Quando entra in classe, per i suoi alunni è solo il professor Mariani. La cattedra diventa un palco e i suoi studenti il pubblico. Un po’ come se fosse una sorta di Dottor Jekyll e Mr Hyde. Di giorno, un rispettabile professore di storia e filosofia in un liceo di Reggio Emilia. Di notte Murubutu, un rapper che scrive testi densi di citazioni e richiami letterari. «Messa così, è un pochino eccessivo (ride, ndr). Mi piace pensare che sul palco riesco a fare ciò che faccio in cattedra».

Il professore che fa rap è un artista che scrive strofe raffinate, racconta storie spesso senza lieto fine e cerca di semplificare con i propri testi la complessità della vita. «Credo sia una deformazione professionale. Sono abituato a spiegare in modo comprensibile alcuni concetti difficili. Nella mia musica cerco di rendere interessante i contenuti senza svilirli». Le due personalità convivono tranquillamente. «Murubutu in classe non entra mai. I ragazzi che mi conoscono, hanno imparato a distinguere il mio lavoro dalla mia passione. Io alla fine sono quello che chiede le giustificazioni, dà i voti e tiene conto delle cose di tutti i giorni. Sono un insegnante come tutti gli altri».

Ascoltando il suo ultimo album, L’uomo che viaggiava nel vento, capita che si venga trasportati in posti lontani, che ci si soffermi sulla bellezza della basilica di San Gaudenzio o che si avvertano i rintocchi del campanile di Saintes Maries de la Mer. «Quando ho concepito questo album cercavo qualcosa che mi permettesse di spostarmi tra vari contesti storici e geografici». In questo senso si spiega la scelta del vento. «Penso sia un ottimo medium narrativo. Un po’ come se fosse un viandante in grado di raccogliere e conservare le storie».

Per scrivere questo disco, Murubutu si è ispirato alla storia di Angelo d’Arrigo, famoso aviatore e deltaplanista italiano, morto in un incidente nel 2006, durante un’esercitazione di volo. «È stata una notizia poco trattata dai grandi quotidiani nazionali. Mi sono informato su d’Arrigo. Mi piace fare ricerca e andare oltre le notizie più diffuse. Ho letto il libro che ha scritto assieme alla moglie. Ero rimasto colpito da questa strana idea che aveva di ricercare nel DNA umano tracce degli uccelli. La viveva in prima persona. Mi ha colpito».

Ascolta L’uomo che viaggiava nel vento

Alla scrittura realista affianca un forte simbolismo. La filosofia poi subentra nel processo creativo. «A livello di input influisce tantissimo. Il mio lavoro mi costringe a studiare molto e la scrittura mi consente di continuare questo lavoro di approfondimento». Gli spunti per comporre le proprie canzoni provengono in gran parte dalla vita quotidiana. «La provincia mi dà tantissimo perché ho la campagna molto vicino. È un paesaggio che torna spesso nei miei testi. Non riuscirei a scrivere e vivere in una grande città, è troppo caotica». Ascoltando l’album si avverte un senso di nostalgia, di tristezza per la piega che prendono alcune storie. «Sì è vero. Penso sia più semplice scrivere racconti a lieto fine. Scrivere storie tristi aiuta a dar un senso a un certo dolore, ma significa anche svolgere una funzione, e poi da un punto di vista emotivo risultano più coinvolgenti. La realtà è fatta di cose tristi. In qualche modo, la mia, è una scrittura realista. Grecale però è un pezzo che trasmette un messaggio di speranza».

Le collaborazioni per questo dico sono di altissimo livello. Rancore, Dargen D’Amico e Ghemon sono tra le penne più stimate e culturalmente valide nella scena rap italiana. Murubutu descrive così gli artisti: «Rancore è un visionario, Dargen è geniale mentre Ghemon ha una scrittura raffinata. Quando li ho contattati su Facebook si sono dimostrati subito contenti di collaborare. Questa cosa mi ha fatto piacere».

Quello di Murubutu è un publico eterogeneo. L’artista intercetta un po’ tutte le fasce d’età. Una delle difficoltà, quando scrive, consiste proprio in questo: arrivare a tutti con un linguaggio semplice e accessibile. «Quando scrivo, penso principalmente a me stesso o alle persone che possono cogliere quello che colgo io. I ragazzini che mi ascoltano non sono giovani che si accontentano, ma che vanno ad approfondire gli stimoli. Penso sia utile puntare in alto. Non fermarsi solo alla citazione, ma inquadrare tutto il contesto».

Ascolta Levante

Nella scena rap italiana, Murubutu appartiene a quella schiera di poeti contemporanei, di artisti che giocano e caricano le parole di un significato profondo. Sfugge agli stereotipi, il suo è uno stile personale e riconoscibile. «Il mio è un rap narrativo. La definizione corretta sarebbe storytelling rap sistematico. Non sono l’unico, ci sono altri rapper che lo fanno». Il suo ultimo lavoro ha ricevuto molte recensioni positive anche dalla stampa. «Devo spezzare una lancia a favore dei media, anche di quelli mainstream, visto che sono finito anche su diversi quotidiani nazionali. Ma questo accade perché oggi il rap è un genere molto diffuso che arriva a un sacco di persone». Gli apprezzamenti sono testimoniati anche dalla forte affluenza di pubblico ai live. Qualche settimana fa la sua data a Milano era sold out. «A essere sinceri il locale non era grandissimo, teneva circa 400 persone. Però è sempre una soddisfazione. Anche la prossima data che ho a Trento è sold out».

I contenuti sono fondamentali per Murubutu. Per il rapper, parafrasando una frase di Einstein, gli artisti usano solo il 10% delle tematiche di cui possono parlare, specialmente nella musica. «Sì, assolutamente sì. Nel rap ci sono persone che provano ad andare oltre come Claver Gold. Parlando di musica più in generale, mi viene in mente anche Max Gazzè. Purtroppo ci si fossilizza sempre su quattro o cinque macro argomenti. Non si sfrutta il potenziale».  Un artista con una scrittura raffinata e un flow ben definito come il suo, potrebbe mai collaborare con un rapper come Sfera su una base trap? «Non andrei mai a cercare una collaborazione del genere. Però mi piace mettermi alla prova, perciò nel caso mi venisse offerta, vedrei se ci sono dei margini per riuscire a fare qualcosa».

A scuola, i colleghi guardano con curiosità la sua passione. «Vedono il rap in maniera positiva. Alcuni docenti, che non lavorano nel mio liceo, hanno anche usato mie canzoni per trasmettere dei messaggi. Questo mi ha fatto piacere». Oltre a essere un professore, l’artista emiliano è anche un padre di famiglia. In alcuni pezzi come Il giovane Mariani o La bellissima Giulietta si avverte il richiamo al nido familiare, come direbbe Pascoli. «I miei figli sono contenti della mia doppia attività. Si rendono conto che, nel mio piccolo, sono un bell’esempio. Se ognuno riuscisse a fare quello che gli piace e a coltivare una passione, saremmo tutti meno stressati».

Ascolta La Bella creola

In questo periodo appena ha un po’ di tempo libero alterna la lettura dell’Armata dei sonnambuli del collettivo Wu Ming, all’ascolto di Pusha T e Childish Gambino. «Ho poco tempo per leggere perché sto studiando molto». La lettura è una delle passioni di Murubutu, fonte di ispirazione e apprendimento continuo. «È uno stimolo incredibile. Ho una passione per il naturalismo francese e le neurologia romanzata. Se potessi scegliere mi piacerebbe aver scritto Bel Ami di Guy de Maupassant. L’Ottocento, da un punto di vista letterario, è un’epoca che mi affascina molto». Zola e Turgenev sono tra i suoi modelli di riferimento. «Anche la letteratura sudamericana mi ha dato molto. Vorrei imitare o rubare qualche passo di Garcia Marquez».

In un periodo in cui il rap continua ad affermarsi sempre di più come un genere di riferimento, Murubutu continua ad avere un obiettivo. «Io credo che sia possibile fare un altro tipo di rap. Ampliare i contenuti e migliorare la scrittura. Basta volerlo». Il ritornello del pezzo La bella creola credo lo dimostri.

Tu non sai cos’è, se stai con me, un altro mondo si aprirà/ Non sai dov’è, la luce che è sulla via/ Tu non sai cos’è, se stai con me, un altro mondo si aprirà/ Saprai com’è, lo studio e la fantasia. Studio e fantasia. Le chiavi per accedere al mondo di Murubutu.