Il cambiamento in Turchia dista sei punti percentuali. Secondo sondaggio, tra l’attuale presidente Recep Tayyip Erdoğan e il leader del “Tavolo dei sei” Kemal Kılıçdaroğlu si prospetta una sfida all’ultimo voto. Questa domenica, il “sultano” potrebbe vedere la fine della sua parabola di potere. Il cosiddetto “Gandhi turco” è infatti riuscito a radunare attorno a sé le diverse anime dell’opposizione e si prepara a segnare un cambio di rotta per il Paese.
In realtà, anche in caso di vittoria di Kılıçdaroğlu, molte cose potrebbero non cambiare. «Kılıçdaroğlu è sicuramente un leader più calmo di Erdogan, ha uno stile molto più accomodante, ma non può permettersi un cambiamento su questioni che toccano la sensibilità del popolo turco», sottolinea Giuseppe Didonna, giornalista dell’Agi esperto di Turchia. «Ne sono un esempio le rivendicazioni della Grecia nel Mediterraneo orientale. Se Kılıçdaroğlu dovesse cedere alle pressioni di Atene, secondo cui la Turchia avrebbe sovranità su uno spazio marittimo minimo, sarebbe visto come un segnale di debolezza. Certo, potrebbe ridurre le frizioni, ma qualunque concessione sarebbe utilizzata dall’opposizione per attaccarlo». Un altro tema caldo sul fronte interno è la questione curda che, secondo Didonna, «va a tastare le sensibilità più recondite dei turchi». In questo caso, la particolarità è che per la prima volta andranno al voto 5 milioni di giovani tra i 18 e i 24 anni, i quali «sicuramente non hanno del Pkk (Partito dei lavoratori curdo) questa idea così terribilmente intransigente e negativa che hanno le generazioni precedenti».
Secondo Monsignor Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia: «Un milione di persone è stato escluso dalle elezioni, con la scusa che nei luoghi colpiti dal sisma non si possano garantire delle sezioni di voto, ma non è vero. Sarebbe molto semplice predisporre delle cabine elettorali mobili»
A livello europeo, è improbabile che la posizione della Turchia cambi. «A livello di opinione pubblica, l’ingresso della Turchia nell’Unione europea non è più visto come una priorità o un obiettivo da anni», prosegue Giuseppe Didonna. «I turchi sono abbastanza disillusi e rimane il nodo migranti, su cui Ankara e Bruxelles sono costrette a collaborare. Quindi, non vedo un’eventuale vittoria di Kılıçdaroğlu come un vettore per portare la Turchia in Europa, ma potremmo assistere ad un miglioramento delle relazioni». Anche sul fronte della Nato, il leader del “Tavolo dei sei” dovrebbe mantenere la linea di Erdogan. In particolare, Giuseppe Didonna non prevede passi indietro di Ankara sull’accordo per l’ingresso della Svezia nell’Alleanza Atlantica.
Oltre alla parte politica, la questione è molto sentita nel Paese anche a livello sociale. La popolazione è divisa in due, come dimostrano le previsioni. Valeria Giannotta, analista esperta di politica turca, sottolinea il fatto che «ormai non esiste più la differenza tra partiti laici o partiti religiosi: o si è pro-Erdogan oppure si è contro». Il presidente in carica, tuttavia, può contare sull’apparato statale per supportare la sua campagna elettorale. «In questi ultimi anni, la manipolazione è stata molto forte a livello culturale» commenta monsignor Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell’Anatolia. «Molti sono contenti di questo presidente, gli va benissimo sia per i valori religiosi, sia per l’incentivazione di alcuni settori dell’economia. Non è così per altri, come per esempio i terremotati. Un milione di persone è stato escluso dalle elezioni, con la scusa che nei luoghi colpiti dal sisma non si possano garantire delle sezioni di voto, ma non è vero. Sarebbe molto semplice predisporre delle cabine elettorali mobili». Secondo il vescovo, potrebbero essere «i giovani studenti e le minoranze a tendere di più verso un cambiamento, ma in Turchia la propaganda è tutto».
Per Valeria Giannotta, analista esperta di politica turca: «Ormai non esiste più la differenza tra partiti laici o partiti religiosi: o si è pro-Erdogan oppure si è contro»
Ma proprio questi giovani turchi, secondo Valeria Giannotta, possono emanciparsi da questa pressione dello Stato: «è la generazione Erasmus, che ha viaggiato e studiato all’estero. Conosce un mondo diverso, fuori dalla Turchia, e può pretendere che le cose cambino». Nel Paese, i due leader sono percepiti in modo diverso: «Erdogan è il leader forte, in grado di farsi valere ai tavoli internazionali e far valere i diritti degli oppressi. Vuole essere indipendente dalle influenze dall’Occidente e dalle grandi potenze, come la Cina. Dall’altro lato, Kılıçdaroğlu ha puntato molto a farsi vedere come leader moderato della vita quotidiana».
Un ultimo tassello fondamentale di questa campagna elettorale è il settore della Difesa, cresciuto esponenzialmente proprio grazie ad Erdogan e un punto centrale anche del programma di Kılıçdaroğlu. «Il leader dell’opposizione ha specificato e ribadito più volte che questa industria continuerà a crescere. Ha telefonato più volte ai fratelli Bayraktar, uno dei quali è genero di Erdogan, per assicurargli il continuo supporto dello Stato in caso di una sua vittoria», spiega Giuseppe Didonna. «Questo perché la Difesa, la produzione di armi e di droni vanno a toccare quei sentimenti nazionalisti largamente diffusi in Turchia, che non sono appannaggio di un solo partito».
Le variabili, dunque, sono tante ed è probabile che domenica la partita non si chiuderà con un vincitore. Secondo molti analisti, infatti, il sottile margine che divide i due sfidanti indica un passaggio obbligatorio ai ballottaggi. In ogni caso, e qualunque sia il risultato delle elezioni, la Turchia non sembra destinata a cambiare nel modo profondo che molti, dentro e fuori il Paese, si augurano.