Il conflitto in Yemen è arrivato al suo settimo anno. Dal 2015, la guerra tra gli Houthi e il governo di Abdrabbuh Mansur Hadi, riconosciuto dalla comunità internazionale e attivamente sostenuto dalla Coalizione araba a guida saudita, insanguina il Paese, diviso tra le aree controllate dai ribelli, che attualmente governano dalla capitale Sana’a, il Consiglio di transizione del Sud e il territorio in mano ai lealisti.

È una guerra che, nonostante l’alto numero di vittime civili e la crisi umanitaria, riceve solo una sporadica copertura mediatica. A dominare le pagine dei giornali, da un mese a questa parte, è il conflitto in Ucraina, iniziato il 24 febbraio con l’ingresso dell’esercito di Mosca nel Paese. Il governo di Kiev, guidato da Volodymyr Zelensky, ha raccolto l’appoggio del mondo occidentale, assicurandosi una fornitura costante di armi e l’imposizione di dure sanzioni alla Russia, che sta diventando sempre più un paria internazionale.

Sono due conflitti molto diversi, per cause, collocazione geografica, attori in campo e durata, ma presentano due punti comuni di estrema rilevanza: la possibilità di ottenere dati sulle perdite delle parti coinvolte, investigandone l’eventuale uso propagandistico, e il coinvolgimento diretto dei civili, bersagliati deliberatamente o per errore da attacchi aerei e missilistici.

Raccontare i conflitti in Yemen e Ucraina, dati alla mano

Dei due teatri di guerra, quello ucraino è, attualmente, il più fluido e complesso da definire.A soli 30 giorni dall’inizio degli scontri, la situazione è in continuo divenire: in alcune aree del Paese, i movimenti dei due eserciti e le rispettive zone occupate sono difficili da tracciare con precisione. Inoltre, l’utilizzo che Mosca e Kiev fanno della diffusione di dati, fortemente influenzati dalla propaganda di entrambi i governi, non permette di stabilire un quadro completo delle perdite civili e militare.  I russi, dall’inizio di quella che hanno definito come “operazione militare speciale”, hanno reso pubblici i briefing del Ministero della difesa, in cui vengono elencati, giorno per giorno, gli obiettivi nemici distrutti. Nel dettaglio:

  • 261 droni
  • 204 sistemi di difesa antiaerea
  • 587 carri armati e altri veicoli da combattimento
  • 163 lanciarazzi multipli
  • 636 pezzi d’artiglieria e mortai
  • 397 veicoli militari speciali
  • 184 tra aerei ed elicotteri
  • 14 imbarcazioni

A questi, si aggiungono centinaia di infrastrutture militari, tra cui stazioni radar, aeroporti, depositi di armi e caserme. Vi sono anche riferimenti ai soldati ucraini uccisi o feriti, spesso indicati come “nazionalisti” o “mercenari”:

  • 3.528 morti
  • 3.700 feriti

L’appartenenza di questi soldati all’esercito regolare, ad organizzazioni paramilitari come il Battaglione Azov o a gruppi di contractors e volontari stranieri è, ovviamente, difficile da verificare, mail loro raggruppamento nella categoria di “nazisti” si sposa perfettamente con uno dei casus belli utilizzati dal presidente russo Putin, ovvero la volontà di “denazificare il Paese”.

Le informazioni riguardo alle vittime civili, in questi briefing, sono molto limitate:

  • 220 morti
  • 28 feriti

Non vengono forniti dati riguardo all’età o al sesso e sono indicati come vittime del fuoco dei battaglioni nazionalisti ucraini.

Per quanto riguarda le perdite tra le file dell’esercito russo, esse vengono citate nel briefing delle ore 18:00 del 27 febbraio, ma solo nel comunicato delle 20:00 del 2 marzo troviamo un dato numerico, l’unico a nostra disposizione:

  • 498 morti
  • 597 feriti

Non possediamo, ad oggi, un conteggio dei veicoli o dell’equipaggiamento russo distrutto dagli ucraini, nonostante i numerosi video, apparsi sui social, in cui si possono vedere aerei ed elicotteri abbattuti, carri armati e altri veicoli corazzati sventrati o abbandonati nel fango.

Fonte: https://eng.mil.ru/en/special_operation.htm

Ben diversi sono i numeri diffusi dalle autorità ucraine e dalle istituzioni internazionali.Il presidente Zelensky ha rilasciato una sola dichiarazione riguardo ai soldati di Kiev caduti in battaglia, il 13 marzo, riportata da Rbc-Ucraina:

  • almeno 1.300 morti

Non sono state fornite informazioni sui feriti o l’equipaggiamento distrutto.

Il conteggio delle vittime civili, rilasciato dall’ufficio stampa dell’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu e aggiornato al 23 marzo, segnala:

  • 977 morti (196 uomini, 144 donne, 12 ragazze, 27 ragazzi, 43 bambini e 556 adulti il cui sesso non è stato identificato)
  • 594 feriti (174 uomini, 136 donne, 24 ragazze, 20 ragazzi, 64 bambini e 1.176 adulti il cui sesso non è stato identificato)

Fonte: https://www.ohchr.org/en/press-releases/2022/03/ukraine-civilian-casualty-update-23-march-2022

Il numero di bambini uccisi dai bombardamenti è stato portato a 128 dal Kyiv Independent, utilizzando le informazioni sia dei comunicati Onu, sia di istituzioni ucraine e fonti anonime del Pentagono. Per quanto riguarda le perdite militari russe, sempre il Kyiv Independent ha pubblicato diverse tabelle, in cui sono segnalati soldati uccisi ed equipaggiamento distrutto. L’ultima risale al 24 marzo ma, sul gruppo Telegram del quotidiano, è stato pubblicato il conteggio aggiornato alla mattina del 25:

  • 100 soldati uccisi
  • 561 carri armati
  • 625 veicoli corazzati
  • 1.089 autocarri
  • 291 pezzi d’artiglieria
  • 90 lanciarazzi multipli
  • 49 missili terra-aria
  • almeno 115 aerei
  • 125 elicotteri
  • 5 imbarcazioni
  • 72 veicoli per il rifornimento di carburante
  • 53 droni

La Nato, da parte sua, stima che la Russia abbia perso tra i 7mila e i 15mila uomini.Una differenza così lampante fra i dati forniti dai due schieramenti rende difficile stabilire un numero preciso delle perdite, in termini sia di uomini, sia di mezzi. Inoltre, non va dimenticato l’utilizzo che Russia e Ucraina ne fanno, a scopo propagandistico interno e per fiaccare il morale dell’avversario.

Per rendere questi dati visibili abbiamo realizzato una mappa interattiva che potete consultare qui.

Lo scenario yemenita è, per certi versi, più stabile. Le varie fazioni in campo occupano aree ben delineate: gli Houthi dominano il Nord-Ovest, il Consiglio di transizione del Sud controlla il territorio di Aden e parte dei governatorati di Lahij,  Abyan, Dhali’, Shabwa e l’isola di Socotra, mentre il governo di Hadi ha le sue roccaforti nella parte centrale e orientale del Paese. Dopo sette anni, i media internazionali dedicano poca attenzione a questo conflitto e difficilmente possiamo utilizzare dati aggiornati. Per quanto riguarda le perdite militari della Coalizione, il portavoce delle forze armate Houthi, il generale di brigata Yahya Sare’e, ha tenuto una conferenza stampa il 21 aprile 2021, in cui ha ricordato il numero di operazioni militari e gli obiettivi distrutti dalle truppe ribelli durante i sei anni precedente. In particolare, per quanto riguarda le forze dell’alleanza saudita, il generale ha affermato che gli Houthi hanno ucciso o ferito:

  • 10.403 militari dell’Arabia Saudita
  • 1.240 militari degli Emirati Arabi Uniti
  • 226.615 mercenari, traditori e agenti nemici
  • 8.634 mercenari sudanesi

Fonte: https://www.mmy.ye/37073

Oltre alle perdite riportate dai comunicati degli Houthi, siamo a conoscenza della morte di soldati di altri stati membri della Coalizione:

  • 9 soldati del Bahrain
  • 4 soldati del Qatar
  • 10 soldati del Marocco

A questi, si devono aggiungere almeno 71 membri di PMCs (Private military companies). Il generale ha affermato, inoltre, che sarebbero 14.527 i veicoli militari, di vario tipo, distrutti durante il conflitto. Tra questi, abbiamo la conferma di:

  • Arabia Saudita: 5 aerei e 8 elicotteri abbattuti; 20 carri armati distrutti; 9 droni persi; 1 fregata affondata
  • Emirati Arabi Uniti: 2 aerei e 3 elicotteri abbattuti; 1 veicolo per sminamento distrutto; 6 droni persi; un’imbarcazione danneggiata
  • Bahrain: 1 caccia F-16 abbattuto
  • Marocco: 1 caccia F-16 abbattuto
  • Giordania: 1 caccia F-16 abbattuto
  • Stati Uniti: 4 droni abbattuti

Le forze americane hanno perso, in Yemen, anche un elicottero e un convertiplano, costretti all’atterraggio per guasti e distrutti dagli stessi soldati statunitensi, per evitare che cadessero in mani nemiche. Anche la Coalizione ha fornito i numeri delle perdite degli Houthi, ma l’ultimo dato di una certa rilevanza risale a una conferenza stampa del dicembre 2017, quando il colonnello Turki Bin Saleh Al-Malki, portavoce dell’alleanza, ha affermato come le perdite dei ribelli ammontassero a:

  • oltre 11.000 soldati uccisi

Non sono state fornite informazioni sui feriti o le infrastrutture e l’equipaggiamento distrutto. L’unica altra menzione ai ribelli eliminati, attualmente a nostra disposizione, viene da Al-Jazeera che, nel 2018, ha affermato che le perdite Houthi fossero migliaia, senza però fornire una cifra precisa.

I dati più recenti su cui possiamo fare affidamento riguardano le vittime civili e i raid aerei della Coalizione. Lo Yemen Data Project, un’organizzazione no-profit, fornisce, a riguardo, numeri costantemente aggiornati dal 2016. Come riportato sul sito ufficiale:

  • Giorni di guerra: 2557
  • Vittime civili: 19.196; 10.226 feriti e 8.970 morti
  • Raid aerei della Coalizione: 24.876; 8.091 attacchi diretti contro obiettivi militari, 7.040 contro bersagli civili e 9.745 con obiettivo sconosciuto

Stando ai grafici del Project, il picco degli attacchi si è verificato nel settembre 2015 (921), per poi declinare fino al gennaio 2016, quando si è potuto osservare un nuovo aumento (839).I raid sono progressivamente calati, fino ad un minimo di 9 nel dicembre 2019. Si è assistito, poi, ad una risalita, fino ad arrivare ai 401 del gennaio 2022.

Il territorio in cui si sono verificati più bombardamenti (5.547) è il governatorato di Sa’dah:

  • 830 su obiettivi militari
  • 1.793 su obiettivi civili
  • 2.924 su obiettivi sconosciuti

Fonte: https://yemendataproject.org/

Anche gli Houthi hanno fornito un loro bilancio dei “martiri” civili, sempre nella conferenza stampa del 21 marzo 2021:

  • 17.097 morti, tra cui 3.821 bambini e 2.892 donne
  • 26.496 feriti

Un’altra fonte di rilievo per le vittime e gli eventi bellici in Yemen èl’osservatorio Acled (The armed conflict location & event data project), i cui dati più recenti risalgono al 2019. Negli oltre 40.000 eventi militari, registrati dal 2015, l’Acled ha segnalato la morte di oltre 100.000 persone. In particolare:

  • 20.000 nel solo 2019, l’anno con più vittime dopo il 2018
  • 1.100 vittime civili nel solo 2019

L’osservatorio, inoltre, ha riportato che il 67 per cento delle vittime civili è stato causato dagli air strikes della Coalizione, mentre gli Houthi sono responsabili di soli 2mila innocenti per direct targeting su obiettivi non militari.

Da ultimo, l’Alced ha segnalato i governatorati in cui si sono registrati più morti totali:

  • Oltre 19.000 nel governatorato di Taiz dal 2015
  • Più di 10.000 nei governatorati di Hodeidah e Al Jawf
  • 5.500 nel governatorato di Ad Dali (il 60 per cento di queste nel solo 2019)

Fonte: https://acleddata.com/2019/10/31/press-release-over-100000-reported-killed-in-yemen-war/

Analizzando i dati dei due conflitti, risulta evidente come il massiccio utilizzo dei mezzi di informazione da parte degli ucraini e i costanti briefing forniti dal governo russo garantiscano un flusso di continuo e in costante aggiornamento. È un aspetto che inserisce la guerra tra Mosca e Kiev in una dimensione marcatamente contemporanea e in un mondo occidentale ormai assuefatto dalla rapidità dell’informazione. Questo, ovviamente, comporta il rischio della veloce diffusione di fake news, un pericolo da cui anche il conflitto in Yemen non è immune. Non bisogna dimenticare, però, che una delle parti in lotta, il movimento Houthi, è stata inserita dagli Stati Uniti nell’elenco delle organizzazioni terroristiche, una decisione che ha comportato la censura di molti dei loro canali di informazione.

Il secondo aspetto rilevante è il numero di perdite civili. In questo caso,si nota una marcata differenza tra i due conflitti: in Yemen, dal 2015 ad oggi, sono stati deliberatamente condotti attacchi contro obiettivi civili, mentre in Ucraina, almeno nella prima parte del conflitto, è sembrato che i russi avessero limitato i loro attacchi sulle zone prive di installazioni militari. Un trend, questo, che sembra essere cambiato dopo il fallimento della guerra lampo voluta da Putin che, secondo gli analisti, puntava ad una capitolazione di Kiev entro tre giorni. Ora che gli ucraini si sono trincerati in villaggi e città, l’uso di missili e bombardamenti su aree densamente popolate è l’unica via rimasta ai russi per costringere i centri più importanti, come Kharkiv e Mariupol’, alla capitolazione.

Per rendere questi dati visibili abbiamo realizzato una mappa interattiva che potete consultare qui.

Per una storia dei conflitti in Yemen e Ucraina: parlano gli esperti

“Allah is Greater, Death to America, Death to Israel, Curse of the Jews, Victory to Islam” è lo slogan impresso a caratteri rossi e verdi sul logo dei ribelli Houthi, il gruppo armato appartenente alla branca sciita dell’Islam zaidita presente nello Yemen, che nel 2014 ha preso il controllo della provincia settentrionale di Sa’da e delle aree limitrofe. Fedeli, inizialmente, ad Ali Abdullah Saleh, il leader yemenita destituito da una delle insurrezioni che nel 2011 caratterizzarono la primavera araba, gli Houthi sono riusciti ad assumere il comando della capitale Sana’a costringendo all’esilio l’allora presidente Abdrabbuh Mansour Hadi che riparò nella vicina Arabia Saudita. La situazione in Yemen è precipitata nel marzo del 2015, quando la coalizione dei Paesi arabi a maggioranza sunnita guidati dall’Arabia Saudita della dinastia Saud e con re Salmān (Emirati Arabi, Barhain, Sudan, Kuwait, Egitto, Qatar) ha deciso di avvalersi del supporto logistico fornito da Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Israele per lanciare una serie di attacchi missilistici diretti a colpire le milizie Houthi, accusate di intrattenere rapporti politico-militari con l’Iran dei Guardiani della rivoluzione islamica.

Sono passati sette anni dall’inizio del conflitto, ma “non esistono dati precisi e attendibili sulle perdite registrate nei due schieramenti, né tantomeno sulle vittime civili”, commenta Eleonora Ardemagni, ricercatrice associata ISPI e docente Aseri-Università Cattolica.

“È difficile distinguere tra milizie integrate nell’esercito regolare e gruppi armati che agiscono in modo autonomo dal punto di vista operativo, per questo il computo di coloro che hanno perso la vita a causa del conflitto risulta così arduo e anche le Nazioni Unite non sono in grado di fornire stime certe”. Secondo l’Onu, dal 2015 ad oggi la guerra ha causato più di 370mila morti tra la popolazione yemenita, ma il calcolo si complica perché “circa il 60% di costoro non sarebbero morti per cause direttamente legate ai bombardamenti e ai combattimenti sul campo, bensì per conseguenze indirette come il peggioramento dei servizi welfare, la scarsità di cibo e acqua potabile, la diffusione ciclica di epidemie di colera e difterite che rendono le condizioni di vita sempre più drammatiche”.

Le Nazioni Unite hanno definito la situazione in Yemen di “emergenza cronica”, per via dell’intreccio tra quella che la Owp (The Organization for World Peace) ha individuato come una delle “crisi umanitarie peggiori del mondo” e le condizioni economiche sempre più critiche di un territorio che ancor prima dell’intervento militare saudita era considerato uno dei più poveri dell’area Medio-Orientale.

“Si consideri che lo Yemen dipende per circa il 90% dall’import alimentare e di carburante e dal 2015 tutta la parte Nord-occidentale del Paese controllata dagli insorti Houthi è sottoposta ad embargo. Questa condizione peggiora inevitabilmente la crisi umanitaria anche perché le stesse istituzioni economiche sono diventate parte del conflitto, dal 2017, per esempio, non esiste più una Banca Centrale, ce ne sono due: una fa capo al governo riconosciuto che si è trasferito a Aden e l’altra è rimasta a Sana’a, città controllata dagli Houthi. Vengono applicate politiche economiche diverse e concorrenti e questo determina l’aggravamento dell’instabilità economica a cui si aggiunge il crollo del potere di acquisto degli yemeniti”.Il ryal, infatti, ha perso il 70% del suo valore pre-conflitto, di conseguenza vi è stata una forte crescita dell’inflazione che ha inciso pesantemente sulla vita quotidiana delle persone inasprendo le tensioni tra i filogovernativi e i secessionisti del Consiglio di Transizione del Sud e alimentando malcontento, scioperi e manifestazioni. “D’altronde, – sottolinea Ardemagni – anche il campo dei filo-governativi è molto frastagliato e l’aumento dei prezzi motiva le proteste nei territori che pur essendo formalmente sotto il controllo del governo riconosciuto dalla comunità internazionale, in realtà vengono gestite proprio dai secessionisti del Sud che aspirano all’indipendenza dello Yemen dallo Stato centrale.

Ad una situazione che già di per sé è così complessa e tesa,si sono aggiunte le ripercussioni economiche della guerra in Ucraina che coinvolgono lo Yemen in ragione della sua dipendenza dalle importazioni di grano e carburante. Una popolazione già ridotta allo stremo dalla fame e dalla violenza è costretta ora a fare i conti con un tragico aumento del costo dei beni di prima necessità come cibo, acqua, medicinali, a fronte di un aumento del 35% del prezzo del grano e alla triplicazione di quello del carburante che ostacola l’arrivo degli aiuti internazionali in un Paese in cui la sopravvivenza delle persone dipende da essi per il 75%.

“La guerra non colpisce lo Yemen in maniera omogenea, – prosegue Ardemagni -. I bombardamenti della coalizione a guida saudita si concentrano sulle aree controllate dagli insorti Houti, l’autorità che di fatto controlla il Nord-Ovest dello Yemen pur senza essere riconosciuta.Sana’a, la roccaforte degli Houthi Saada, il governatorato di al-Bayda, la città-porto di Hodeida sul Mar Rosso e la regione occidentale di Taiz che attualmente sono le principali aree di combattimento, sono anche le zone più densamente popolate dello Yemen, e dunque quelle in cui gli attacchi possono provocare più vittime civili. Ci sono anche altre aree caratterizzate da instabilità e violenza politica: il governatorato di Aden controllato dai secessionisti, quello Sud-orientale di Hadhramaut sotto l’influenza degli Emirati Arabi e il Marib che non è centrale solo geograficamente. Qui, infatti, sono presenti grandi giacimenti di petrolio e gas che hanno fatto crescere l’economia facendo diventare il governatorato un’oasi di stabilità e un ponte tra le parti controllate dagli Houthi e quelle sotto l’egemonia del governo riconosciuto. Dal luglio 2021, però, i combattimenti hanno raggiunto anche il suo confine mediorientale”.

Gli accordi di Stoccolma tra il governo yemenita e i ribelli Houthi, raggiunti nel 2018 tramite la mediazione delle Nazioni Unite, avrebbero dovuto portare ad un cessate il fuoco immediato, al ritiro delle truppe dei ribelli sciiti dai principali porti dello Yemen, quali Hodeidah, Saleef e Ras Isa oltre che all’apertura di corridoi per consentire alle organizzazioni di soccorrere una popolazione prostrata dalla guerra, ma non hanno prodotto alcun effetto risolutivo. Così, mentre l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) calcola che in questi 7 anni di conflitto sono più di 4 milioni gli sfollati interni, per la maggior parte donne e bambini, e centinaia di migliaia le persone costrette ad abbandonare le proprie case nella speranza di mettersi in salvo, intanto che si stima un’insicurezza alimentare acuta per 16 milioni di yemeniti ed UNICEF (Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia) denuncia il pericolo di vita per più di 400.000 bambini affetti da grave malnutrizione,il conflitto nello Yemen “rimane marginale agli occhi dell’Occidente”.

In ogni conflitto, indipendentemente dallo schieramento di appartenenza, c’è la necessità di amplificare i numeri delle perdite subite dall’avversario e di ridurre le proprie. È questa la valutazione di Aldo Ferrari, Capo Dipartimento esperto di storia e cultura russa dell’ISPI e docente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. “Ciò determina l’impossibilità di conoscere

il numero preciso delle vittime che, ad ogni modo, è da stimare sicuramente nell’ordine delle migliaia da ambo i lati”.Nell’imperversare della guerra diventa ancora più complesso districarsi tra le notizie per informarsi con precisione e senza l’influenza di pregiudizi che rischiano di inficiare l’accuratezza della cronaca, per questo il metodo analitico impone il raffronto tra le fonti di entrambe le parti in causa, “altrimenti – commenta il Professore – l’ideologia rischia di compromettere l’oggettività del giudizio.

Per l’invasione dell’Ucraina Mosca ha schierato quasi 200mila uomini e i video che circolano sui canali Telegram testimoniano che, a dispetto da quanto inizialmente dichiarato dal Presidente Putin e in contrasto con il decreto presidenziale russo del 1999 che vieterebbe la partecipazione delle leve alle guerre,tra loro ci sono anche i coscritti della riserva.

Il 22 febbraio scorso, infatti, la Duma ha approvato un provvedimento sulla mobilitazione in caso di legge marziale che obbliga i militari di leva a rispondere alla chiamata alle armi, in deroga alla legge che proibisce l’impiego nei combattimenti dei coscritti che non abbiamo ricevuto almeno quattro mesi di addestramento.Accanto a coscritti e soldati di professione, però, sarebbero impiegate anche forze diverse, ci si riferisce ai veterani della Siria e ai combattenti ceceni, risale al 25 febbraio la loro convocazione da parte del Capo della Repubblica Cecena Ramzan Kadyrov.

Secondo il Ferrari, però, le fonti che parlano di volontari e mercenari vanno prese con beneficio di inventario, per evitare distorsioni: “Innanzi tutto si tende a fare confusione tra volontari e mercenari, perché un volontario può anche ricevere una retribuzione senza essere un mercenario, si tratta di differenze che apparentemente possono risultare sottili, ma diventano fondamentali se si vuole comprendere la situazione.Per quanto riguarda i mercenari siriani, invece, il loro impatto rimane al momento poco rilevante sul campo, mentre tra i miliziani inviati da Groznyj sono già state registrate forti perdite”.

Quel che certo è che “Putin ha sopravvalutato la forza del proprio esercito e sottovalutato la capacità di resistenza degli ucraini e questo sicuramente gli ha imposto un cambiamento di strategia perché i russi avanzano, ma lo fanno lentamente senza riuscire ad infrangere la resistenza degli ucraini”.

Le guerre si combattono anche propagandisticamente e a farlo sono entrambe le parti, per questo è difficile ragionare in termini numerici senza essere faziosi, le stesse strategie comunicative adottate dal Presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj e dal suo omologo russo Vladimir Putin risultano, inevitabilmente, ingannevoli: “Putin non ha mai parlato di guerra, – sottolinea Ferrari – la minimizza riferendosi ad una operazione militare speciale, per cui è normale che non voglia dedicarvi troppa attenzione e che si limiti a dire che ci sono dei problemi alla frontiera e che l’intervento russo sta andando bene, vero o non vero che sia. Diversissima è la posizione di Zelens’kyj che si trova a capo di un Paese che lotta per la sua indipendenza e che gode dell’appoggio incondizionato dell’Occidente”.

Si ragiona di tattiche e responsabilità anche per provare a individuare quelli che potranno essere gli sviluppi futuri della “guerra lampo” ingaggiata da Vladimir Putin che si è rapidamente tramutata nel conflitto che ha sconvolto il cuore dell’Europa, ma rimane un’unica lapidaria evidenza:ogni vita spezzata è un intollerabile pugno nello stomaco e quel numero, 977, diffuso dall’Alto commissario per i diritti umani dell’ONU, testimonia che al di là degli obiettivi dichiarati, non esistono guerre senza vittime civili.