Non esiste miglior modo per riparare ai propri errori che rimettersi in gioco, e non è una metafora.Non esiste miglior modo per riparare ai propri errori che rimettersi in gioco e in questo caso non è una metafora. Uno dei modi in cui i detenuti del carcere milanese di Bollate hanno scelto di riabilitarsi è proprio giocare. Il gioco da loro scelto è il bridge, il cosiddetto sport della mente. Il titolo è stato conferito dal Coni, che ha scelto di innalzarlo al rango di sport perché, come spiega il Presidente della Federazione Italiana Gioco Bridge Francesco Ferlazzo Natoli, «il bridge non è un gioco di carte, è un gioco di logica».
A Bollate il bridge ci è arrivato grazie all’iniziativa di un detenuto grande appassionato. Dopo aver insegnato il gioco ai compagni, l’uomo ha chiesto il supporto della Federazione, che ha accolto la richiesta con entusiasmo. Non è la prima volta, infatti, che il bridge entra in carcere. Alla casa circondariale di Rebibbia lo sport della mente si pratica ormai da dieci anni. «Le persone che si appassionano mi danno sempre grande soddisfazione perché so che non sto dando loro solo un passatempo, ma una disciplina utile anche per la vita» racconta l’ex Consigliere FIBG Roberto Padoan, confermando il successo dell’esperienza romana. La positività del bridge è contagiosa: dopo aver invaso Roma, oltre che in quello di Milano, il gioco è arrivato da qualche mese anche nel carcere di Latina e in quello giovanile di Darwin. Qui è Betty Mill a fare da insegnante, con la convinzione che “imparare il bridge può fare la differenza nella vita di qualcuno”.
Il progetto di Bollate prevede dieci lezioni tenute dall’istruttore federale Eduardo Rosenfeld. Gli incontri si terranno una volta a settimana presso la biblioteca della struttura. Al momento sono venti i detenuti che hanno aderito, ma in caso di ulteriori iscritti il corso potrebbe essere prolungato. Eventualità molto probabile secondo il direttore Massimo Parisi, che afferma che “tutti gli iscritti stiano partecipando con una costanza che è raro trovare al’interno di iniziative del genere”.
La calorosa accoglienza con la quale direttori e gestori delle strutture di detenzione hanno accolto il bridge all’interno delle galere da loro gestite è spiegata da numerosi studi scientifici. Il bridge è un’attività utile ai fini del reinserimento del detenuto perché, citando il presidente Ferlazzo Natoli, “potenzia la memoria, il ragionamento, ma anche il comportamento sociale”. In questo gioco il rispetto per le regole e per l’avversario sono indispensabili.
D’altronde, e chi lo pratica lo sa bene, il bridge “è una metafora della vita”. Il perché lo ha ben illustrato il Campione del Mondo Bob Hamman: «La cosa più grandiosa del bridge è che anche se non hai certezze, sei obbligato a dichiarare, o a giocare una carta. Devi fare qualcosa, e quello che farai potrebbe essere sbagliato, quindi fai del tuo meglio. La cosa più grandiosa del bridge è che mentre giochi sei in una situazione incerta, sconosciuta. E anche se non hai certezze, una delle cose spietate di questo gioco è che sei obbligato a dichiarare, o a giocare una carta. Devi fare qualcosa, e quello che farai potrebbe essere sbagliato, quindi semplicemente fai del tuo meglio.E se sbagli, cosa che capita la maggior parte delle volte, devi essere in grado di fartene una ragione e passare alla mano successiva, perché altrimenti non potrai mai avere buoni risultati».