Ristoranti deserti, alberghi vuoti nonostante gli sconti e agenzie di viaggio rassegnate: nel giro di un anno la Turchia è passata dall’essere la quarta meta turistica d’Europa a venir bollata come destinazione “a rischio”. Colpa del terrorismo certo, ma soprattutto della crisi diplomatica con la Russia: iniziata nel novembre 2015 dopo l’abbattimento di un jet russo ai confini con la Siria è poi sfociata nella rottura dei rapporti economici tra i due Paesi e in pesanti sanzioni economiche imposte a Erdogan da Vladimir Putin. Così ora un Paese che coccolava i turisti russi con le indicazioni turistiche in cirillico si trova costretto a fare i conti con alberghi deserti e compagnia di bandiera in crisi.
Nei primi nove mesi del 2016 il calo complessivo dei visitatori è stato del 31,9% e lo scorso settembre è stato il quinto mese consecutivo in cui il crollo del numero di turisti ha superato il 30%. Per il Paese sul Bosforo si tratta di una crisi che affligge un settore cruciale, un mercato che nel 2015 ha raggiunto il valore di 31,5 miliardi di dollari. Un crollo del 32,7% nel terzo trimestre del 2016, pari a 8,3 miliardi di dollari in meno rispetto alle entrate della stagione precedente, cifre che pesano molto in quello che è uno dei settori chiave dell’economia turca. E il dato più significativo riguarda proprio gli arrivi dalla Russia: scesi del 60% in un solo anno. Non solo. La scia di sangue lasciata dagli attentati che hanno colpito il Paese ha scoraggiato anche i viaggiatori europei. Il trend negativo per gli arrivi dal vecchio continente è iniziato infatti con l’attacco kamikaze in piazza Sultanahmet a Istambul, nel cuore della zona più turistica della città, in cui hanno perso la vita dieci persone, di cui otto di nazionalità tedesca.
Il 2016 si è chiuso infatti con il 40% in meno di tedeschi che hanno scelto la Turchia come destinazione per le proprie vacanze, seguiti da georgiani, italiani e britannici.Un colpo durissimo, per un settore che faceva della Turchia la quarta destinazione preferita in Europa e la sesta al mondo. L’unica nota positiva in questo quadro negativo, è stato il record di viaggiatori islamici. Lo scorso 10 luglio, a meno di due settimane dall’attentato che causò 42 morti e 230 feriti, l’aeroporto Atatürk ha registrato un picco storico di passaggi: 1443 tra voli partiti e atterrati nella giornata conclusiva dell’Eid al Fitr, la tradizionale festa di fine Ramadan. Il 2016 si è chiuso infatti con il 40% in meno di tedeschi che hanno scelto la Turchia come destinazione per le proprie vacanze, seguiti da georgiani, italiani e britannici.
Ma è proprio lo scalo turco ad essere il fulcro della crisi. L’aeroporto Atatürk oltre ad essere il principale della Turchia con oltre 61 milioni e 300 mila passeggeri in transito nel 2015 è anche un obiettivo altamente simbolico perché rappresenta geograficamente e culturalmente il “trait d’union” tra Europa e Asia. Con l’attentato del 28 giugno 2016 l’Isis ha colpito non solo un “hub” aeroportuale perno dell’industria del turismo, ma anche Turkish Airlines, la compagnia di bandiera simbolo della Turchia di Erdogan trasformata negli ultimi anni in una delle flotte più moderne ed efficienti del mondo. Ma E così dopo un 2015 da incorniciare, con risultati ben al di sopra delle attese medie del settore, il colosso turco nel 2016 si è visto costretto a rivedere i propri piani di volo per tagliare i costi. La conseguenza è stata che dei 34 nuovi aerei previsti per il 2018 ne sono stati ordinati solo 10. Ma non è tutto: Turkish nei giorni scorsi ha deciso di lasciare a terra tra i 25 e i 30 aerei, tra Airbus A330-200, A340-300, A319 e alcuni Boeing 737-800. Un 2016 che si è concluso con un bilancio da dimenticare, ma il 2017, iniziato con l’attentato al locale Reina di Istanbul, si prospetta anche peggiore.