“Sei una pornostar, devi morire”. Per due volte vittima di revenge porn, Ilaria Di Roberto, 32 anni, è stata accolta con questa scritta disegnata sul muro dell’androne di casa. “Nel mio paese, in provincia di Latina, sono stata stigmatizzata come una poco di buono”. La prima è stata con un ragazzo conosciuto online: “Soffrivo di dipendenza affettiva, quindi la paura di perdere lui era ancora più forte che di smarrire la mia dignità”. È per questo motivo che ha accettato le sue condizioni: inviargli foto e video nuda, per non essere lasciata.

Ilaria Di Roberto, due volte vittima di revenge porn, oggi racconta la sua storia per “dare un ruolo funzionale alla mia esperienza, che possa aiutare tante altre donne”.

Rivitimizzazione
“Oggi è San Valentino. Intanto penso che non esista amore dove non esiste anche l’autostima. E la prima forma d’amore è quella che noi dobbiamo a noi stesse”. Questa consapevolezza Ilaria l’ha maturata dopo diverse relazioni tossiche e, soprattutto, in seguito a un processo di rivittimizzazione da parte di amici e conoscenti.

La vita di Ilaria è sempre stata segnata da bullismo e abusi. Il primo – non fisico, ma psicologico – di un padre assente, causa del suo sentirsi sempre fuori luogo. È stato uno squilibrio profondo che l’ha portata a cercare un baricentro in relazioni nocive: “Non avevo un punto di riferimento o qualcosa che mi permettesse di diversificare il bene dal male”. Il secondo compagno, durante un momento di intimità, le ha scattato alcune fotografie “senza autorizzazione, nonostante sapesse quello che mi era capitato” – spiega Ilaria – “Gli feci giurare di non diffonderle, ma un giorno trovai un profilo su un canale pornografico intestato a me”.

La scelta di denunciare
“Per lui la vita ha continuato a scorrere senza conseguenze, mentre su di me si è riversato lo stigma”: licenziata dal lavoro ed emarginata dai suoi amici. “La gente si vergognava a farsi vedere in giro con me” – ricorda – “mi negavano il saluto, venivo insultata e le persone simulavano atti sessuali al mio passaggio”. È a questo punto che si è rivolta ad un gruppo esoterico: un apparente rifugio dai problemi che ha rallentato la presa di coscienza, indirizzandola sulla strada della truffa e dell’imbroglio. “Venivo manipolata, minacciata e invitata a commettere reati a danno dei clienti”. Proprio in quel momento, quando da vittima di soprusi rischiava di diventarne artefice, qualcosa è scattato: con l’aiuto della madre è riuscita a denunciare. “Per molto tempo, però, mi sono identificata con le critiche, ma soprattutto gli insulti, le minacce, le vessazioni che venivano attuate contro di me”. Un contesto che l’ha portata a tentare più volte di togliersi la vita.

Tutto ciò che sono
Oggi Ilaria si racconta e dalla sua storia è nato un libro, Tutto ciò che sono: lo presenterà l’8 marzo alla libreria Ècate di Milano. “Si tratta di un messaggio nei confronti del patriarcato, soprattutto di una società che mette ancora le donne in una condizione di subordinazione e di repressione”   – spiega l’autrice – “dove una donna muore ogni 72 ore per mano di un uomo”. Mettendo la sua testimonianza nero su bianco, Ilaria vuole parlare alle vittime come è stata lei e, ancora di più, ai carnefici, come lo sono stati i suoi ex compagni. “L’idea è dare un ruolo funzionale alla mia esperienza, che possa servire a tante altre donne, perché gli uomini possano identificarsi e capire i propri errori”.

Il revenge porn è riconosciuto come reato dal 2019, ma l’appoggio giuridico spesso non è scontato, né sinonimo di comprensione. Spesso le donne che denunciano non vengono credute e la loro stigmatizzazione si estende di fronte alla legge. Quello che Ilaria chiede oggi è che questo problema venga riconosciuto come piaga sociale. “In questo modo potremo ottenere un sistema normativo più solido ed equo, che intacchi il carnefice e non la vittima”. Da qui lo slogan della sua battaglia, per combattere quella che Margaret Lazarus nel 1895 definì “cultura dello stupro”: “Siate ribelli, abbiate il coraggio di deludere le aspettative. Siamo donne e abbiamo il diritto di essere libere e determinate”.