La terra trema per quasi un minuto. È una scossa forte, fortissima. Nei territori al confine tra Turchia e Siria sono le 04:17 di lunedì 6 febbraio. La maggior parte delle persone sta dormendo e le case si trasformano in trappole mortali. Gaziantep, Kahramanmaraş, Adana e altre dieci province turche. Aleppo e Idlib in Siria. Il sisma di magnitudo 7.7, come registrato dall’autorità turca per la gestione dei disastri e delle emergenze, ha raso al suolo quasi tutto. Quei pochi edifici che sono rimasti in piedi non sono più abitabili.

In quelle ore a Kahramanmaraş c’è Bilgen Efe, originaria proprio di una delle province più colpite dal sisma, a pochi chilometri dall’epicentro. Da alcuni anni lavora per una azienda tessile pugliese, ma nei giorni precedenti al sisma si trovava in Turchia con la famiglia. “Fortunatamente siamo tutti vivi, ma è stata un’esperienza terribile. Siamo corsi in strada e tutto era distrutto”. Le scosse di assestamento sono continuate anche nelle ore successive. La più forte, di magnitudo 7.6, è stata avvertita appena nove ore dopo la prima, ma la preoccupazione più grande è come affrontare i prossimi giorni: “Ora ci servono vestiti invernali perché fa molto freddo, tende e cibo”, dice Bilgen e poi ci mostra una lista di centri di raccolta in Italia che da Nord a Sud si sono attivati per portare aiuti alle popolazioni terremotate.

Kahramanmaraş’taki deprem felaketine ilişkin yardımlar için Per gli aiuti riguardanti il disastro sismico di Kahramanmaraş

Pubblicato da T.C. Roma Büyükelçiliği / Ambasciata di Türkiye a Roma su Martedì 7 febbraio 2023

A complicare l’intervento dei soccorritori, oltre ai detriti dovuti ai crolli e alle difficoltà negli spostamenti ci sono le condizioni climatiche. In gran parte delle regioni la neve ha imbiancato città e villaggi. E laddove i fiocchi sono arrivati solo sulle montagne circostanti, le temperature scendono comunque di diversi gradi sotto lo zero, rendendo difficile trascorrere la notte fuori casa nelle abitazioni di fortuna realizzate con ciò che resta oppure nelle tende allestite dalla protezione civile.

“I palazzi si sono accartocciati su se stessi e le persone hanno perso tutto. Le persone piangono e pregano”, racconta da Antiochia Kıvanç Eliaçık.

Uno slancio di solidarietà ha coinvolto tutta la Turchia. Tra i 100mila operatori che stanno portando soccorso alle zone terremotate c’è Kıvanç Eliaçık, direttore del dipartimento di relazioni internazionali del Disk, una delle tre principali confederazioni del lavoro turche. Nelle ore immediatamente successive al sisma si è messo in viaggio. “Siamo partiti da Istanbul e siamo arrivati ad Antiochia per portare il nostro aiuto”, racconta. A pochi chilometri dal confine siriano la situazione non è diversa dagli altri luoghi colpiti: “I palazzi si sono accartocciati su se stessi e le persone hanno perso tutto”. Nelle strade, attorno ai cumuli di macerie si raccolgono le famiglie che cercano conforto: “Le persone piangono e pregano sperando che ci sia ancora speranza per i propri cari intrappolati sotto le macerie”.

Il terremoto è avvenuto in luoghi già duramente provati. La Siria arriva da oltre dieci anni di guerra civile e il sisma non ha fatto che aggravare una situazione già drammatica. In quell’area stanno operando i “Caschi Bianchi”, un’organizzazione di difesa civile formatasi proprio negli anni della guerra, nel tentativo di salvare quante più persone possibile da sotto le macerie. In Siria la conta delle vittime va a rilento: i bilanci ufficiali parlano di almeno 2mila morti. La Turchia ne conta già più di 9mila. Come sempre in questi casi la fredda contabilità non rende giustizia a coloro che hanno perso la vita, ma fa del terremoto tra Turchia e Siria uno dei sismi più disastrosi degli ultimi cento anni.

(Grafica ed elaborazione dati: Lorenzo Buonarosa)