«Sogna, ragazzo sogna / Quando sale il vento / Nelle vie del cuore / Quando un uomo vive / Per le sue parole / O non vive più», così Roberto Vecchioni cantava nel 1999 calcando i palchi di tutta Italia. E a distanza di anni, per il cantautore lombardo le parole sono ancora una linfa vitale: ospite alla trentaseiesima edizione del Salone del Libro di Torino, le ha definite, con occhi sognanti, «il suo primo amore». Vecchioni è un uomo che ama giocare con i vocaboli ed esprime questo divertimento attraverso la sua personalità trasversale: dal cantautorato alla scrittura di romanzi, per lui ogni mezzo d’espressione diventa un’occasione per celebrare il valore e l’importanza della nostra lingua.

E il musicista ha scelto proprio la Sala Oro per raccontare il suo ultimo romanzo Tra il silenzio e il tuono e per raccontarsi a un pubblico in completo visibilio. Una narrazione, quella nata sul palco torinese, in cui si intrecciano i ricordi della infanzia, dell’amore per la moglie e della recente perdita del figlio. E le parole, durante l’intero panel, diventano protagoniste, ma anche compagne fedeli per il musicista. «Amo le consonanti dolci e come si aggrovigliano tra loro per diventare frase. Delle parole ho una sensazione umana: quando le scrivo è la frase che mi risponde», racconta Vecchioni.

«Delle parole mi piace il suono e il modo, mi disturbano i periodi che non hanno una costruzione ritmica», spiega Roberto Vecchioni al Salone del Libro di Torino.

Intrecciare parole e musica non è semplice, ma per il cantautore la chiave d’unione è una sola: la letteratura greca. Una lingua che per Vecchioni è già musica. «Lo diceva Montale, non ho inventato nulla: io, però, ho scelto di esagerare mettendoci delle vere sonorità, chissà cosa direbbe il poeta», aggiunge sorridendo.

«Tra le lettere d’amore scritte al computer / Che poi ci metteremo a tremare come la California, amore, nelle nostre camere separate / A inchiodare le stelle / A dichiarare le guerre / A scrivere sui muri che mi pensi raramente», canta Vasco Brondi, cantautore di tutt’altra scuola rispetto a Vecchioni, per cui le parole sono uno strumento fondamentale per rappresentare il disagio che pervade le nuove generazioni. E a pochi passi dalla Sala Oro, si trova il Bosco degli Scrittori, un’arena verde e rigogliosa in cui gli artisti del presente si raccontano, analizzando le sfide della contemporaneità. Qui, la letteratura e il cantautorato moderno dialogano: è Sandro Veronesi, scrittore del celebre Il Colibrì, a intervistare il musicista. Nei testi di Brondi emerge sempre un aspetto: l’idea di voler sapere, il concetto di conoscenza appaiono sfumati, a tratti assenti. Una decisione che non è dettata dal caso, ma che è frutto di una riflessione maturata dal cantautore: «L’antropologia ci dice che da quando sappiamo costudire il fuoco, non sappiamo più dove finisce la natura e dove inizia la cultura – spiega Brondi  – . Siamo molecole di un pensiero generale: tante scelte che facciamo sono nostre fino a un certo punto».

«Ormai viviamo in una società iperattiva in cui stiamo perdendo il nostro istinto», riflette Vasco Brondi, tra gli ospiti del Salone del Libro di Torino

E al Salone del Libro anche il cinema s’intreccia con letteratura contemporanea: Mario Martone è tra i massimi esponenti di questo passo a due tra arti solo apparentemente lontane. Il regista napoletano, ai microfoni di Magzine, racconta l’importanza della lettura nell’ideazione delle sue pellicole: «Ogni film è fatto di una costellazione di letture, sguardi sull’arte a 360 gradi: dai libri al teatro». L’Amore molesto e Nostalgia, rispettivamente tratti dagli omonimi romanzi di Elena Ferrante ed Ermanno Rea, sono una chiara rappresentazione di come la letteratura giochi un ruolo fondamentale nel processo creativo dello sceneggiatore. Rappresentare Napoli in maniera oggettiva e scevra da ogni qual forma di stereotipo è una sfida per molti registi, ma per Martone, che ha reso il capoluogo campano un implacabile protagonista delle sue pellicole, è un’azione naturale: «Sono napoletano, è il mio mondo, ed è in quella città che faccio esperienza delle cose umane: io non racconto Napoli, io racconto storie che spesso si svolgono a Napoli».