Dove conduce la “Sublime Porta”? L’antico nome dell’Impero Ottomano descrive bene la condizione di perenne crocevia di una città (Istanbul) e di uno stato (La Turchia), posizionati a cavallo tra l’Europa e l’Asia. Storicamente simbolo della multiculturalità, questa Porta si sta parzialmente chiudendo verso l’Europa, nonostante fino a sei-sette anni fa sembrava che l’adesione della Turchia all’Unione Europea fosse solo una questione di formalità e di criteri da rispettare. Ma in questi anni così sconvolgenti per il futuro del Medio Oriente, le cose sono molto cambiate. L’obiettivo della Turchia islamizzata di Recep Tayyp Erdogan non è più l’accesso all’Europa, ma la leadership dell’area mediorientale che fino al 1923 era sotto il dominio dell’Impero Ottomano. La Turchia ha intravisto la possibilità di diventare un esempio per tutti quei Paesi che hanno tentato la via dell’Islam politico, e in questo senso ha trasmesso la propria immagine ai suoi vicini: un perfetto Stato con un governo laico, ma allo stesso tempo profondamente legato al sunnismo.
Le cose non sono andate come Erdogan si aspettava: il governo egiziano dei Fratelli Musulmani è stato rovesciato, la Libia è tuttora nel caos e la Siria è ancora (parzialmente) nelle mani del nemico Bashar Assad. Proprio l’atteggiamento ambiguo nei confronti della guerra all’Isis in Siria è stato l’ultimo di una serie di mosse mal viste dagli alleati Occidentali. Nonostante sia un membro della Nato, la Turchia ha dimostrato di essere un partner poco affidabile, e che si muove senza preoccuparsi troppo dell’opinione di Usa ed Europa.
Ma dove la politica e la diplomazia non hanno funzionato, forse saranno gli affari a tenere la Porta aperta. Se guardiamo la bilancia economica turca e ai suoi partner principali, vediamo che i primi quattro Paesi da cui importa Ankara sono Russia, Cina, Germania e Italia e i primi quattro in cui esporta sono Germania, Iraq, Regno Unito e Italia. L’Iraq è l’unico Paese dell’area con cui la Turchia scambia un volume di merci paragonabile agli altri partner commerciali. Nonostante la propaganda islamista, Erdogan non vuole e non può rinunciare ai rapporti economici con i vicini più benestanti. Non bisogna dimenticare che il neo-presidente turco deve molto del suo enorme consenso alla crescita economica che il Paese ha visto a partire proprio dai suoi primi anni come premier. D’altra parte, per lo stesso motivo, l’economia emergente turca rappresenta una forte attrazione per i Paesi occidentali.
È in questo contesto che si spiega la visita di Matteo Renzi ad Ankara dell’11 dicembre, quasi un “viaggio di lavoro”, come l’ha definito Alberto Negri sul Sole 24 Ore, riferendosi alla insolita parsimonia nelle formalità e nelle cortesie diplomatiche. Data la difficile situazione diplomatica, nessuno dei due vuole fare grande sfoggio di amicizia, ma né Roma né Ankara possono rinunciare a un interscambio annuo valutato intorno ai 20 miliardi di dollari (13,3 miliardi di dollari nel 2012 dalla Turchia all’Italia e 6,3 miliardi dall’Italia alla Turchia, con un saldo attivo a favore del nostro Paese di 7 miliardi (Fonte: Farnesina). Se solitamente la politica estera italiana non ha un grosso peso, il caso turco rappresenta un’eccezione e, considerato anche che Francia e Germania stanno prendendo le distanze da Erdogan, potrebbe essere proprio Roma in futuro a presentarsi come un interlocutore decisivo.