Da un mese e mezzo il nostro Paese sta fronteggiando un’emergenza sanitaria senza precedenti.Oltre agli ospedali, a non fermarsi sono anche tutti quei servizi sanitari – pubblici e privati – non strettamente legati alla cura di persone affette da Covid-19. Tra questi, anche l’assistenza ai tossicodipendenti va avanti, «seppure il lavoro in questo momento non sia come quello di una volta», ammette il dottor Riccardo Gatti, Direttore del Dipartimento Interaziendale Prestazioni Erogate nell’Area Dipendenze (DIPEAD) della ASST Santi Paolo e Carlo, che opera su tutta la città di Milano. «Con qualche limitazione, infatti, il supporto alle persone già in cura – così come a quelle che chiedono per la prima volta un aiuto – continua». Sebbene sino ad ora siano stati pochi i problemi affrontanti, il prolungarsi della situazione potrebbe determinare difficoltà mai incontrate prima. Per il dottor Gatti però, l’importante è giocare d’anticipo, all’interno di un team coeso e in grado di ipotizzare il maggior numero di scenari possibili da fronteggiare, successivamente, nel migliore dei modi.

Dottor Gatti, quali sono le problematiche che state affrontando in questi giorni di emergenza sanitaria per continuare a portare avanti le vostre attività di assistenza e di cura?

Le più grandi difficoltà del momento riguardano tutte le attività collettive, come i lavori di gruppo. Altre diventano invece più difficili perché mascherine, mezzi comunicazione, distanze, complicano e allungano questo tipo di attività. In realtà tutta una serie di prestazioni di base si fanno ma ci vuole più tempo. Poi ci sono invece una serie di altre situazioni – collegate ai problemi degli operatori in generale, di salute o quotidiani – che messe tutte insieme riducono la possibilità di supporto, soprattutto dal punto di vista del lavoro multidisciplinare, psicologico, medico e sociale. Anche portare avanti determinati rapporti interpersonali a distanza – via Skype, Whatsapp, mail e telefonate – non è la stessa cosa.

Fino a questo momento le droghe continuano a raggiungere le persone che le richiedono. Il giro non si è fermato ma continua a livello locale con le scorte disponibili

Cosa prevede se la situazione dovesse protrarsi ancora per molto tempo?

È chiaro che se la situazione rimane così a lungo probabilmente bisognerà riorganizzarsi in un altro modo. Con una serie di incognite però che non riguardano tanto le persone in cura – che continuano a essere regolarmente seguite – quanto quelle che non sono in cura. Fino a questo momento le droghe continuano a raggiungere le persone che le richiedono. I consumatori occasionali non le stanno consumando o le consumano molto meno e questo ha reso disponibile più quantitativi di sostanze per le persone che sono tossicodipendenti. Il giro non si è fermato ma continua a livello locale con le scorte che ci sono. Tuttavia, le scorte iniziano a scarseggiare e potrebbe anche essere che a un certo punto non arrivino più dosi, o arrivino in minore quantità e in più tempo. In questo caso i prezzi si alzerebbero (cosa che per adesso non è successo) e un certo numero di persone potrebbe non riuscire ad avere più sostanze. I consumatori occasionali non avrebbero grossi problemi ma i tossicodipendenti, affetti da una condizione patologica, sì, perché starebbero male. E molto probabilmente si rivolgerebbero, di conseguenza, ai servizi di cura. Il problema è che se stanno male dieci persone è un discorso, se stanno male 500 persone ne è un altro.

Quindi si temono alti numeri di persone affette da crisi di astinenza…

È una possibilità che non si è mai verificata anche perché è la stessa situazione in cui siamo a non essersi mai verificata. Tenga presente che le dosi di cocaina ed eroina, per esempio, effettuano un lungo percorso prima di raggiungere il consumatore finale: nascono come coltivazione agricola, poi vengono lavorate, stoccate, trasportate, successivamente arrivano ai punti di distribuzione e da qui raggiungono lo spacciatore che poi alla fine le vende al cliente. Ora tutto il mondo è in una situazione di particolare difficoltà ma, soprattutto, di particolare controllo, con tutta una riduzione di traffico aereo e consegne di vario genere, dietro cui spesso si nascondono anche i trasporti delle sostanze illecite. Quale tipo di ricaduta questo potrebbe avere a lungo termine sui mercati locali della droga è tutta una cosa da scoprire. Al momento è difficile dirlo. 

Abbiamo creato da zero una Help line per le persone che, avendo problemi, non sanno a cui rivolgersi. 

Vi state già muovendo per arginare in futuro questo possibile scenario?

Noi abbiamo creato un assetto collegato all’emergenza con un comitato di crisi di cui fanno parte i responsabili del servizio per le dipendenze. Ci vediamo e ci riuniamo settimanalmente con l’ATS (Agenzia di Tutela della Salute) e infine  abbiamo creato da zero una Help line per le persone che, avendo problemi, non sanno a cui rivolgersi. Stiamo cercando di prevedere e anche pilotare il percorso nell’emergenza. L’ipotesi sulla scomparsa delle sostanze o meno, non è solo una domanda, stiamo facendo piani per cercare di rispondere nel migliore dei modi al problema nel caso si manifestasse. Abbiamo dovuto ridurre una serie di cose sì, ma stiamo lavorando per prevenirne e affrontarne altre. Non siamo in una situazione statica e difensiva ma in una dinamica e operativa, con tutti i limiti del caso.

L’isolamento forzato e non a cui ci stiamo lentamente abituando può destabilizzare l’equilibrio psicofisico di ognuno di noi. Categorie sociali per così dire più deboli come quella dei tossicodipendenti corrono maggiori rischi da questo punto di vista?

Io cercherei di uscire un po’ dallo stereotipo perché non è che per forza il tossicodipendente è una persona debole. È vero che ci sono tossicodipendenti che hanno una serie di problemi anche di tipo psicologico ecc. – che magari assumo sostanze come se fosse una auto-cura – ma esiste anche tutta una fetta abbastanza ampia di popolazione che ha problemi di tossicodipendenza ma che non è necessariamente configurabile come debole o diverse da me e da lei. La prima tipologia potrà avere più problemi, mentre per l’ultima la situazione dell’isolamento può essere una situazione pesante ma in generale le persone possono anche adattarsi per un certo periodo. Chiaro è che la situazione che c’è (e anche come viene comunicata) lascia poca possibilità al limitare l’angoscia, che è legata anche all’angoscia dell’ignoto. E ciò colpisce anche persone che magari non hanno solo problemi psicologici ma anche problemi di sussistenza economica, di lavoro. L’isolamento sarà anche una brutta cosa ma il problema vero è anche un altro. Per le persone che hanno anche dei problemi psichici e o psicologici, evidentemente la situazione può essere molto più complessa. La solitudine sveglia tanti fantasmi nelle persone sane, figuriamoci in quelle malate. Il rischio è che poi le persone che usano sostanze combinino pasticci: nel senso che le usino ancora di più, incomincino ad accostarsi anche ad altre sostanze e complichino così ulteriormente la loro situazione. D’altra parte, devo anche dire che al momento – per quanto vedo dal mio osservatorio – le persone che conosciamo noi e che si rivolgono ai nostri servizi stanno vivendo la cosa con grande senso di responsabilità e di equilibrio. Cosa che normalmente non viene attribuita a persone che sono tossicodipendenti e questa è la differenza che c’è tra la realtà e gli stereotipi immaginari che noi tutti abbiamo.

Avere nuove risorse umane mi sembra molto difficile. Non è che, come in qualsiasi altro lavoro, ci si possa improvvisare. 

Il 21 marzo scorso la FeDerSed ha lanciato un appello ai politici, agli organi regionali e ai direttori generali delle ASL chiedendo maggiori risorse sia a livello di personale che di presidi sanitari. Ad oggi qual è stata la risposta delle istituzioni?

Credo che questi appelli siano importanti, però in un momento come questo pensare che si possano trovare maggiori risorse per i servizi per le dipendenze – così come per qualunque altro settore della sanità – mi sembra proprio un bel desiderio ma niente di più. Il discorso sui presidi di protezione individuale, come mascherine e cose del genere, è una cosa che ha trovato tutti impreparati e che forse poteva essere gestita meglio. Avere nuove risorse umane invece mi sembra molto difficile perché poi, tra l’altro, non è che, come in qualsiasi altro lavoro, ci si possa improvvisare. Da questa storia piuttosto dovremmo imparare qualche cosa in più. In questi anni abbiamo cercato (probabilmente anche perché i soldi non ci sono) di “ottimizzare”, “razionalizzare” ecc il sistema della salute pubblica ma questo ha comportato la riduzione di personale, di posti letto, di servizi. Alla luce dei fatti è evidente che se tu diminuisci progressivamente le risorse dei sistemi di cura, i sistemi di cura a loro volta possono compensare fino a un certo punto… All’interno di una situazione normale tutto funziona, ma già sei in sofferenza; all’interno di una situazione di crisi ovviamente questa sofferenza si sente molto di più. La domanda è: ma per fare quello che bisognava fare le risorse a disposizione erano quelle che ci dovevano essere?  E su questo dovremmo rispondere non solo noi del settore dipendenze patologiche ma anche tutti quelli degli altri settori del sistema sanitario.

 Il sistema qui a Milano tiene. Stiamo lavorando in relazione, di concerto gli uni con gli altri. 

Forse tutta questa situazione ci ha insegnato che non bisogna trovarsi impreparati…

Io credo che il sistema generale pubblico, privato, sociale, almeno di Milano – parlo di Milano perché lavoro qui – in questo momento, anche se con grandi difficoltà, sta reggendo il ritmo. C’è molta consapevolezza e siamo collegati, ci sentiamo, ci confrontiamo, cerchiamo di prevedere le evoluzioni e cerchiamo di riparare i problemi. Non penso che si possa fare di meglio. Stiamo lavorando in relazione, di concerto gli uni con gli altri. Poi è chiaro che se vai nelle singole situazioni vedi quelle difficoltà che in questo momento hanno tutti: il fatto che le mascherine non arrivano, che i test non sai se li puoi fare oppure no… Il sistema qui a Milano tiene ed è per questo che ci si può porre anche il problema del “che cosa succederà se…”. Questa cosa non è scontata e credo che se altri settori avessero meglio previsto scenari futuri magari la risposta sarebbe stata più pronta.

 

Help Line del DIPARTIMENTO INTERAZIENDALE DIPENDENZE (DIPEAD)
Indirizzo email dipead.milano@asst-santipaolocarlo.it
Numeri telefonici DIPEAD (attivi dalle 9 alle 16 – dal Lunedì al Venerdì) 0281845412 oppure 0281845414
Sito web Dott. Riccardo Gatti