c’è chi sceglie di diventare genitore in tanti altri modi. Non c’è un modo giusto né un modo sbagliato.”