Altro che “lingue morte”: il latino e il greco sono più vivi che mai. Boom di iscrizioni al liceo classico a Milano. In tre anni si è passati dal 3% all’8% sul totale di tutti i liceali della città Ne è prova il boom di iscrizioni al liceo classico verificatosi quest’anno a Milano. In tre anni si è passati dal 3% all’8% del totale di tutti i liceali, un trend positivo rafforzatosi dopo il crollo registrato fino al 2013. Come si spiega questo fatto? Perché un ragazzo di oggi dovrebbe essere attratto dallo studio di queste lingue? Alla domanda hanno risposto alcuni giovani neo-diplomati del liceo classico Manzoni di Milano. «All’epoca l’ho scelto perché incuriosito da materie come il latino e il greco – racconta Tiziano Braccini –, ma oggi, dopo averlo fatto, penso sia la scelta che ti apre tutte le strade, ho appreso un metodo di studio logico e versatile che mi accompagnerà per il resto dei miei anni e un approccio critico che non mi lascerà per tutta la durata della mia vita». Invece Enrica Leydi non era da subito decisa sul classico: «Fino quasi al momento della scelta definitiva pensavo di fare lo scientifico – racconta –, poi però sono andata all’openday del Manzoni e me ne sono innamorata». Oggi Enrica non ha rimpianti: «Penso sia stata la scelta migliore della mia vita».

Di rimpianti non ne ha neppure un altro ex studente del Manzoni, Nicola Gardini, che dal classico ad oggi di strada ne ha fatta tanta fino a diventare professore di letteratura italiana all’Università di Oxford e autore di un fortunato libro sul latino. Gardini: «Il sapere non va valutato né per la sua utilità né per la sua inutilità: il sapere è speculazione, è indagine».Il suo saggio lo ha provocatoriamente intitolato “Viva il latino, storie e bellezza di una lingua inutile”. «Il sapere non va valutato né per la sua utilità né per la sua inutilità – spiega Gardini –, il sapere è speculazione, è indagine, non tutto quello che sappiamo è applicabile, utilizzabile, pertanto utile, se così fosse ci ridurremmo a una società di tecnocrati, di meccanici, di esecutori, di manovali, ma noi abbiamo bisogno di molto altro, le società umane hanno bisogno di scambi, di riflessioni, di conforto, di libertà, di rispetto reciproco, di solidarietà, è questo che ha fatto crescere l’individuo nella storia dell’umanità e ha fatto crescere le società, solo con il ragionamento e con il linguaggio noi possiamo crescere e darci un futuro, solo così». Parole, queste di Gardini sull’inutilità benefica del latino, che sembrano riecheggiare quelle di Antonio Gramsci: «Non si impara il latino e il greco per parlare queste lingue, per fare i camerieri o gli interpreti o che so io. Si imparano per conoscere la civiltà dei due popoli, la cui vita si pone come base della cultura mondiale».

In merito all’aumento di matricole ginnasiali a Milano, Gardini sostiene che non riguardi solo la città meneghina: «Anche in molte scuole dove io passo a parlare di latino mi raccontano che quest’anno hanno avuto più iscritti – rivela il professore –. Penso che sia nell’ordine giusto delle cose soprattutto in Italia: il nostro Paese ha questo grande vantaggio rispetto ad altri sistemi educativi che è proprio quello di difendere lo studio della tradizione classica, non come passatismo, non come nostalgismo, non come scuola delle élite, come certi demagoghi o scriteriati o ignoranti continuano a ripetere, ma proprio come scuola del pensiero critico, della conoscenza storica, scuola dell’immaginazione intellettuale, è bene che una società abbia anche questa scuola, non è obbligatorio per tutti, chi non vuole fare il liceo classico non lo faccia, ma una società civile evoluta ha bisogno di studi classici».

Accanto al boom di iscrizioni al classico esistono altri segnali che parlano di un rinnovato interesse verso le lingue antiche, persino tra il pubblico più giovane: dal successo editoriale del libro sul greco di Andrea Marcolongo, “La lingua geniale”; passando per la traduzione latina del best-seller per ragazzi “Diario di una schiappa”, “Commentarii de Inepto Puero” di Jeff Kinney; fino ad arrivare alla novità editoriale di Mino Milano, “Latin Lover”, una raccolta di motti latini spiegati ai più piccoli.

Il fatto forse più sorprendente è che oggi il latino arricchisce il curriculum, cioè è visto positivamente dalle aziende. Il fatto, però, forse più sorprendente è che oggi il latino arricchisce il curriculum, ossia è visto positivamente dalle aziende. Su ciò concorda Gardini: «Io stesso, quando devo ammettere uno studente a Oxford, dove insegno, se ha fatto un po’ di latino nella high school sono più portato a considerarlo». Proprio per questo nel 2012 è nata in Italia una vera e propria certificazione che attesta la conoscenza del latino con cinque diversi livelli di competenza (A1, A2, B1, B2, C1), come avviene con le lingue moderne come l’inglese o il tedesco. Tra i promotori di questa iniziativa figura anche Guido Milanese, docente della Facoltà di Scienze Linguistiche e Letterature Straniere all’Università Cattolica di Milano. L’anno scorso i ragazzi della Lombardia che hanno partecipato alle prove sono stati mille. «Attualmente di fatto è una prova per studenti – afferma il professore –. Tuttavia da un punto di vista di orientamento non vorrebbe essere solo una prova studentesca, ma una prova aperta a tutti quelli che hanno interesse a dimostrare la loro conoscenza del latino. Il problema è che il canale di pubblicità, di conoscenza di questa prova passa grandemente attraverso le scuole».

L’iniziativa ha finora riscosso un buon successo tanto che il problema è trovare le aule per ospitare tutti gli aspiranti latinisti: «Abbiamo bisogno di spazi, negli anni passati hanno dato aule i licei, ma anche la Statale e la sede di Brescia dell’Università Cattolica». Esistono poi altri problemi organizzativi: «Abbiamo bisogno di una grossa collaborazione di colleghi liceali perché ovviamente c’è necessità di un’assistenza». Spiega Milanese: «L’organizzazione della prova è tutta basata su quella piccola frase che piace molto alla burocrazia italiana che si chiama “costo zero”, ossia tutto questo lo facciamo come volontariato, ma nessuno di noi ha qualche tipo di ritorno economico. Le scuole, l’ufficio scolastico regionale e le università contribuiscono fornendo materiale di cancelleria e fornendo gratuitamente gli spazi, ma per il resto l’operazione è assolutamente di tipo volontaristico».

Secondo il professore l’iniziativa ha finora ricevuto una buona risposta perché “l’idea di fondo che lo studente non abbia più interessi culturali è assolutamente falsa”. «Gli studenti hanno entusiasmo culturale – afferma con convinzione Milanese –, si tratta solo di accendere il fuoco, ma molti hanno questa voglia di mettersi alla prova, di studiare». Inoltre, la certificazione può avere anche un piccolo riscontro operativo per chi voglia continuare gli studi: parecchie sedi universitarie, come per esempio la Statale di Milano, esentano dal controllo delle competenze in ingresso.

Se è quasi scontato che la certificazione possa avere una qualche utilità per quanti intendono proseguire gli studi, appare invece sorprendente che sia persino spendibile nel mondo del lavoro, ma ne è assolutamente convinto Guido Milanese: «Nei contatti che abbiamo avuto con molte realtà aziendali il fatto di provare di sapere il latino viene considerato una manifestazione significativa di apertura mentale, dimostra in pratica che la persona è in grado di adattarsi alle situazioni difficili che possono presentarsi sul lavoro». Chi conosce il latino avrebbe particolari abilità di problem solving, vale a dire che avrebbe la capacità di affrontare e analizzare con cura un problema Insomma, chi conosce il latino avrebbe particolari abilità di problem solving, ossia la capacità di affrontare e analizzare un problema. Anche se, ammette il professore, non tutte le aziende hanno lo stesso tipo di considerazione verso la conoscenza del latino: «Ci sono diversi modelli, c’è il modello aziendale rigido, quello che valuta solo la competenza settoriale e c’è quello che in Italia un tempo si chiamava il modello Olivetti, il modello che premiava le capacità complessive di un candidato piuttosto che la capacità di saper dire tutto sulla punta di una matita».

Circa il dibattito intorno al classico, Guido Milanese ritiene che “il fatto che se ne parli molto è quello che in inglese si dice una ‘benedizione mista’, the mixed blessing, nel senso che da un lato è prova di interesse, dall’altro lato è prova che esiste un problema”. Prosegue il professore: «Io più che parlare del classico, parlerei del passato, basta pensare al successo di libri su Leopardi, io li metterei nella stessa famiglia: i libri che costituiscono il nostro classico, tutto ciò che costituisce la nostra identità. C’è un bisogno di fondo di sapere chi siamo che se passa attraverso una forte identità culturale non può diventare fanatismo. È un bisogno che trova una risposta non attraverso una affermazione rumorosa di identità, ma attraverso una consapevolezza di identità e quindi è un fatto positivo. È in pratica la necessità di domandarsi come domanda Dante: “Chi fuor li maggior tui?”. In sostanza sapere che non siamo nati ieri, questo è qualcosa di positivo soprattutto perché accade in un momento di risveglio delle identità. Se l’identità si difende per via di affermazione e non di esclusione è molto buono, è un fatto molto positivo. Occorre trovare quella capacità di auto-riconoscersi, non dicendo “mi riconosco perché l’altro non sono io”, ma “mi riconosco perché so chi sono io”, solo così si può fondare il discorso con l’altro, altrimenti esce fuori o la “melassa multiculturale” che non serve a nulla oppure l’intolleranza, invece attraverso una auto-consapevolezza esce fuori il sapere chi sono io, cosa che consente di dialogare con un altro, ma se non so chi sono cosa gli dico?».