«Noi giornalisti dobbiamo difendere la libertà di espressione denunciandone le violazioni. Dobbiamo essere il cane da guardia delle istituzioni. La ricerca della verità aiuta a combattere la corruzione». Incontriamo Canan Coşkun, cronista di giudiziaria turca, in un caffè nel centro di Perugia, a margine del Festival Internazionale del Giornalismo. Piove. È sorridente, ordina un cappuccino.


Lei sta affrontando un processo per il quale l’accusa ha richiesto 23 anni di carcere. Perché è stato intentato un giudizio a suo carico?

«Ho rivelato che alcuni componenti dell’Alto Consiglio dei Giudici e dei Procuratori della Turchia hanno acquistato immobili a prezzi di favore da una società immobiliare pubblica. Questi magistrati sono legati al Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), attualmente al potere in Turchia. Ho scritto un articolo per Cumhuriyet, il mio giornale, e la procura ha aperto un’indagine su di me. Quando ho saputo della richiesta del pubblico ministero – 23 anni di carcere – sono rimasta scioccata. Non si è mai sentito di una condanna tanto aspra per un’accusa del genere».

In Italia i magistrati non possono iscriversi ai partiti politici. In Turchia funziona diversamente?

«No, anche in Turchia i magistrati non possono fare politica. Ma esiste un gruppo di giudici che è vicino all’AKP del presidente Erdoğan. Da parte nostra, Cumhuriyet è un quotidiano di opposizione laica, socialista: la priorità è occuparci di corruzione».

Come sta procedendo il giudizio a suo carico?

«Il governo esercita sempre più pressione sulla stampa. Ho paura che anche il mio giornale venga sequestrato» «Il processo è ancora in corso, ma sta evolvendo velocemente al contrario di altri casi che hanno visto coinvolti dei giornalisti. Faccio riferimento, per esempio, a Can Dündar ed Erdem Gül, direttore e caporedattore di Cumhuriyet, che sono stati incarcerati per 92 giorni prima che la Corte costituzionale ritenesse illegittima la loro detenzione preventiva. Oppure a Mehmet Baransu, editorialista del quotidiano Taraf, che ha trascorso dieci mesi in prigione per aver insultato Erdoğan su Twitter. Quando un giornalista protesta contro l’AKP rischia di essere imprigionato anche prima che il processo inizi. A me per fortuna non è successo. Il governo cerca di esercitare sempre più pressione sulla stampa e fare il giornalista è diventato un mestiere pericoloso in Turchia».

La decisione della Corte costituzionale di dichiarare illegittima la detenzione preventiva di Can Dündar ed Erdem Gül non costituisce un precedente giudiziario in suo favore?

«La decisione è servita per stabilire che in questi casi la detenzione preventiva è illegittima e attuata in violazione della libertà di stampa. Può essere una sentenza di grande aiuto per tutti noi giornalisti. Per quanto mi riguarda, penso di avere una solida strategia difensiva. Tra le prove a discarico ci sono una lista con i costi dei residence e un documento con gli ingenti sconti applicati ai magistrati. Inoltre, uno dei procuratori durante un discorso pubblico ha riconosciuto la veridicità di quanto ho scritto. Ma purtroppo queste dichiarazioni non potranno essere utilizzate come prova».

Le è già capitato in passato di essere coinvolta in altre inchieste giudiziarie?

«Ho subito altre accuse in precedenza, ma finora ho sempre vinto. Per esempio, ho scritto alcuni articoli sul figlio di Erdoğan, Bilal, e sul suo coinvolgimento in episodi di corruzione. Per quanto riguarda il processo in corso sto aspettando che il tribunale mi chiami a testimoniare: ho già avuto a che fare con alcuni dei giudici che decideranno sul mio caso e il procuratore capo è lo stesso che si è occupato del giudizio contro Can Dündar ed Erdem Gül. Sono in tanti ad avercela con il nostro giornale e io sono il bersaglio più facile da colpire. La situazione attuale in Turchia è vergognosa, ma sono serena perché confido nella giustizia».

Come ha reagito la stampa turca di fronte alle accuse che le sono state rivolte?

«Il sindacato dei giornalisti ha seguito la vicenda e mi è stato di grande aiuto. Ma soltanto i giornali di opposizione stanno scrivendo degli articoli per sostenermi. Ho molti amici che lavorano nei media pro-Erdoğan, ma non possono esprimersi in mio favore, anche se sanno che ho scritto cose giuste. Viceversa, alcuni gruppi internazionali, tra cui CNN e Reporters sans frontières, stanno supportando il mio caso dall’estero».

Un altro episodio eclatante di limitazione della libertà di stampa è stato quello di Zaman, il quotidiano turco più diffuso. A marzo la polizia ha fatto irruzione nella sua redazione.

«Il caso Zaman è emblematico dei legami tra politica, magistratura e stampa in Turchia. Molto importante nel panorama politico turco è il Movimento Hizmet di Fethullah Gülen che appoggiava il governo. Molti affiliati sono arrivati a coprire ruoli importanti all’interno della magistratura. Tuttavia i rapporti con Erdoğan si sono incrinati a partire dal 17 dicembre 2013, quando è scoppiato un grave scandalo di corruzione che ha investito l’esecutivo e molti suoi sostenitori. I magistrati vicini a Hizmet hanno cominciato a indagare sul coinvolgimento del governo negli illeciti. Da allora questo movimento ha iniziato a supportare Zaman e altri giornali anti-governativi. È per questo che Zaman e Bugün, giornali vicini al Movimento Hizmet, sono stati posti sotto sequestro. Zaman nel tempo ha scritto molti articoli con cui non sono d’accordo. Ciononostante sono profondamente convinta che debba continuare a lavorare liberamente. Oggi è toccato a Zaman, domani potrebbe toccare a Cumhuriyet. È una paura che ci accompagna tutti i giorni».

Erdoğan è primo ministro dal 2003 e presidente della Turchia dal 2014. All’inizio del suo mandato, però, appariva come una figura moderata che poteva guidare il Paese nel processo di integrazione europea. Che cosa è cambiato?  

«Erdoğan è ubriaco di potere e gode di un notevole seguito: in Parlamento ha riconquistato la maggioranza assoluta» «Non credo ci sia stata un’involuzione da quando Erdoğan è salito al potere a oggi. Non è mai stato un buon leader per la Turchia e negli ultimi anni ha mostrato il suo lato peggiore. Il suo operato ricorda quello di un dittatore. Ormai è ubriaco di potere e gode di un notevole seguito: nelle ultime elezioni ha sfiorato il 50% dei voti e ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi. Gliene mancano soltanto quindici per poter fare da solo anche le riforme costituzionali».

Come ha fatto Erdoğan a ottenere il sostegno dell’opinione pubblica?

«Credo sia perché si propone come un leader forte che può guidare efficacemente il Paese nella crisi economica e nelle turbolenze internazionali. Ogni volta che incontra i capi di Stato e di governo degli altri Paesi appare arrabbiato e deciso, penso che la gente si aspetti che un leader debba essere così. Metà del Paese lo appoggia, l’altra metà è divisa in piccoli partiti di opposizione».

Per Erdoğan i curdi sono come l’Isis. Sfruttando gli storici contrasti che li separano dai turchi li definisce terroristi.

«Nel sud-est della Turchia è in corso una guerra civile che ha causato oltre 40mila vittime e che vede contrapposti l’esercito turco e i militanti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). L’obiettivo di Erdoğan è demonizzare il PKK per spaventare la popolazione, conquistare il potere assoluto e arrivare alla definitiva sconfitta degli avversari. La lista di attentati in Turchia è lunga e molti sono stati attribuiti proprio al PKK. Soltanto ad Ankara ci sono state diverse esplosioni e il governo ha incolpato i curdi siriani: il reale obiettivo è il PKK, il vero target sono i curdi con cui Erdoğan non vuole la pace. C’è il rischio concreto che il conflitto si estenda a tutto il Paese».