Esistono guerre che fanno rumore, alcune che avvengono nel silenzio e altre ancora che di guerra non hanno nemmeno il nome, ma sono tali a tutti gli effetti. Le Water Wars sono più di milleduecento al momento, dislocate in tutto il mondo, dall’Asia alle Americhe. Quando si fa riferimento al concetto di guerra dell’acqua s’intende un conflitto che riguarda due o più Stati che si contendono il controllo di un fiume, di un lago o per farla più semplice lo sfruttamento di quello che ormai è e sarà il bene più prezioso: l’oro blu.

Accanto a queste guerre ci sono mille altre contrapposizioni che, non essendo interstatali, non vengono considerate nell’elenco. Negli ultimi tempi, due esempi provenienti dall’America dimostrano come la siccità e la conseguente carenza idrica rappresentino, prima ancora di una questione politica, una criticità per le fasce più deboli della popolazione.

The Dry Corridor

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Tradurlo in italiano non è complicato: il corridoio secco. Una striscia lunga 1600 kilometri che si estende nell’America Centrale e ingloba porzioni di territorio di almeno quattro Stati. Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua sono le principali nazioni interessate: «Non bisogna cadere nell’errore che compiono in molti: il corridoio secco è chiamato così non perché è necessariamente arido, ma per via di periodi prolungati di siccità, cui fanno seguito delle piogge irregolari durante le quali cade tantissima acqua in poco tempo» spiega Daniele Pagani di Echo, Commissione Europea per gli aiuti umanitari. Questi fenomeni metereologici, resi ancora più estremi e gravi dai cambiamenti climatici, sono causati da El Niño che colpisce i Paesi che si affacciano sul Pacifico provocando inondazioni nelle aree interessate e forte siccità nelle zone più lontane. «Il periodo più secco coincide spesso con l’arrivo del raccolto – continua Daniele – quindi con la maturazione della pianta, quando inizia a fare i piccoli frutti del mais e le pannocchie. L’acqua non arriva e cominciano a marcire».

Nessuno sa da quando si è iniziato a chiamare in questo modo il corridoio, tutti lo hanno sempre conosciuto con questo triste nome. È certificato, invece, che l’anno peggiore è stato il 2019, soprattutto per l’altopiano guatemalteco: «Ci sono stati quattro o cinque anni senza il corretto pattern di piogge. Uno dietro l’altro. Nel 2019 molte famiglie si sono ritrovate senza scorte di  cibo e non avevano più accesso ai legumi e al riso, il carboidrato base per la loro alimentazione. I campi non producevano più». Gli strascichi si sono protratti anche nel 2020 e nel 2021, un biennio in cui la situazione climatica è migliorata di poco. Gli effetti di questo piccolissimo miglioramento, tuttavia, non si sono visti perché la pandemia di Covid-19 ha messo ancora più in ginocchio i contadini. Non potendo uscire di casa, gli agricoltori hanno dovuto abbandonare i loro campi e rinunciare al raccolto, senza contare l’aumento dell’inflazione e dei prezzi. Il costo dei fertilizzanti, per esempio, è salito del 40%: «Se i campi non producono, la popolazione non ha da mangiare, non ha lavoro e quindi non ha il denaro per comprare il cibo», spiega Daniele.

Daniele Pagani di ECHO: “Anziché indebitarsi con una banca, i contadini, fino a qualche tempo fa, sceglievano di affidarsi ai coyote, gli intermediari che organizzano i viaggi della speranza. Un gruppo può contare anche tremila persone perché, più si è, e più è facile negoziare alle frontiere”

L’agricoltura è il principale metodo di sostentamento per le famiglie dell’America Centrale, soprattutto quelle del Dry Corridor, dove vive il 90% della popolazione. Con il raccolto il contadino si procura il cibo da mangiare e da vendere, in modo tale da guadagnarsi i soldi necessari per acquistare cibo nei periodi in cui i campi non danno frutti. Il peggioramento della situazione climatica degli ultimi cinque anni ha acuito la crisi degli abitanti che per sopravvivere spesso ricorrono a quelle che in inglese sono chiamate negative coping strategies: strategie negative per mantenersi in vita. La più diffusa – e anche la più semplice da adottare – è il razionamento della dieta che viene ridotta a un pasto al giorno. Questo ha un impatto sull’apporto proteico e sulla salute degli adulti, ma soprattutto dei bambini. In Guatemala, lo Stato più colpito, i più piccoli hanno dei livelli di sviluppo psico-fisico più lenti e bassi della media.

L’altra soluzione è l’emigrazione. Spostarsi in modo regolare da El Salvador, Nicaragua, Honduras o Guatemala verso Messico e Stati Uniti è complicato, se non addirittura impossibile per le famiglie dell’America Centrale. Il visto è una vera e propria chimera. Per questo la maggior parte dell’emigrazione è illegale e avviene per mezzo delle carovane migratorie: «Anziché indebitarsi con una banca, i contadini fino a qualche tempo fa sceglievano di affidarsi ai coyote, gli intermediari che organizzano i viaggi della speranza. Un gruppo può contare anche tremila persone, perché più si è e più è facile negoziare alle frontiere». Daniele parla al passato perché il numero di chi è disposto a pagare 13mila dollari – per tre tentativi – per arrivare negli Stati Uniti è diminuito a causa dell’irrigidimento dei controlli durante e dopo la pandemia.

Per un contadino che guadagna al massimo 200 o 300 dollari al mese, iniziare un viaggio del genere equivale a scommettere il tutto per tutto: «I rischi lungo la tratta sono causati prima di tutto dai coyote che non sono persone affidabili e sono spesso collusi con organizzazioni criminali. Poi dormi in situazioni di strada, spesso e volentieri in piccoli ostelli fatti apposta, che però non sono posti sicuri. In questi luoghi si verificano violenze sessuali, soprattutto sulle minorenni. Come sempre, il processo migratorio non è uguale per tutti. Le donne sono esposte a molti più rischi». Un altro mito da sfatare, secondo Daniele, è legato al mito americano: sempre meno contadini decidono di compiere il viaggio fino agli Stati Uniti – dove una volta entrati si trovano di fronte tutta un’altra serie di problemi – e, invece, scelgono di fermarsi in Messico. D’altronde, per un honduregno emigrare negli Usa vuol dire attraversare sei frontiere.

Echo è un dipartimento di aiuti umanitari dell’Unione Europea che ogni anno stanzia dei fondi da destinare a organizzazioni non governative e progetti delle Nazioni Unite nei Paesi in difficoltà. Tra questi ci sono gli Stati del corridoio secco:quest’anno all’America Centrale sono stati destinati 11 milioni di euro.

Colorado River

Le questioni legate all’acqua coinvolgono anche i Paesi più sviluppati al mondo e ciò che sta accadendo nel Sud-Ovest degli Stati Uniti ne è la testimonianza. La disputa nasce lungo le rive del fiume Colorado: è un corso d’acqua di 2330 km che attraversa una delle zone più aride del Nord America e sfocia nel Golfo di California. Il Colorado River, nonostante l’intensa secca che lo colpisce da anni, fornisce sostentamento idrico ai numerosi Stati americani che attraversa: Colorado, California, Nevada, New Mexico, Utah e Arizona. Proprio tra questi ultimi tre si trova la riserva dei Navajo, la Navajo Nation.

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La riserva indiana è stata istituita nel 1868 e da oltre vent’anni lotta per mantenere laccesso allacqua del Lower Colorado che scorre proprio lungo il suo confine Nord-occidentale. Ad oggi, quasi un terzo della popolazione indigena – secondo i dati odierni si aggirerebbe intorno alle 170mila persone – non ha a disposizione acqua potabile e deve guidare per chilometri e chilometri per riempire i barili. Il fiume, che fornisce acqua a 40 milioni di persone in tutto il Sud-Ovest, è già sovra-sfruttato. I sette stati che si affidano al fiume sono stati a lungo coinvolti in contenziosi sul corpo idrico da decenni, ma da lunedì anche la Navajo Nation è entrata nella disputa sostenendo di non essere rappresentata. Lunedì scorso la Corte Suprema si è trovata difronte alle rivendicazioni della riserva: il punto su cui fanno pressione gli indiani fa riferimento proprio al 1868, all’anno della fondazione della Navajo Nation. Secondo la tribù, la Corte Federale è venuta meno al trattato che stabiliva il diritto degli abitanti della riserva ad avere rifornimenti d’acqua.

La Corte Suprema non è arrivata a una decisione definitiva ma ha prodotto un’ampia sentenza a favore della nazione Navajo: essa potrebbe costringere il governo federale a condurre una valutazione delle esigenze idriche della tribù per costruire infrastrutture utili all’approvvigionamento idrico. La posizione del Governo è contraria, così come quella degli Stati confinanti, su tutti Nevada, Arizona e California: costruire canali e deviare in parte il corso dell’acqua per farla arrivare nella riserva causerebbe loro un’enorme perdita economica. C’è una frase che i rappresentanti statali continuano a ripetere : non c’è abbastanza acqua per tutti e, sebbene ciò non voglia dire che qualcuno ne abbia più diritto di qualcun altro, è necessario correre ai ripari.