«Non è possibile sapere le cifre reali sulle forniture d’armi all’Ucraina. L’Italia ha una lunga tradizione nel mantenere il segreto militare e di non far trapelare quasi nulla di tutto ciò che è relativo alla Difesa. E ciò si scontra col concetto di Paese democratico su cui si fonda». Lo afferma Maurizio Simoncelli, vicepresidente e cofondatore dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo-IRIAD. Eppure, uno dei principali quesiti che gli italiani si pongono in relazione alla guerra in corso in Ucraina è proprio questo: quali sono le cifre reali relative agli aiuti che il nostro Paese ha fornito a Kiev in questo primo anno di conflitto con la Russia?

I dati più aggiornati sono quelli elaborati pochi giorni fa dal Kiel Institute for the World Economy che ha aggiornato fino al 15 gennaio il proprio report “Ukraine Support Tracker”. Secondo questa analisi, solo di aiuti militari, l’Italia ha fornito all’Ucraina armi e munizioni per circa 700 milioni di dollari.

Fonte: Ukraine Support Tracker, Kiel Institute

Fonte: Ukraine Support Tracker, Kiel Institute

A questa cifra vanno sommate le spese legate ai supporti economici e umanitari: si giunge così a un totale di 1 miliardo di dollari. Ma in realtà il supporto militare dell’Italia dovrebbe avere un costo di molto superiore. «É stato stabilito da poco l’invio di un sesto pacchetto di armi per l’Ucraina che, preso singolarmente, dovrebbe ammontare a qualche miliardo di euro. E inoltre non è possibile sapere nel dettaglio quali tipologie di armi saranno spedite. Dovrebbero esserci, ad esempio, i missili terra-aria Samp-T di fabbricazione italo-francese dal costo di 750 milioni di euro cadauno», spiega Simoncelli.

«L’European Peace Facility è uno strumento che dovrebbe coprire il 50% dei fondi che l’Italia dà all’Ucraina e dovrebbe facilitare la pace. Ma questo fondo non risolve il problema della mancanza di una politica di Difesa europea, che presupporrebbe una scelta comune sulla produzione di armamenti», spiega Maurizio Simoncelli di Archivio Disarmo.

Queste cifre importanti non possono essere sostenute dall’Italia in modo autonomia. E, infatti, l’Unione Europea sostiene le spese militari dei propri Paesi membri con l’European Peace Facility un fondo che – come specifica ancora Simoncelli – «dovrebbe coprire il 50% dei fondi che l’Italia dà all’Ucraina e dovrebbe servire, secondo le politiche previste dall’Unione Europea, a facilitare la pace». Ma questo “strumento” in realtà porta con sé una serie di contraddizioni a partire dal fatto che la facilitazione della pace vuole essere raggiunta con l’aumento della produzione di armamenti nell’Unione Europea. Inoltre «questo fondo non risolve il problema della mancanza di una politica di Difesa europea, che presupporrebbe un unico esercito europeo e un unico filone comune per quanto riguarda la produzione di armamenti. Ognuno, invece, costruisce per conto proprio, ognuno spende quanto reputa giusto e, per questo, i Paesi membri dell’Ue, pur essendo alleati, non hanno armamenti allo stesso livello».

A questo discorso si lega inevitabilmente il dibattito sull’aumento al 2% del Pil, della spesa militare dell’Italia, deciso dal governo Draghi nel marzo del 2022: alcuni partiti politici e parte dei cittadini sembrano essere contrari. Ma, secondo la lettura offerta dal professor Simoncelli, l’aumento della spesa militare sembra far parte di un processo quasi inevitabile e che va oltre il conflitto tra Ucraina e Russia. «In tutto il mondo l’aumento della spesa militare è in costante crescita verso l’alto da almeno 25 anni. I dati, forniti dal Sipri ci dicono che è almeno dal 1998, quindi tre anni prima degli attacchi terroristici alle Torri Gemelle, che la spese militari dell’Italia e di tutto il mondo sono aumentate. Inoltre, la spesa militare mondiale complessiva dichiarata nel 1988 era di 1500 miliardi di dollari. Nel 2021 questa spesa è salita a 2100 miliardi.

Fonte: Sipri

Fonte: Sipri

Quindi c’è stata una crescita del 33%. E questa crescita continua è in atto da molto prima dell’inizio del conflitto in Ucraina. Per quanto riguarda i Paesi occidentali c’è anche da considerare anche il fatto che nell’ultimo decennio i membri di Nato ed Unione Europea hanno iniziato a vedere la Cina come un potenziale futuro nemico. Lo scoppio del conflitto in Ucraina ha quindi solamente accelerato questo processo di aumento della spesa militare singola e complessiva».

«Più si producono munizioni, più si guadagna. Basti vedere come, appena è scoppiata la guerra in Ucraina, le azioni delle aziende che producono armi sono andate in crescendo nelle borse mondiali», specifica Simoncelli.

E l’aumento della spesa militare è strettamente correlato alla sempre più grande influenza esercitata dalle lobby delle armi. «Più si producono munizioni, più si guadagna: basti vedere ccome, appena è scoppiata la guerra in Ucraina, le azioni delle aziende che producono armi sono andate in crescendo nelle borse mondiali». «È ormai evidente che il conflitto in Ucraina si sia trasformato da guerra lampo a guerra di logoramento con numerose vittime militari e civili. E, nonostante ciò, l’invio di armi continua a crescere, senza che all’orizzonte si vedano possibili spiragli per arrivare ad una pace».

Barbara Gallo, ricercatrice dell’Archivio Disarmo-IRIAD, è un’esperta di armi nucleari. Sottolinea come, anche per tipologia, l’invio di armi all’Ucraina in quest’anno di guerra è molto ricco: «Nel dicembre 2022 il governo italiano si è impegnato a portare le spese militari al 2% del PIL entro il 2028: c’è un trend di crescita della spesa militare in Italia. L’impegno militare sostenuto dall’Italia in Ucraina è importante, e la lista delle armi inviate è lunga. Nonostante non sappiamo con precisione i numeri, siamo tuttavia venuti a conoscenza del fatto che l’Italia ha inviato cingolati da trasporto per le truppe, veicoli tattici leggeri, carri armati, munizioni e kit di sopravvivenza».

Complice la scarsità di armamenti estremamente tecnologici, l’Italia si è sempre limitata a offrire al governo di Kiev armi di tipo esclusivamente difensivo e al momento non sembra esserci la volontà di mandare strumenti d’attacco: «A dicembre 2022 è stata approvata una mozione con cui il governo italiano si è impegnato a inviare nuove armi in Ucraina, tra queste i missili Aspide che non erano mai stati inviati prima, batterie complete di radar, cannoni, sistemi di difesa aerea, e missili terra-aria Samp T, importanti perché si tratta di missili di produzione italo-francese e ad alta tecnologia. Al momento sono state inviate armi difensive e per ora sembra escluso l’invio di aerei da combattimento Eurofighter o di F35, che costituiscono la punta di diamante dell’aeronautica militare italiana», specifica Gallo.

Missile Aspide: un'altra delle armi inviate a Kiev dal governo italiano

Missile Aspide: un’altra delle armi inviate a Kiev dal governo italiano

E nonostante il sesto pacchetto di aiuti militari sia stato appena varato dal governo italiano si ragiona già sul possibile settimo invio di armamenti. Nel nuovo possibile decreto ci potrebbero essere anche i droni: con il loro ingresso le dinamiche del conflitto potrebbero cambiare. «Non sarebbe la prima volta che una guerra si combatte con i droni: sono stati usati in Yemen e in Azerbaigian. I droni usati militarmente provocano enormi danni collaterali: migliaia di civili vengono uccisi da queste armi che hanno preso il sopravvento nella guerra al terrorismo. Queste armi cambieranno radicalmente la dinamica delle guerre e dal 2023 saranno prerogativa anche del settore militare italiano. L’Italia sta investendo in modo significativo sulla produzione di droni. Dal 2021 al 2030 verranno investiti circa 2,3 miliardi di euro ed entro la fine del 2023 l’Italia entrerà tra i Paesi che hanno i droni da combattimento a pieno regime, perché per ora li abbiamo avuti solo militari ma di osservazione».

«L’impatto umanitario di una guerra nucleare sarebbe devastante. Il New Start è l’unico trattato bilaterale tutt’ora esistente tra Stati Uniti e Russia e il ritiro della Russia è estremamente pericoloso: con la fine di questo trattato l’Occidente non saprà più nulla sull’arsenale nucleare strategico russo», dice Barbara Gallo, ricercatrice di Archivio Disarmo.

Infine, anche se meno strettamente collegata alla spesa militare italiana, non si può non affrontare il tema del pericolo nell’utilizzo di armi nucleari. Nei giorni scorsi il presidente Vladimir Putin ha annunciato la sospensione della partecipazione russa al trattato New START (Strategic Arms Reduction Treaty) che ha l’obiettivo di monitorare i reciproci armamenti nucleari. «Le armi nucleari tattiche sono meno potenti di quelle strategiche ma il punto è che, in ogni caso, l’impatto umanitario sarebbe devastante. Il New Start è l’unico trattato bilaterale tutt’ora esistente tra Stati Uniti e Russia e il ritiro della Russia è estremamente pericoloso. Con la fine di questo trattato, l’Occidente non saprà più nulla sull’arsenale nucleare strategico russo», conclude Barbara Gallo.